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Riccardo Deni
Leggi i suoi articoliDella Mongolia sappiamo, o crediamo di sapere, molto. Le steppe senza fine, i nomadi a cavallo, le «orde selvagge» di Gengis Khan. Immagini sedimentate nella memoria occidentale più per esotismo che per conoscenza. Ma che cosa succede se guardiamo oltre il cliché? La mostra «Mongolia. Un viaggio attraverso il tempo», in programma dal 24 ottobre 2025 al 22 febbraio 2026 al Museo Rietberg di Zurigo, prova a capovolgere la narrazione. Mostrandoci una Mongolia urbana, stratificata, crocevia nei grandi scambi culturali dell’Eurasia. Curata da Alexandra von Przychowski e Johannes Beltz, in collaborazione con importanti istituzioni culturali mongole e il Deutsches Archäologisches Institut, l’esposizione riunisce oltre 200 oggetti tra dipinti, fotografie, sculture, opere grafiche e decorative, molti dei quali mai usciti prima dal Paese. Tra i prestatori più significativi ci sono il Museo Nazionale Chinggis Khaan, il Museo di Kharakhorum e l’Istituto di Archeologia dell’Accademia delle Scienze Mongola.
Il viaggio si apre con il racconto della Ulan Bator di oggi, una metropoli da oltre un milione e mezzo di abitanti, in cui convivono smartphone e pastori nomadi, grattacieli e ger (o yurte), le case tradizionale dei nomadi. Installazioni video e opere di artisti contemporanei come Erdenebayar Monkhor, Baatarzorig Batjargal e Nomin Zezegmaa raccontano un Paese che cerca equilibrio tra modernità accelerata e identità ancestrale. Ma il cuore della mostra pulsa nel passato. Dai fasti della Karakorum del XIII secolo, capitale dell’impero di Gengis Khan, alla cosmopolita Karabalgasun uigura dell’VIII secolo, fino all’impero degli Xiongnu, risalente al I secolo d.C. Le città, più che gli accampamenti, sono il vero centro di questa narrazione.
Il percorso espositivo, suddiviso in quattro sezioni, decostruisce l’idea della Mongolia come terra ai margini, restituendola al suo ruolo di ponte tra Europa e Asia. I reperti, tra cui manoscritti, gioielli in oro, statue funerarie policrome e opere religiose, parlano di una sofisticata architettura del vivere e di un dialogo culturale che attraversava migliaia di chilometri.
Se la mostra smonta una geografia mentale, lo fa anche sul piano politico. Oggi «Mongolia» non è infatti un'espressione univoca. Esiste uno Stato sovrano nato nel 1924, ma anche una «Mongolia Interna», regione autonoma della Cina. Confini mobili, identità fluide, città che si fondano e scompaiono. In questo continuo movimento, il nomadismo stesso appare non come forma primitiva, ma come strategia di adattamento e resistenza. Un filo rosso che collega passato e presente di un territorio che, come molti altri, dovremmo guardare con maggiore disincanto.

Ritratto di Gengis Khan, Sh. Sainzul, 2022, Museo Nazionale Chinggis Khaan

Ulaanbaatar 2024, Foto: Bagimax
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