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Jenny Dogliani
Leggi i suoi articoliArtissima invita quest’anno a concepire un Manuale Operativo per Nave Spaziale Terra, ispirandosi all’omonimo libro di Richard Buckminster Fuller. La fiera chiama la comunità di giovani galleristi e operatori culturali a riflettere sul senso di abitare il nostro pianeta, adottando prospettive inedite, sfidando le consuetudini e abbracciando un futuro di responsabilità collettiva e innovazione. La parola ad Alessandro Bava, fondatore e direttore della Galleria Zazà, Milano.
In che modo un’opera o un artista hanno fortemente trasformato il suo modo di abitare il nostro «pianeta-mondo», influenzando il suo sguardo critico e la sua azione curatoriale?
Il lavoro di Shaan Bevan ha segnato un punto di svolta per noi. La sua capacità di intrecciare la propria esperienza con la malattia cronica a sistemi ecologici e materiali più ampi ha aperto un orizzonte nuovo sul rapporto tra corpo e mondo. Attraverso pittura, scrittura e installazione, Bevan non riduce il corpo a un dato clinico, ma lo reimmagina come fenomeno ecologico e cosmico. Questo approccio ha ridefinito anche il nostro modo di pensare la curatela: non più solo mediazione tra opera e pubblico, ma occasione per riscrivere modalità di esistenza e guarigione collettiva.
Nella Sua pratica di gallerista, come concilia l’intuizione e la capacità di affrontare l’imprevisto con le esigenze di pianificazione e il rigore necessari ad affrontare le sfide del nostro tempo?
La galleria vive costantemente tra due poli: da un lato l’ascolto istintivo, l’apertura al rischio e all’accadere imprevisto; dall’altro la necessità di tradurre questa energia in strutture organizzative solide, capaci di sostenere artisti e progetti nel lungo periodo. È un equilibrio precario ma fertile, che si fonda sull’idea che la pianificazione non debba mai soffocare la possibilità di sorpresa, ma piuttosto renderla sostenibile. In questo senso, l’intuizione non è contrapposta al rigore, bensì il suo motore segreto.
Se potesse trasmettere un’istruzione alle prossime generazioni di artisti e operatori culturali, quale messaggio essenziale, idealmente ispirato al pensiero di Buckminster Fuller, vorrebbe lasciare per guidarli in questo viaggio collettivo?
Diremmo loro di non dimenticare che ogni gesto creativo è anche un atto di progettazione del mondo. Come Fuller insegnava, non si tratta di opporsi frontalmente a ciò che esiste, ma di inventare strutture nuove, capaci di rendere il vecchio obsoleto. L’arte ha la possibilità unica di indicare futuri praticabili, di sperimentare linguaggi e forme che possano ispirare modi diversi di abitare il pianeta. L’istruzione che vorremmo lasciare è questa: immaginate con radicalità, ma costruite con precisione.
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