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Ignoto napoletano, «Santa Cecilia», 1640 ca (particolare), Sarasota, Florida, State Art Museum of Florida

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Ignoto napoletano, «Santa Cecilia», 1640 ca (particolare), Sarasota, Florida, State Art Museum of Florida

Nel Seicento Napoli era piena di voci femminili

Alle Gallerie d’Italia-Napoli 67 opere costruiscono un dialogo internazionale che mette in evidenza la circolazione dei modelli, la mobilità delle artiste e la diffusione europea delle iconografie femminili nate nella città partenopea

«Donne nella Napoli spagnola. Un altro Seicento», allestita nelle sale delle Gallerie d’Italia-Napoli, museo di Intesa Sanpaolo, dal 21 novembre al 22 marzo 2026, offre una prima e accurata indagine sul ruolo delle donne nelle arti del Seicento a Napoli, tematica fino ad oggi poco indagata dagli studi e mai sviluppata attraverso un’organica riflessione espositiva. Con la cura di Raffaella Morselli, Eve Straussman-Pflanzer, Giuseppe Porzio e Antonio Ernesto Denunzio, il patrocinio del Comune di Napoli, il patrocinio morale dell’Ufficio culturale e scientifico dell’Ambasciata di Spagna e importanti prestiti, le 67 opere in mostra aprono a nuove riflessioni storiografiche, contribuendo ad approfondire figure già indagate, come Artemisia Gentileschi, a cui Gallerie d’Italia-Napoli ha dedicato un’importante monografica nel 2022, ed evidenziando il ruolo delle donne nella Napoli vicereale, come chiarisce Raffaella Morselli: «La mostra nasce dal desiderio di restituire uno sguardo nuovo sul Seicento napoletano, raccontando la storia attraverso le sue protagoniste femminili. Non un’appendice alla storia dell’arte barocca, ma un capitolo autonomo, ricchissimo di figure, linguaggi e visioni. Il focus della mostra è duplice: da un lato, ricostruire le presenze reali delle donne nella produzione e nella committenza artistica; dall’altro, interrogare le rappresentazioni del femminile nella cultura figurativa, letteraria e scientifica del Seicento. Le questioni affrontate sono molteplici: la formazione delle artiste, il ruolo delle religiose come committenti e decoratrici dei propri monasteri, la partecipazione delle donne alla cultura colta e scientifica, e la definizione di un nuovo statuto dell’immagine femminile. Sul piano metodologico, la ricerca ha incontrato sfide complesse: la frammentarietà delle fonti, l’anonimato di molte opere, la difficoltà di rintracciare documenti relativi alle artiste spesso rimaste invisibili agli archivi ufficiali. È stato necessario intrecciare storia dell’arte, storia sociale, studi di genere e storia delle scienze per far emergere un panorama che unisce le arti figurative, la musica, la medicina e la religione».

Che cos’è emerso dagli studi?
Il lavoro di studio ha rivelato una Napoli piena di voci femminili, attive in ogni ambito. Sono emerse figure di mecenati come Isabella della Rovere o Leonor Guzmán, intellettuali come Margherita Sarrocchi e Aurora Sanseverino, artiste come Lavinia Fontana, Artemisia Gentileschi, Giovanna Garzoni, Teresa del Po. Tradurre questa complessità in mostra ha significato creare un percorso narrativo e immersivo, nel quale le opere parlano non solo della devozione e della bellezza, ma anche di conoscenza, sperimentazione e autonomia. Ne emerge un Seicento «altro» perché attraversato dallo sguardo delle donne, un secolo in cui la creatività femminile non è eccezione, ma componente strutturale della cultura barocca.

Come si articola il percorso espositivo?
La mostra si apre con la sezione dedicata a Lavinia Fontana, prima donna in Europa a ricevere commissioni pubbliche di grandi pale d’altare. Le opere in mostra, tra cui la «Madonna con il Bambino, san Francesco e il committente» (Piano di Sorrento, Chiesa della Santissima Trinità) e il «Ritratto di monaco certosino» (Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte), aprono il dialogo tra Bologna e Napoli, tra cultura devozionale e ritratto d’intelletto. La prima sezione della mostra affronta il tema del corpo e della conoscenza. Qui il confronto tra il «Ritratto di Antonietta Gonzales» di Lavinia Fontana (Blois, Château Royal) e la «Donna barbuta (Maddalena Ventura con il marito e il figlio)» di Jusepe de Ribera (Madrid, Museo Nacional del Prado) rappresenta il nucleo concettuale della mostra. Due opere straordinarie, due sguardi diversi su corpi «altri»: da una parte la curiosità scientifica e la compassione femminile di Lavinia, dall’altra la drammatica monumentalità di Ribera. Insieme, raccontano la tensione tra scienza, meraviglia e umanità che attraversa tutto il Seicento. Le sezioni successive sono dedicate alle artiste, miniatrici e alle donne di teatro: Artemisia Gentileschi a Napoli, con il «Bambino Gesù addormentato» (Boston, Museum of Fine Arts) e la «Santa Cecilia» (Sarasota, Ringling Museum), nel quale la pittrice si confronta con il tema della musica e della devozione intellettuale; Giovanna Garzoni e la pittura scientifica, rappresentata dall’«Album di miniature con nature morte» (Roma, Accademia Nazionale di San Luca), che intreccia botanica, anatomia e contemplazione spirituale. Giulia de Caro e Andreana Basile sono celebri attrici e cantautrici, lodate dai letterari ed effigiate dai pittori, come dimostra il dipinto di Carlo Sellitto del 1609-10 (Napoli, collezione privata). Chiude il percorso un gruppo di opere devozionali, con i lavori delle ceroplaste e delle scultrici di terracotta, un capitolo di eccezionale modernità. Le sculture in cera di Caterina De Julianis, tra cui l’«Adorazione dei Re Magi» e l’«Adorazione dei pastori» (Palacio Real de La Granja de San Ildefonso, Patrimonio Nacional, Spagna) e il «Trionfo del Tempo» (Victoria and Albert Museum, Londra), così come i «Busti degli Innocenti di Betlemme» di Luisa Roldán (Chiusa, Museo Civico), mostrano un’inedita sensibilità tattile e devozionale. Entrambi i materiali, vivi e vulnerabili, diventano simbolo della partecipazione delle donne alla scultura barocca: una forma di arte domestica e colta insieme, che unisce spiritualità e conoscenza anatomica.

Quali sono i principali confronti che la mostra propone?
La mostra si distingue per la qualità eccezionale dei prestiti e per l’ampiezza del dialogo costruito tra musei italiani e stranieri, tra cui Château Royal di Blois, Prado di Madrid, Museum of Fine Arts di Boston, Ringling Museum of Art di Sarasota, Accademia Nazionale di San Luca di Roma, Musei di Strada Nuova di Genova, Palacio Real de La Granja de San Ildefonso, Patrimonio Nacional, Spagna; Victoria and Albert Museum di Londra. Riunite per la prima volta, alcune opere costruiscono un dialogo internazionale che mette in evidenza la circolazione dei modelli, la mobilità delle artiste e la diffusione europea delle iconografie femminili nate a Napoli.

La mostra può considerarsi un modello per analoghi approfondimenti espositivi?
«Un altro Seicento» è più di una mostra: è un metodo di ricerca e di racconto. Ha mostrato che è possibile unire rigore filologico e forza narrativa, restituendo complessità e visibilità a figure rimaste ai margini ma che hanno contribuito a pieno titolo a forgiare la modernità del Seicento napoletano. Il progetto propone un modello replicabile: valorizzare archivi locali e lavorare sul territorio, collaborare con istituzioni internazionali, intrecciare discipline diverse e, soprattutto, leggere la storia dell’arte attraverso gli occhi delle donne. Il messaggio finale è chiaro: il Seicento non è solo il secolo dei maestri e dei viceré, ma anche quello delle pittrici, delle religiose, delle scrittrici e delle ceroplaste che hanno trasformato la materia, l’immagine e la fede in forme nuove di conoscenza e di libertà. Raccontare un altro Seicento significa dunque restituire al passato la sua vera pluralità e al presente la consapevolezza di quanto la creatività femminile abbia contribuito a fondare la nostra idea stessa di modernità.

Giuseppe Tramontano, «Annella De Rosa e Massimo Stanzione», s.d.. Collezione Intesa Sanpaolo

Olga Scotto di Vettimo, 06 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

Nel Seicento Napoli era piena di voci femminili | Olga Scotto di Vettimo

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