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Francesco Jodice, «Racconti di boschi, di fabbriche e di persone», 2025 (particolare)

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Francesco Jodice, «Racconti di boschi, di fabbriche e di persone», 2025 (particolare)

Nell’Oasi Zegna i ritratti di gruppo di Francesco Jodice

Nel Biellese il nuovo progetto di uno dei maggiori interpreti del paesaggio sociale contemporaneo

«Sono da sempre interessato all’osservazione dei paesaggi come proiezione dei desideri di una comunità». Così prende forma il nostro dialogo con Francesco Jodice, in occasione di «Racconti di boschi, fabbriche e di persone», il nuovo progetto realizzato per la Fondazione Zegna, in mostra a Casa Zegna a Trivero (Bi) dal 17 maggio al 16 novembre. In collaborazione con Sara Gentile e a cura di Ilaria Bonacossa, l’opera si muove nel solco della ricerca che ha consacrato Jodice come uno dei maggiori interpreti del paesaggio sociale contemporaneo e che qui prosegue la sua indagine confrontandosi con la suggestiva Oasi Zegna. Tra montagne e boschi privi di cancelli, l’area offre una dimensione sospesa che Jodice cattura con maestria in una delle tre serie fotografiche esposte, in cui la maestosità del territorio emerge in una cornice visiva tipica del suo linguaggio. L’attenzione ai temi dell’antropologia urbana e alle dinamiche di partecipazione collettiva attraversa l’intero racconto, ampliandolo con immagini che indagano da vicino il territorio e la comunità che lo abita. Un secondo capitolo del progetto volge lo sguardo al mondo della fabbrica, soffermandosi sulla quotidianità del Lanificio Zegna e sul rapporto tra le persone e il loro lavoro. Infine, un terzo filone si sviluppa nei ritratti di classe, che esplorano in chiave concettuale il passaggio generazionale. La mostra tesse così gli spazi di Casa Zegna in un tessuto narrativo corale che attraversa il paesaggio naturale, la struttura produttiva e la memoria della comunità che lo abita. 

«Racconti di boschi, di fabbriche e di persone» è un progetto inedito. Come si è evoluto il suo sguardo?

«Racconti di boschi, di fabbriche e di persone» indaga e restituisce la tensione di un paesaggio sociale peculiare dove la natura, la fabbrica e la comunità contribuiscono a un’armonia alternativa che si autoeduca non potendo fare riferimento a modelli simili. Sono da sempre interessato all’osservazione dei paesaggi come proiezione dei desideri di una comunità ed è quanto ho tentato di traslocare attraverso il progetto.

Questo progetto intreccia volti, luoghi e memoria industriale. Come ha equilibrato la sua visione artistica con il racconto di una comunità che non è sua? 

Il grande poeta russo Osip Ėmil’evič Mandel’štam aveva scritto che «con il potere non ho avuto che vincoli puerili» e io sono un artista politico nella stessa misura. Non credo nella preservazione immacolata delle identità della natura o delle comunità ma sono invece affascinato dallo studio dei segni dell’antropizzazione, che compromettono e rimestano le identità. La capacità politica, quindi culturale, di un dato consorzio umano di performare il territorio a immagine e somiglianza delle proprie aspirazioni. In sostanza ho cercato di raccontare l’impossibilità di immaginare la sussistenza dell’ambiente, dei lanifici o delle comunità a prescindere dall’intricato sistema di relazioni che trama tra di esse.

In che modo pensa che l’allestimento possa intensificare l’esperienza visiva dell’opera?

Lo spazio espositivo di Fondazione Zegna mi ha suggerito un racconto sincopato, in cui a momenti i tre racconti della natura, della comunità e della fabbrica sembrano raggrumarsi e isolarsi in piccole «quadrerie» per poi negarle con immagini che assomigliano alle «legature di valore» in musica, cioè immagini che fungono da filo di Arianna tra i diversi racconti. Ad esempio, le fotografie dei «Ritratti di classe» sono rigorosamente realizzate all’interno delle scuole del territorio, ma ho ritratto una delle classi all’interno dell’Oasi Zegna, nel bel mezzo della natura, confondendo così i due nuclei fotografici della comunità e della natura.

Il suo sguardo alterna momenti di vicinanza e distanza. Che cosa desidera suscitare attraverso questa tensione?

Desidero che lo spettatore adotti un atteggiamento rabdomantico quando attraversa una mia mostra. Vorrei che non trovasse mai la distanza giusta per mettere a fuoco il lavoro. Spero invece che compia dei percorsi sinusoidali capendo che certe volte non si è mai abbastanza vicini, mentre altre è necessario adottare un filtro distanziale che ci permetta di dotarci di un potere supervisionale per comprendere luoghi e temi complessi. Ma in fondo non intendo suggerire nulla, credo che l’arte debba consegnare ai pubblici delle bussole guaste, credo sia questo il senso della partecipazione nell’arte, consegnare ai pubblici narrazioni incompiute e invitarli a ragionare sui significati di ciò che osservano.

Giulia Moscheni, 14 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

Nell’Oasi Zegna i ritratti di gruppo di Francesco Jodice | Giulia Moscheni

Nell’Oasi Zegna i ritratti di gruppo di Francesco Jodice | Giulia Moscheni