Pochi artisti possono vantare di aver esposto le loro opere in sedi diverse come le Nazioni Unite, l’Imperial War Museum e la Tate Modern di Londra, eppure sono più noti per aver creato alcune delle immagini politiche più note dell’ultimo mezzo secolo, molte delle quali non sono state viste in gallerie o musei, ma per le strade, spesso distribuite gratuitamente a sostegno di qualche causa o protesta importante.
L’artista inglese Peter Kennard (Londra, 1949), il cui lavoro di più di cinque decenni viene esplorato in «Archive of Dissent», una nuova retrospettiva alla Whitechapel Gallery di Londra dal 23 luglio al 19 gennaio 2025, ha fatto proprio questo, «tagliando, strappando, montando e giustapponendo immagini dalle quali siamo tutti bombardati quotidianamente [per mostrare] ciò che si nasconde dietro la maschera, le vittime, la resistenza», afferma lo stesso Kennard.
Kennard è un artista prolifico e un convinto sostenitore della Sinistra senza particolari appartenenze. Le sue opere sono state trasformate in cartelli e manifesti a sostegno di cause che vanno dalle proteste contro la guerra del Vietnam (che per prima, alla fine degli anni Sessanta, lo ispirò ad abbandonare la pittura e a dedicarsi al fotomontaggio), al movimento contro l’apartheid e alla campagna per il disarmo nucleare, fino all’Extinction Rebellion e allo stop agli attuali conflitti in Ucraina e a Gaza.
Le preoccupazioni di Kennard spaziano dalla conservazione del Servizio Sanitario Nazionale della Gran Bretagna alla salvaguardia dell’ambiente, ma l’unica costante del suo lavoro, così come della sua vita, è la guerra e lo sdegno nei confronti del costo in vite umane ed economico del complesso militare-industriale. Pensate a una qualsiasi delle principali manifestazioni pubbliche in Gran Bretagna dall’inizio degli anni Settanta e molto probabilmente evocherete una delle sue immagini: che si tratti di «Haywain with Cruise Missiles» (1980), una rielaborazione del classico dipinto di John Constable del 1821 in risposta alla proposta di ospitare missili nucleari statunitensi in Gran Bretagna, o della sua più recente interpretazione della bandiera palestinese, che sanguina dal triangolo rosso, per la Stop the War Coalition.
Alla Whitechapel Gallery, un punto di riferimento per l’arte contemporanea sin dalla sua apertura nel 1901, Kennard trova una sede temporanea ideale per le sue opere. La galleria è nata con l’obiettivo di mostrare «l’arte migliore del mondo secondo la gente dell’East End», presentando mostre importanti e promuovendo nuovi artisti, ma anche proponendo costantemente opere che coinvolgono la politica, dalla presentazione di «Guernica» (1937) di Pablo Picasso nel 1939 alla nuova commissione per le Guerrilla Girls nel 2016. Ha anche prodotto notevoli retrospettive che rivalutano il lavoro di artisti trascurati, come la mostra del 2014 dedicata a Hannah Höch, pioniera del collage politico e grande eroina di Kennard.
La mostra si svolge in una parte della Whitechapel che un tempo era la Passmore Edwards Library (in cui la galleria si è trasferita dopo l’ampliamento del 2009), un luogo utilizzato da scrittori e attivisti radicali. Ed è proprio questa storia a ispirare la presentazione del lavoro di Kennard. «Volevo fare riferimento al fatto che si trattava di uno spazio molto importante, dove in origine la comunità ebraica e poi quella del Bangladesh venivano a leggere i giornali, a discutere e a ripararsi dal freddo, dato che la maggior parte di loro viveva in povertà», dice Kennard, parlando nel suo studio di London Fields, poco distante. I libri di Kennard e il suo uso della carta da giornale sono evidenti in «Archive of Dissent», accanto a opere d’arte a parete, installazioni luminose, vetrine, poster e cartelli.
Tra le opere più recenti c’è «The People’s University of the East End» (2024), che si riferisce al soprannome dato alla vecchia biblioteca della galleria ed è una sorta di mix delle sue opere utilizzate nelle manifestazioni, ma prive del testo o degli slogan originali. «Voglio trasmettere la sensazione di conflitto continuo, afferma l’artista. Ho sempre cercato di creare immagini che potessero essere collegate agli eventi di allora e a quelli di oggi. In una galleria, le persone hanno tempo, quindi voglio che le immagini parlino agli osservatori, senza dire loro che cosa pensare, ma semplicemente suggerendo l’idea che l’arte può essere collegata al conflitto».
La sua attenzione è rivolta alla politica in senso lato, eppure è molto reticente nell’attribuire all’arte politica un qualsiasi potere persuasivo. «Non credo che l’arte di per sé possa cambiare qualcosa, ma se associata a gruppi [attivisti] e Ong può farlo, conclude. Così tante generazioni ed etnie si sono riunite a sostegno di Gaza, e credo che questo sia molto importante. Non servirà a nulla. Ma la gente in Palestina vede che in tutto il mondo c’è sostegno nei loro confronti».