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Elisa Carollo
Leggi i suoi articoliLa settimana dell’arte appena conclusa a New York ha rappresentato una prova di resistenza per il mercato statunitense, messo alla prova da una combinazione di fattori avversi: inflazione, escalation delle tensioni geopolitiche e nuove barriere doganali. Eppure, con nove fiere aperte in contemporanea e una concentrazione eccezionale di galleristi e collezionisti in città, la risposta è stata inequivocabile: il sistema dell’arte americano non solo resiste, ma rilancia. A confermarlo sono state vendite numerose e solide su più fasce di prezzo, trainate da compratori statunitensi che, a fronte dell’assenza di molti asiatici e di un calo significativo della presenza europea, sembrano aver colto l’attimo. Frieze New York, inaugurata in anteprima il 7 maggio allo Shed, ha confermato un cambio di passo: meno frenesia rispetto agli anni d’oro, più attenzione alla qualità e al contesto, sebbene le presentazioni abbiano privilegiato il politically correct. L’eccentrico stand di Gagosian, dominato da tre sculture, «Hulk Elvis» di Jeff Koons in acciaio policromo dall’aspetto gonfiabile, ha subito catturato l’attenzione, offrendo quella giusta dose di ironia per distrarre con un’estetica pop e una buona storia, in un momento economicamente incerto. Una delle tre sculture è stata venduta subito a un prezzo non divulgato, anche se i precedenti d’asta indicano un range attorno ai 3 milioni di dollari. «La risposta è stata fenomenale» ha commentato Millicent Wilner, direttrice senior, confermando l’interesse per le due opere restanti. Il tutto ha anche segnato, in modo tutt’altro che casuale, un ritorno simbolico per Koons nello stand di Larry Gagosian dopo l’uscita da Zwirner e Pace. Hauser & Wirth ha puntato sull’effetto istituzionale, con un grande Rashid Johnson da 1,2 milioni di dollari posizionato all’ingresso in corrispondenza della sua retrospettiva al Guggenheim. Entro sera, la galleria aveva venduto più di 25 opere, con prezzi da 20mila a 1,2 milioni di dollari, tra cui lavori di Mary Heilmann, Roni Horn, Jack Whitten e Lorna Simpson.

Lo stand di Hauser & With a Frieze NY. Courtesy Hauser & Wirth. Photo Sarah Muehlbauer
Anche Pace ha ottenuto risultati solidi, vendendo sei opere di Adam Pendleton (165mila–425mila dollari) in dialogo con sculture di Lynda Benglis (275mila–300mila dollari), in una presentazione che affiancava la mostra in corso all’Hirshhorn e l’annuncio dell’acquisizione integrale da parte del MoMA delle opere della sua retrospettiva 2021-22. White Cube ha chiuso la giornata di preview con vendite degne di nota: una grande tela di Tracey Emin per 1,2 milioni di sterline, una scultura in bronzo per 80mila sterline, un’opera di Etel Adnan per 180mila dollari, due di Antony Gormley da 325mila sterline ciascuno, una di Christine Ay Tjoe da 280mila dollari e due di Ilana Savdie attorno ai 100mila dollari, (proprio adesso c’è la sua prima personale in galleria). Perrotin ha registrato il sold out con i nuovi dipinti di Claire Tabouret (65mila–200 mila dollari), mentre Tina Kim ha venduto opere di Pacita Abad (150 mila), Lee ShinJa (200mila), Ghada Amer (175mila) e Maia Ruth Lee (25mila). Kukje ha piazzato diversi Park Seo-Bo (250mila-300 mila), Kyungah Ham (140mila-168mila) e Haegue Yang (35mila-42mila euro). Le vendite non si sono registrate solo nel segmento blue chip: anche opere più concettuali hanno avuto il loro momentum. Mendes Wood DM ha venduto l’installazione «Sliced Stones» di Kishio Suga per 200mila–300mila dollari; James Cohan ha venduto praticamente tutti i «mobiles» sospesi di Tuan Andrew Nguyen (85mila-185mila dollari); Casey Kaplan ha piazzato più sculture ibride di Hannah Levy (45mila–80mila dollari). Nel settore Focus, Yehwan Song ha immediatamente piazzato la sua installazione multimediale per 22mila dollari a un’istituzione privata: l’opera era un’esplorazione del disagio digitale e della soggettività algoritmica. Premiato anche il booth di Mitre Galeria con le sculture totemiche di Luana Vitra (12mila –26mila dollari), che ha appena inaugurato una personale allo SculptureCenter.

Lo stand di Alice Amati a NADA con opere di Danielle Fretwell. Photo Gabriele Abbruzzese
La stessa energia ha attraversato NADA, aperta in contemporanea a Frieze, spostandosi quest’anno per la prima volta nello Starrett-Lehigh Building. Qui si è distinta Alice Amati, che al debutto in fiera ha fatto il tutto esaurito in preview con una personale di Danielle Fretwell (5mila–17mila dollari), così come Chilli Projects con Christopher Paul Jordan (4mila-20 mila), un artista attualmente in residenza a NXTHVN di Titus Kaphar e con già in programma una mostra da James Cohan. Prezzi contenuti ma risposte vivaci anche per El Apartamento, CONSTITUCIÓN e Third Born, che hanno attratto nuovi collezionisti con lavori poetici, materici e spesso profondamente legati alla memoria e all’identità diasporica. Atmosfera più intima ma curatorialmente ambiziosa quella respirata a Independent, aperta l’8 maggio a Spring Place, Tribeca. Qui sono state proprio le presentazioni monografiche più articolate a riscuotere i migliori risultati. Swivel Gallery ha praticamente esaurito lo stand con le sculture tessili iperrealistiche di Lucia Hierro (8mila–25mila dollari), che trasformano prodotti di largo consumo in simulacri pop e incisivi strumenti di critica sociale. Michelle Grabner ha proposto un’installazione di oggetti da bagno in ceramica, compresi rotoli di carta igienica e carrelli da pulizia, con prezzi democratici tra 800 e 3mila dollari, ironizzando sulla logica del lavoro e del consumo. Fra le vendite più rapide, Monique Meloche ha venduto tutte le opere dell’artista emergente Jake Troyli (3.500–45mila dollari), in vista della sua prima personale museale nel 2027. Charles Moffett ha piazzato quasi l’intero booth dedicato a Julia Jo (10mila–45mila dollari), i cui dipinti stratificano gesto, figura e tensione cromatica in composizioni sempre più potenti. Prezzi simili e numerose vendite rapide anche per Alicia Adamerovich, presentata da Michael Kohn, mentre Tomio Koyama Gallery ha venduto dodici opere dell’artista giapponese Satoru Kurata, il cui stile airbrush unisce surrealismo, animazione digitale e riflessioni sulla follia umana, tutte sotto i 29mila dollari. Sempre ad Independent, l’italiana Vistamare ha presentato una selezione di nuovi lavori di Rosa Barba, in coincidenza con l’apertura della sua personale al MoMA, un traguardo che consolida la sua crescente affermazione a livello istituzionale, dopo tappe fondamentali come la Tate, il LACMA e numerose biennali. Le opere in mostra riflettono un’estetica più essenziale, dove la pellicola viene trattata come materia viva: luce, suono e testo si intrecciano per indagare il potenziale del cinema nel catturare, distorcere o alterare la memoria. I prezzi variano tra i 38mila e i 160mila euro, e l’interesse dei collezionisti, soprattutto museali, è stato subito evidente.

Lo stand della galleria bolognese P420 ad Independent. Photo Sebastiano Pellion di Persano
Esther, la più giovane delle fiere, ha anticipato quest’anno tutte le altre aprendo la sua seconda edizione martedì 9 maggio presso l’Estonian House, con focus sull’Europa dell’Est e sulla ricerca curatoriale. Più lenta nei ritmi di vendita, ha comunque ottenuto ottimi riscontri critici con proposte come le sculture cibernetiche di Rachel Yun, le miniature disturbanti di Wen Jue e le forme in cera e ceramica di Gideon Horváth. Future Fair consolida invece il proprio ruolo come piattaforma per nuove scoperte: Real-Time ha venduto tutte le opere di Paree Rohera (3mila–5.800 dollari); newcube ha chiuso con la vendita dell’opera principale in batik di Rachel Hakimian Emenaker al 21c Museum Hotel; Galeria Laetitia Gorsy ha piazzato cinque lavori di Josefine Schulz. L’impressione generale fra le fiere più dedite? Il collezionismo americano rimane comunque attento, informato, e sempre più incline a sostenere narrazioni emergenti e visioni intersezionali, nonostante le incertezze del periodo.

Uno scorcio della fiera Esther. Photo Matthew Sherman
In un registro completamente diverso per fasce di prezzo e posizionamento, TEFAF ha aperto l’8 maggio in parallelo a Independent, confermando fin dalla preview il suo status di mercato d’eccellenza. «In questo momento particolare, ho percepito una risposta dei collezionisti tanto responsabile quanto solida, sono tornati con astuzia sul mercato, intuendo che questo è un momento favorevole per acquistare», ha dichiarato Nicolo Cardi, che ha venduto un «Achrome» di Manzoni (oltre 330mila dollari), un «Bianco» di Bonalumi (120mila), décollage di Rotella (55mila ciascuno) e due opere di Davide Balliano (35mila l’una), oltre a un Josef Albers e un Pettibon. Tornabuoni Arte ha trovato nuovi acquirenti americani ed europei per lavori di De Chirico, Boetti, Parmiggiani e Rotella, con un Fontana ancora in riserva. «Siamo molto soddisfatti della presenza dei nostri clienti e collezionisti. TEFAF ha sostenuto in modo fondamentale la nostra presenza a New York», ha commentato Robilant + Voena, che ha presentato un monumentale «Myths (Multiple)» del 1981 di Andy Warhol, in rosa, tributo alle celebrità, in dialogo con una rara e aggraziata scultura in ottone di Melotti, tre rari tagli fucsia e una quarta opera di Lucio Fontana in arancione, insieme a ceramiche del pioniere argentino dello spazio e della materia. David Zwirner ha presentato una selezione di sculture e disegni di Ruth Asawa, vendendo quattro opere (320mila–2,8 milioni di dollari) e sei lavori su carta (50mila –160mila). Ortuzar Projects ha piazzato un’iconica Lee Bontecou del 1959 (circa 2 milioni di dollari), mentre Thaddaeus Ropac ha venduto rapidamente opere di Daniel Richter. Gagosian ha fatto sold out con Anna Weyant, piazzando una grande tela a 300mila dollari e otto piccoli lavori da 90mila ciascuno. Tra le scoperte e gli highlight di quest’edizione, un raro ritratto di principe africano di Gustav Klimt, creduto perduto durante la guerra, in vendita per 15 milioni di euro. Sul fronte dell’antico, David Aron Ltd ha venduto un falco di Horus in bronzo cavo del Periodo Egizio Tardo con prestigiosa provenienza, accanto a due Veneri cicladiche. Se questa settimana nonstop di fiere di New York è stata un banco di prova per la vitalità del mercato, il verdetto è chiaro: la domanda c’è, gli acquirenti anche. Tuttavia, il vero test sarà rappresentato dalle aste della settimana in corso, che offriranno una valutazione più precisa dell’andamento del mercato, non solo negli Stati Uniti, ma anche rispetto all’influenza esercitata dal contesto politico attuale e dalle recenti decisioni dell’amministrazione presidenziale sul mercato globale dell’arte.
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