Veronica Rodenigo
Leggi i suoi articoliQuattro giorni di lavori, dal 29 gennaio all’1 febbraio, sei tavoli tematici, oltre 100 partecipanti coinvolti. È il programma di NextGenHeritage, iniziativa rientrante nel progetto «Crest-Cultural Resources for Sustainable Tourism» (Spoke 9 del progetto di ricerca Pnrr «Changes»), guidato dall’Università Ca’ Foscari di Venezia e che si pone l’obiettivo, attraverso un approccio partecipativo, di elaborare possibili proposte per un aggiornamento del Codice dei Beni Culturali.
Quattro i tavoli di lavoro a cui sono stati chiamati gruppi eterogenei di esperti, tra cui James Bradburne (Fondazione Reggio Children), Alessandro Bollo (direttore del Museo Nazionale del Risorgimento Italiano di Torino), Massimo Osanna (Direzione generale Musei del MiC) e Fabio Pagano (direttore del Parco Archeologico Campi Flegrei). Citizen Science: partecipazione dei cittadini alla ricerca e alla governance sui beni culturali; Liberi tutti: vivere la cultura attraverso il libero accesso a dati e immagini dei beni culturali; De-Patrimonializzare: il ruolo dei privati nella conservazione e la valutazione sui beni culturali seriali a vantaggio della sostenibilità; Esseri umani, natura, paesaggio: abitare gli ambienti naturali adottando regole fluide.
Due i tavoli di lavoro riservati invece agli under 35 (Heritage Rewind: Newcomers, Migrazioni e patrimoni culturali nazionali; Climate Change e beni culturali: dialoghi (im)possibili mentre un ultimo appuntamento, NextGenVenice, aperto alla cittadinanza veneziana, verrà riservato a una «call for ideas» per immaginare scenari futuri per la città e la laguna.
L’archeologo Diego Calaon, docente dell’Ateneo veneziano e coordinatore, insieme alla collega Monica Calcagno di Crest, ci illustra nel dettaglio natura e finalità dell’iniziativa.
Qual è nello specifico il ruolo di Ca’ Foscari?
Crest è lo Spoke 9 di cui Ca’ Foscari è capofila rientrante nel progetto «Changes» all’interno del quadro d’intervento del Pnrr. «Changes» è un «ecosistema» da 115 milioni di euro che coinvolge 11 università, più di 300 professori e ricercatori in tutta Italia. Venezia ha il ruolo di curare l’ultimo pezzetto di questo grande progetto che guarda i beni culturali post pandemia per creare un modo di studiarli, mapparli, restaurarli. Noi abbiamo preso in consegna il passaggio alla società di questi beni e quindi l’uso in chiave anche economica e turistica, una direzione che si concretizza con Crest, acronimo di Cultural Resources for Sustainable Tourism.
In questo percorso non si parla tanto di sostenibilità ambientale, che di per sé deve esserci, bensì di sostenibilità sociale. Bisogna quindi chiedersi come l’uso dei beni culturali, la loro definizione debba essere compatibile con le comunità e la cittadinanza come ci dice la Convenzione di Faro e come dovrebbero essere le regolamentazioni dei beni culturali ispirate ai più moderni indirizzi di Comunità Europea, Council of Europe, Unesco e Icomos. Il ruolo dell’Università Ca’ Foscari è quello di scrivere un vademecum che ci indichi dove si dovrebbe andare. E noi abbiamo pensato di farlo in questa maniera collaborativa. Abbiamo preparato ampi documenti istruttori e invitato a Venezia un gruppo volutamente eterogeneo tra accademia, società civile, giornalisti, scrittori, imprenditori della cultura per provare a pensare insieme un testo condiviso che funzioni come policy su quei temi.
La vostra finalità è comunque quella di presentare gli esiti di questi tavoli di lavoro per un aggiornamento del Codice dei Beni Culturali?
Sì. Noi non siamo dei legislatori ma il successivo step sarà il passaggio formale di questo testo ai Ministeri di riferimento: al Ministero della Cultura, del Turismo e dell’Università, alla luce anche di un elemento presente all’interno dell’attuale Codice che afferma che gli uffici del Ministero, in accordo con gli enti e le università posson definire le variazioni di questo Codice, guardando giustamente alla ricerca. Il passaggio di trasmissione formale del documento finale (che verrà sottoposto anche a un altro comitato di revisori) arriverà agli organi competenti alla fine del 2025 a Roma attraverso altre tre giornate di lavoro sulla governance. Intendiamoci: il nostro Codice funziona. Ma questo lavoro mira a evidenziare una criticità sociale. Siamo davanti a un mondo che è completamente cambiato, nella sua globalizzazione, nella sua composizione sociale ma anche di fronte alle criticità ambientali. In un’ottica di «overpopulation», lo spazio diminuisce, le scelte di sostenibilità vanno fatte. Non si tratta tanto di una critica al Codice, bensì di un tentativo di individuare, attraverso l’opportunità del Pnrr, una direzione da intraprendere facendo ancora meglio, aggiornando le pratiche, non in una condizione di scontro politico e ideologico.
È fiducioso che poi tutto questo verrà recepito o si perderà, come spesso succede in Italia, in un nulla di fatto?
Questo è il rischio più alto ma per arrivare a dei cambiamenti sono necessarie anche azioni del genere. Dopo vent’anni la convenzione di Faro è diventata legge del nostro Stato. Quindi un po’ alla volta, le cose si fanno. Seminando. Vanno «digerite» e se ne parla anche con una possibilità di realizzazione. Forse quello che un po’ manca alla nostra Accademia su questi temi è il coraggio di prendere posizione in maniera chiara. Ad esempio, il secondo tema, quello dei diritti d’autore sulle immagini è un tema che va risolto ma tutto il mondo sta andando in un’altra direzione. Abbiamo un po’ la tendenza a lamentarci ma non a proporre una soluzione pratica. Anche la politica ha bisogno che i cittadini siano attivi.
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