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Non un’asta di capolavori, ma un capolavoro d’asta

Bruno Muheim

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Quando a fine marzo è uscita la notizia che Christie’s tra le altre opere metteva in asta l’11 maggio a New York un Picasso del 1955 della serie «Femmes d’Alger» e «L’homme au doigt» di Giacometti entrambi con una valutazione al di sopra di 130 milioni di dollari in tanti ci siamo detti che sarebbe stata l’«asta di troppo», positiva da un certo punto di vista, ma pericolosissima per l’insieme del mercato dell’arte. Mercato che, eccezion fatta per l’arte del XX secolo, non gode di grande salute. I prezzi pagati rispettivamente di 179,4 e 141,3 milioni di dollari sono incredibili e terrificanti.

La prima necessaria constatazione è che nessuna delle due opere è veramente un unicum.
Il Giacometti è un opera multipla, una di un’edizione di sei. Vorrebbe dunque dire che le sei sculture dell’«Homme au doigt» valgono complessivamente 900 milioni di dollari? Il catalogo ragionato di Giacometti conta più di mille voci: allora quanto vale l’opera globale di Giacometti? Il valore in borsa di una multinazionale?

Il Picasso certo è un’opera di mano del maestro, ma anch’essa fa parte di una serie numerosa, con lo stesso soggetto delle donne d’Algeri, un omaggio a Delacroix e a Matisse del 1955; tutte opere molto simili che contano centinaia di disegni e 15 quadri, di cui sette notevoli. Il quadro di Christie’s è uno di questi.

Da notare anche che l’intera serie delle «Femmes d’Alger» fu comprata in blocco presso la galleria Louise Leiris da Victor Ganz nel 1956 per 212mila dollari; in particolare poi il nostro quadro fu acquistato nel 1997 per 31,9 milioni di dollari dall’attuale venditore. Nessuna lotteria al mondo consente questi guadagni.

Come può un dirigente di Christie’s dichiarare che questo quadro sia l’equivalente di «Guernica» o delle «Demoiselles d’Avignon», opere fondamentali e uniche, pietre miliari della storia dell’arte e dei periodi più importanti di Picasso dopo i periodi blu e rosa? Come si può impunemente dire che un quadro del 1955 di Picasso abbia una tale importanza? Quanto varrebbe allora un grande quadro del 1905 o del 1908? Come può il comunicato stampa dichiarare che questo Picasso è uno degli ultimi al mondo in mani private, quando le case di grandi collezionisti di Zurigo, Parigi, Londra e New York straboccano di quadri più importanti? E quando specificamente due opere della serie «Femmes d’Alger» sono proprietà del mercante Joe Nahmad, dunque in vendita?

Basta che Nahmad e ciascuno degli eredi Picasso vendano un centesimo delle loro opere del maestro per affondare il mercato. Si sa di certo che Marina Picasso sta vendendo privatamente diversi quadri importanti del nonno per finanziare la sua fondazione per bambini vietnamiti.

Il catalogo Zervos, che è riconosciuto come l’elenco più preciso delle opere di Picasso, conta 16mila esemplari; solo il Museo Picasso a Parigi vanta 5mila opere dell’artista in suo possesso.
Picasso vale dunque più del Pil dell’Italia?

Si noti poi che prima della vendita il Giacometti era dato per invenduto e il Picasso sicuramente venduto, per una semplice ragione: il proprietario della scultura, esterrefatto dai prezzi attuali, aveva deciso di mettere l’opera in vendita sperando quasi di non venderla per averla indietro in casa e aveva rifiutato una garanzia bancaria della casa d’aste; il titolare del Picasso invece aveva imposto a Christie’s una forte garanzia. Dunque tutti gli sforzi di Christie’s erano tesi a difendere tutti i quadri nei quali la casa d’aste aveva impegni finanziari forti.

Non si parlerà mai abbastanza degli effetti perversi delle garanzie offerte dalle case d’asta ai loro venditori. Come può un esperto di casa d’aste essere obiettivo a promuovere quadri di uguale importanza quando il suo datore di lavoro è molto esposto economicamente su un quadro e non sull’altro? Soprattutto quando le cifre sono iperboliche come oggi? Si dice che sui dieci quadri più importanti dell’asta nove avessero una garanzia. Una casa d’aste deve essere rigorosamente e unicamente un intermediario e nient’altro. Non deve essere sospettata di conflitto di interesse.

Siamo veramente sicuri che tutti i fatti summenzionati siano stati messi a conoscenza dei potenziali acquirenti? Soprattutto quando si sa che, sempre secondo le dichiarazioni ufficiali di Christie’s, tutti i partecipanti di questa asta sono nuovi sul mercato: i «veterani» collezionano da meno di cinque anni, la maggior parte è nell’ambiente da sei mesi o un anno, dunque senza cultura specifica e senza memoria del mercato. Se ne deduce che tutti i tradizionali collezionisti si sono ritirati dal mercato, oppure che sono stati economicamente espulsi. E con loro se ne sono andati saggezza e conoscenza.

Si parla sempre di autoregolamentazione del mercato dell’arte; in questo caso il concetto sembra un treno fantasma. Gli esperti, pur di costruire aste sempre più forti, si assumono tutti i rischi, pronti a saltare in aria con il mercato quando questo esploderà. Sarebbe interessante sapere quanto guadagnerà veramente il proprietario di Christie’s François Pinault su quest’asta avendo anticipato centinaia di milioni di dollari ai venditori. Ha già dimenticato che tutti i problemi di Sotheby’s, quando Taubman era presidente, nacquero da un’asta simile, con forti anticipi garantiti, che andò malissimo, provocando centinaia di licenziamenti nell’azienda, oltre a un forte abbassamento del patrimonio personale di Taubman?

Si potrà dire che sono giochi tra ricchi, senza conseguenze per noi comuni mortali. Purtroppo non è questo il caso per gli amanti dell’arte, che nell’attività dei musei e nelle mostre vedranno in pochissimo tempo dei cambiamenti profondi. Come sarà possibile organizzare una mostra di cento opere importanti del XX secolo? La percentuale dei costi assicurativi rimane sempre la stessa. Quando il budget globale di una mostra era di cento milioni di euro, diverse centinaia di migliaia di euro erano destinate a pagare le quote assicurative; ora, con cifre più di dieci volte superiori, nessun comitato organizzativo può permettersi queste somme e nessuno sponsor è pronto a pagare tanti milioni solo per un’assicurazione.

La serie infinita di mostre dei capolavori impressionisti del solito museo sudamericano o dell’Est appartengono ormai al passato. Possiamo perfino rallegrarci che un filo in più d’immaginazione si renda necessario da parte degli organizzatori per trovare argomenti più sofisticati, piuttosto che ripetere certe mostre «chiavi in mano» che sono sempre di più una triste specialità italiana.

Lo Stato in molti Paesi è generalmente assicuratore di se stesso, quindi si assumerà i propri rischi; ma come farà un museo cittadino o privato ad assicurare a prezzo di mercato la sua sezione «arti del XX secolo»? I furti su commissione, che non sono un’invenzione romanzesca, cresceranno vertiginosamente.

Per esempio, come farà uno dei più bei musei del mondo, la Fondation Maeght a Eze sulla Costa Azzurra, ad assicurare il suo patrimonio all’aperto, esposto nei giardini, delle più eccezionali sculture di Giacometti? Numero chiuso, ingresso su inviti o solo su prenotazione per piccoli gruppi sono soluzioni che tutti questi musei stano valutando. (Possiamo già immaginare la trama del prossimo film di 007: la Spectre tenta di rubare in elicottero tutte le sculture, guardate a vista nei patio all’aperto da gorilla armati, ma James, con l’aiuto delle «Bond girls», che nella fattispecie saranno tutte interpretate dalle venditrici di Gagosian e Ropac, fa trionfare le forze del bene). Anche se nel caso in oggetto il vero problema non è il furto, ma i danni provocati dai visitatori, dalla «carrozzina maledetta» (non della corazzata Potiomkin, ma della madre esaurita) allo zainetto dello studente fuori corso che fracassa tutto al suo passaggio. Si può immaginare una società assicurativa che chieda danni miliardari a povere madri esauste e a giovani eterne promesse?

Per certi versi l’asta del 13 maggio di arte contemporanea, sempre da Christie’s, è stata più ragionevole. Gli 81.925.000 dollari pagati per uno straordinario Pollock e i 56.165.000 dollari per un capolavoro assoluto di Freud sembrano più realisti. Anche se pagare più di 16 milioni di dollari per un Kippenberger e quasi 6,5 milioni per un’opera di Giovanni Anselmo viene più dalla fantascienza che dalle scienze esatte.

Intravediamo un mercato che le case d’asta non riescono più a controllare, per una visione estremamente miope, di breve termine e con conseguenze catastrofiche. Si vocifera che le garanzie offerte ai venditori su nove dei dieci quadri più importanti messi in vendita da Christie’s ammontassero a un totale di 400 milioni di dollari. Immaginiamo che l’asta fosse andata male: la soluzione sarebbe stata una sola, il fallimento. Tutti a casa.

Bruno Muheim, 05 giugno 2015 | © Riproduzione riservata

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