«Liberty, Equality, Biodiversity», Lodz Fotofestiwal 2022. Materiali: pareti modulari rimovibili utilizzate negli ultimi quindici anni del festival, cornici riutilizzate, proiezioni.

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«Liberty, Equality, Biodiversity», Lodz Fotofestiwal 2022. Materiali: pareti modulari rimovibili utilizzate negli ultimi quindici anni del festival, cornici riutilizzate, proiezioni.

Nuove immagini: l’impatto ecologico della fotografia | Fotografia, attivismo e «festivalizzazione»: idee per una cultura sostenibile

Come possono gli operatori culturali garantire sistemi metodologici e organizzativi più sostenibili?

Krzysztof Candrowicz

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I package digitali del Giornale dell’Arte sono focus semestrali che presentano articoli di approfondimento commissionati per l’occasione ad autori internazionali. L’obiettivo è analizzare, discutere ed esplorare le tematiche più significative per la fotografia e la cultura visiva contemporanea attraverso voci autorevoli provenienti da diversi background.

Non c’è bisogno di specificare il momento critico che stiamo affrontando. I media ce lo ricordano ogni giorno: scoppiano nuove guerre e conflitti, flora e fauna si estinguono, i ghiacciai si sciolgono, le foreste scompaiono, il pianeta si riscalda e la razza umana rischia un’estinzione di massa. Stiamo assistendo in diretta all’impoverimento della biodiversità che si è sviluppata in milioni di anni, praticamente scomparsa davanti ai nostri occhi negli ultimi due secoli. E questo non succede per mancanza di conoscenza o di soluzioni, ma è in gran parte colpa della nostra miopia, dell’indifferenza e, nel peggiore dei casi, del deliberato sfruttamento inscritto nel modello capitalistico.

Tuttavia, per non rimanere impantanati in una narrativa che ci vede inermi di fronte all’inevitabile distruzione, è meglio focalizzarsi su possibili soluzioni e passi necessari a evitare ulteriori disastri planetari. Questo vale per tutti i campi della nostra vita quotidiana, inclusi arte e cultura. Per dare vita a scenari futuri coraggiosi e promettenti, c’è bisogno di agire in fretta. Vediamo insieme cosa significa adottare un approccio realmente sostenibile e come tutti noi, artisti, curatori e operatori culturali, possiamo contribuire a quest’inversione di rotta.

L’arte come attivismo

L’arte contemporanea affronta spesso emergenze sociali ed ecologiche. Gli strumenti più efficaci per rilanciare i temi legati all’Antropocene, al cambiamento climatico e alla perdita di biodiversità, sono ovviamente il progetto artistico in sé e il messaggio che vi è alla base. A dire il vero, spesso è difficile tracciare una linea di demarcazione netta tra artisti e attivisti, soprattutto quando si tratta di forme d’arte politicamente/ecologicamente impegnate. Tra i numerosi esempi, vale la pena citare quella che è stata una grande svolta nella storia dell’arte, l’opera di land art di Joseph Beuys «7000 Oaks - City Forestation Instead of City Administration», presentata a Documenta 7.

Con l’aiuto di volontari, nel corso di cinque anni l’artista ha piantato nella città di Kassel 7.000 querce, ognuna delle quali accompagnata da una pietra di basalto. Inizialmente le pietre furono accatastate di fronte al museo Fridericianum, venendo successivamente rimosse man mano che gli alberi venivano piantati. Spezzando la passività burocratica, questo progetto fu un’azione concreta che si rivelò molto efficace per sensibilizzare il pubblico sul tema ambientale. Inoltre, possiamo considerarlo un ottimo esempio del grande potenziale che si cela dietro il lavoro degli artisti, in quanto illustra i diversi aspetti da prendere in considerazione per realizzare un’opera davvero significativa.

In primis, sono fondamentali il luogo e la collocazione dell’opera: vanno realizzate mostre all’aperto ed esperienze fisiche interattive al di fuori di musei e gallerie, ad esempio in contesti naturali e nello spazio pubblico. In secondo luogo, i materiali: quando si progetta un’opera o una performance, è importante fare uso di materie prime ecosostenibili, essere eco-consapevoli, pianificare azioni mirate nel rispetto dell’economia circolare e utilizzare materiali che comunichino l’impatto negativo dell’umanità sull’ambiente (ad esempio, plastiche e altri materiali riciclati da rifiuti industriali). Il processo alla base di un’opera è altrettanto rilevante: per esempio, bisogna coinvolgere le comunità locali nei processi creativi e optare per la produzione collettiva di scenari alternativi. Infine, va data maggiore importanza al messaggio stesso, fornendo contenuti artistici intelligibili e stimolanti che coinvolgano il pubblico tanto emotivamente quanto intellettualmente.

Una mostra che tiene conto di tutti e quattro gli aspetti qui citati è «Cidades na Cidade» (Città nella città), allestita nella stazione centrale della metropolitana di Porto durante la Biennale di Fotografia 2021. Il progetto è stato concepito seguendo il quadro di riferimento che abbiamo appena visto: 1) la location è un nodo di transito centrale, dove ogni giorno migliaia di persone si imbattono nella mostra; 2) i materiali utilizzati sono stati riciclati da rifiuti industriali e, finita la mostra, gli espositori in vetro e metallo sono stati restituiti ai fornitori per essere riutilizzati; 3) i lavori presentati dagli artisti, Carlos Barradas e Maria Sainz Arandia, sono il risultato di un progetto a lungo termine realizzato insieme alle comunità locali, rispettivamente di Porto e di Valencia; 4) per quanto riguarda il contenuto dei progetti, entrambi sono incentrati sui quartieri urbani, sulla giustizia sociale e ambientale, sulle pratiche rigenerative e sul giardinaggio urbano.

Un altro modo in cui modo possiamo affrontare la questione è analizzare lo sfondo psicologico e filosofico della crisi climatica e delle emergenze ambientali. Oltre a soffermarsi sulle soluzioni immediate a breve termine, è fondamentale fare un passo indietro per riflettere su cosa ci ha allontanato dall’esperienza non umana, innescando un processo di antropizzazione dell’ambiente naturale. Per giungere a una dimensione di consapevolezza più ampia, dovremmo ricordare a noi stessi l’importanza delle comunità interspecifiche che abitano il nostro pianeta, basate su un’infinità di relazioni tra esseri umani, animali, piante, funghi e microrganismi, e ampliare così la portata delle narrazioni antropocentriche. Così facendo, le nostre vite intrecciate diventano ancora più importanti perché diveniamo consapevoli del fatto che la sopravvivenza dell’umanità dipende dal mantenimento della biodiversità e dal potenziamento degli scambi tra specie diverse.

Pertanto, essere sostenibili significa creare una contemporaneità realmente egualitaria e inclusiva, basata sulla comprensione e sulla solidarietà interspecifica. Per ribadire il concetto di una prospettiva non antropocentrica, vorrei citare la collettiva che ho curato per Lodz Fotofestiwal nel 2022, dal titolo «Liberty, Equality, Biodiversity», interamente dedicata alla coesistenza, al rispetto e alla simbiosi tra le diverse forme di vita. Lo scopo della mostra era analizzare l’attività umana, mettere in discussione i nostri comportamenti, mostrare nuove soluzioni e porre domande fondamentali legate alla consapevolezza interspecifica.

Per concludere, riguardo alle correlazioni tra narrazione artistica e attivismo, penso che una delle domande cruciali sia: come può l’arte impegnata raggiungere un pubblico eterogeneo senza essere allo stesso tempo didascalica? Dal momento che un approccio moralista spesso ha l’effetto di allontanare il pubblico sortendo l’effetto opposto di quello voluto, è consigliabile adottare metodi che consentano ed incentivino il dialogo, lasciando spazio all’interpretazione, senza «sbattere in faccia» verità assolute. Un metodo efficace è comunicare la conoscenza scientifica in modo sensibile, umano e sincero, fornendo però allo stesso tempo le informazioni necessarie per una vera comprensione; in questo senso, la fotografia può rendere visibili e fruibili realtà diverse, offrendo una forma di coinvolgimento empatico e non moralista che rende meno netti i confini tra relazioni umane e non umane, in netto contrasto alle reazioni suscitate dai dati che circondano le discussioni sulla sostenibilità, spesso interpretati per scopi strumentali (politici/economici).

L’attuale crisi globale ha portato attivisti e artisti nelle strade, sotto gli occhi di tutti. In un’epoca di capitalismo globalizzato e di media digitali, ora più che mai l’attivismo, per farsi notare, si affida alla spettacolarizzazione. Allo stesso tempo, un numero crescente di creativi, come street artist, creatori digitali e fotografi, ha iniziato a utilizzare approcci originali per confrontarsi con l’establishment, manifestare la propria resistenza e invocare un cambiamento. Un ottimo esempio di collaborazione all’interno di un movimento di protesta viene dalla Polonia: si chiama «Archive of Public Protests» (Archivio delle Proteste Pubbliche) ed è una raccolta collettiva di immagini che documentano pratiche di attivismo sociale e iniziative dal basso, costituendo un monito contro il populismo crescente, la discriminazione e la crisi climatica.
 

Copenhagen Photo Festival. Materiali: contenitori e legno riutilizzati, tende, immagini stampate su tessuto.

«Getaway» di Gouled Ahmed (davanti) e Anya Tsaruk (dietro) alla Biennale Utopias Lahti 2023. Materiali: cornici e costruzioni in legno ricavate da materiali di scarto dei cantieri, stampe a sublimazione su tessuto in poliestere riciclato al 100%, stampe inkjet su carta da giornale in eccedenza proveniente da una tipografia locale e stampe inkjet su carta di cotone riciclata prodotta localmente da asciugamani in eccedenza

L’impronta ecologica della «festivalizzazione»

Potrei citare molti altri progetti esemplari e stimolanti, ma passiamo alle questioni pratiche del dietro le quinte: la trasparenza e l’approccio integrativo degli addetti ai lavori sono importanti tanto quanto le iniziative artistiche. Un’autovalutazione richiede un atteggiamento autocritico: dobbiamo essere onesti ed esaustivi quando affrontiamo l’impronta ecologica delle nostre attività.

Di fronte alla crisi globale in corso, è fondamentale attuare un vero e proprio cambiamento radicale e proporre nuove strategie professionali che si basino sulla responsabilità sociale e ambientale. È essenziale costruire reti, comunità e occasioni di formazione che contribuiscano a sensibilizzare sul tema ambientale e fungano da supporto per individuare strumenti e soluzioni concrete. Il settore culturale ha un ruolo cruciale nella «ricostruzione strutturale», ovvero nella rifondazione di valori pratici e morali. Ma come possiamo noi, operatori culturali, garantire sistemi metodologici e organizzativi più sostenibili?

Che si tratti di istituzioni, mostre, eventi o festival, è necessario trovare un equilibrio tra attività artistiche e sostenibilità. La maggior parte delle soluzioni richiedono solamente di essere aperti al cambiamento e rispettare l’ambiente e dunque, tutto sommato, sono realizzabili facilmente, mentre altre necessitano di una pianificazione anticipata e talvolta anche di un budget aggiuntivo.
Considerando che la cultura lavorativa all’interno delle istituzioni influisce molto sui risultati, è possibile incrementare le attività dal basso verso l’alto promuovendo l’educazione ambientale all’interno del team e aumentando le azioni quotidiane volte al risparmio delle risorse. Ad esempio, se siete datori di lavoro, potete promuovere tra i vostri dipendenti l’uso del trasporto pubblico o di biciclette, l’acquisto di prodotti alimentari equosolidali e locali, la raccolta differenziata e una scelta accurata di forniture e materiali per ufficio.

Uno degli eventi più attenti all’impatto ambientale di cui abbia mai sentito parlare è Utopias Lahti, in Finlandia: una piattaforma per pratiche artistiche fondate sul potere dell’immaginazione, della fantasia e dell’osservazione consapevole, applicate a temi che richiedono un cambiamento sistemico (principalmente la crisi climatica). Lungo tutto l’intero processo di realizzazione (dalla selezione delle mostre all’organizzazione del programma), il festival è accuratamente curato e costruito con una forte enfasi sulla sostenibilità, l’accessibilità e l’inclusione. VTRY, l’ente che sta dietro all’evento, è profondamente impegnato a sostenere il principio «zero rifiuti» durante tutte le fasi di lavoro. Per raggiungere questo obiettivo, tutti i materiali sono reperiti principalmente attraverso un approccio di economia circolare (compresa la produzione di carta riciclata).

Quando si tratta di implementare una strategia di sostenibilità, Getxophoto, nei Paesi Baschi, in Spagna, emerge come uno dei festival di fotografia più ecosostenibili d’Europa. Negli ultimi anni, insieme alle autorità locali, ha attuato una complessa strategia per ridurre al minimo il suo impatto ambientale, sviluppando un piano di sostenibilità a più livelli che comprende diverse iniziative, tra cui l’incentivo all’uso di trasporti pubblici da parte degli ospiti invitati, la segnalazione di fontanelle vicine alle location espositive, la riduzione dei materiali stampati e la conseguente adozione di alternative digitali, l’uso di inchiostri ecologici per la stampa, la realizzazione di attività ricreative all’aperto, e molte altre.

Sull’homepage del loro sito web sono elencate numerose soluzioni, pronte per essere applicate da chiunque. Una di queste è l’«upcycling» [1] dei materiali allestitivi che ogni anno vengono ri-progettati e ri-utilizzati in varie forme. Ovviamente queste non sono idee del tutto nuove, e ci sono molti altri festival che applicano soluzioni simili, ma sarebbe bello se fossero una nuova normalità: se non possiamo riutilizzare il materiale nella sua forma originale, possiamo dargli una nuova vita. L’obiettivo è limitare gli acquisti a favore del riciclo e della lavorazione di materiali già usati, che siano di proprietà dell’organizzazione o condivisi con altre istituzioni.

Un altro esempio di istituzione impegnata a favore dell’ambiente è FUTURES, una piattaforma fotografica europea in cui la sostenibilità gioca un ruolo importante. La sua sezione educativa e i partner dell’iniziativa, come il Copenhagen Photo Festival, il Lodz Fotofestiwal, la Biennale di Fotografia di Porto, o Camera Torino, hanno già ospitato eventi legati alla responsabilità sociale e ambientale. Il risultato è stato una serie di workshop chiamati «Art in Action», dedicati alle sfide del settore dell’arte di fronte alla crisi globale. Il progetto si rivolge in particolare a festival, musei, fiere d’arte, gallerie, curatori indipendenti, produttori e individui che lavorano nel settore della cultura visiva, con l’obiettivo primario di aumentare la consapevolezza e favorire la generazione, la co-creazione e la condivisione di nuove soluzioni.

Esistono molte altre buone pratiche che possono ridurre l’impronta ecologica dei festival e degli eventi fotografici. Per esempio, scegliere fornitori sostenibili per la produzione di gadget e merchandising (come tazze, magliette, bottiglie d’acqua); comprare in loco quando possibile; acquistare prodotti e materiali durevoli, riciclabili e riutilizzabili; utilizzare carta piantabile per biglietti/volantini/flyer; incoraggiare gli ospiti e il pubblico a utilizzare trasporti sostenibili; promuovere partnership con altri progetti allineati sulla causa, per esempio collaborando con consulenti ecologici e aziende eco-friendly (compresi i fornitori di catering). Inoltre, ove possibile, è auspicabile l’utilizzo di risorse locali e la riduzione delle attività ad alta intensità energetica. Anche le nuove tecnologie dovrebbero essere associate alla consapevolezza del risparmio energetico e all’utilizzo di fonti rinnovabili.

«Cidades na Cidade», Biennale di Fotografia di Porto, 2021. Materiali: strutture industriali riutilizzate, espositori in vetro e metallo che verranno restituiti ai fornitori dopo la mostra

Greenwashing

Infine, le organizzazioni che danno priorità all’emergenza climatica sono chiamate a promuovere attività che favoriscano la consapevolezza ecologica e, idealmente, a stanziare un budget dedicato specificamente alle iniziative di sostenibilità. I finanziamenti dovrebbero provenire da sponsorizzazioni «etiche» per evitare il fenomeno sempre più popolare per cui aziende inquinanti finanziano progetti culturali solo al fine di fuorviare l’opinione pubblica sulla loro responsabilità sociale e ambientale. A questo proposito, un altro passo importante dal risvolto pratico è quello di assicurarsi che la propria banca non investa nell’economia estrattiva e nelle imprese petrolifere. Se non riuscite a trovare informazioni direttamente presso la vostra sede, potete consultare il sito web di Bank Green e, se necessario, optare per banche che investono solo in progetti di energia rinnovabile.

Purtroppo, anche nell’ambito delle arti ci sono casi di greenwashing, ma preferirei non dilungarmi nell’illustrazione degli esempi negativi di strumentalizzazione della sostenibilità, spesso attuata con l’obiettivo di ricevere fondi pubblici. Tuttavia, guardando al lato positivo, capita spesso che il beneficio economico ricevuto possa incentivare un cambiamento strutturale. In questo caso, le azioni sostenibili risultano gratificanti e valgono lo sforzo anche per chi non ha una forte motivazione interna.

Le preoccupazioni ecologiche non hanno ancora varcato la soglia della nicchia all’interno della quale si esprime il movimento ambientalista ed è per questo motivo che​​abbiamo bisogno di un cambiamento radicale, che porti a una revisione profonda degli attuali squilibri. Il metodo più ragionevole per bilanciare gli sforzi investiti è la via della resilienza e dell’attivismo sostenibile. Solo un atteggiamento di speranza può aiutarci a rimanere lucidi.

In conclusione, ciò che accadrà nei prossimi decenni dipende in gran parte da noi, poiché abbiamo ancora molti strumenti nelle nostre mani: una crescente consapevolezza degli sviluppi necessari per un cambiamento rigenerativo, una quantità sempre maggiore di soluzioni tecnologiche e, infine, un gruppo di persone brillanti e responsabili che guidano questo processo di trasformazione.

Per citare Adrianee Mary Brown e il suo libro Pleasure Activism, il nostro impegno non deve essere noioso, duro o doloroso, ma il punto principale è trovare una metodologia equilibrata di attivismo sostenibile. Un concetto simile è stato espresso dal fisico e ambientalista Barry Commoner attraverso quattro «leggi della sostenibilità». Lascio che la mia parafrasi delle sue parole sia il messaggio finale di questo articolo.

Prima legge: tutto è connesso, quindi ogni azione ha le sue conseguenze. Seconda legge: tutto deve finire da qualche parte, quindi nulla viene rilasciato nel vuoto. Terza legge: la natura si autoregola e sa il fatto suo. Quarta legge: niente è a costo zero, tutto richiede tempo ed energia. Quinta legge (la mia): se non è divertente e pieno di speranza, non è sostenibile.

Krzysztof Candrowicz è un curatore interdisciplinare, sociologo, ricercatore, facilitatore di progetti e attivista. È cofondatore e membro della Foundation of Visual Education e di Fotofestiwal a Lodz, nonché ex direttore dell’Art Factory e del Lodz Art Center (Polonia). Nel 2013-2018 ha lavorato come direttore artistico della Triennale di Fotografia di Amburgo (Germania) e dal 2018 come curatore e collaboratore della Ci.CLO Porto Biennale (Portogallo). Krzysztof opera a livello internazionale come curatore e visiting lecturer in numerose organizzazioni, musei, scuole e festival in Europa. È stato membro della giuria di varie open call e premi d’arte. Oltre a lavorare nelle arti visive, si interessa di filosofia, scienze sociali, antropologia,ecologia e scienze naturali.

[1] Termine che indica il recupero degli oggetti per creare un prodotto di maggiore qualità, reale o percepita.
 

«Before It’s Gone» di M’hammed Kilito al Getxophoto Festival 2023, 17a edizione di Getxophoto Festival. Materiali: fotografie stampate su tessuti. Immagine di Ainhoa Resano

Krzysztof Candrowicz , 08 luglio 2023 | © Riproduzione riservata

Nuove immagini: l’impatto ecologico della fotografia | Fotografia, attivismo e «festivalizzazione»: idee per una cultura sostenibile | Krzysztof Candrowicz

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