Image

Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine

Image

Nella pesca a strascico tre quarti del pescato viene ributtato in mare, morto

Doug Anderson © Silverback Films and Open Planet Studios

Image

Nella pesca a strascico tre quarti del pescato viene ributtato in mare, morto

Doug Anderson © Silverback Films and Open Planet Studios

Oceani, la posta in gioco è alta in alto mare

La maggior parte delle forme di protesta ambientale non sono più possibili. Il nuovo documentario di David Attenborough, «Ocean», e il gruppo attivista Ocean Rebellion sfruttano il potere delle immagini nella lotta contro la distruzione degli ambienti marini

John-Paul Stonard

Leggi i suoi articoli

Le immagini apocalittiche della pesca a strascico, una forma industrializzata di pesca oceanica che consiste nel trascinare sul fondo del mare una vasta catena con attaccata una rete, sono le sequenze più memorabili di «Ocean», il nuovo documentario del 99enne David Attenborough. Denti d’acciaio strappano il fondo dell’oceano, il macabro marchingegno aspira violentemente tutto ciò che incontra sul suo cammino. Il risultato è un paesaggio desolato e incolore, in netto contrasto con ciò che è stato distrutto, un mondo incontaminato, ricco di varietà e abbondanza. È come vedere il giardino dell’Eden dopo un inverno nucleare, dice uno degli intervistati in «Ocean».

La pesca a strascico emette a livello globale più gas serra dell’aviazione attraverso il rilascio di «carbonio blu», distrugge indiscriminatamente la vita marina e gli habitat, tutto per poche capesante: tre quarti del pescato viene ributtato in mare, morto. «Sicuramente pensate che un’attività del genere sia illegale», dice Attenborough, sottolineando che invece non solo è legale, ma anche sovvenzionata dallo Stato, con una spesa annua di 20 miliardi di dollari per sostenere la pesca eccessiva che ha portato gli oceani del mondo sull’orlo del collasso. «Ocean» non è un documentario sulla fauna selvatica, semmai un film attivista sui danni ambientali causati dalla pesca industrializzata e su ciò che i responsabili politici devono fare per evitare il collasso totale della vita oceanica, che significherebbe la morte certa per il resto del pianeta.

«Ocean» si rivolge esplicitamente ai delegati che partecipano alla Terza Conferenza delle Nazioni Unite sull’oceano (Unoc3) che si tiene questa settimana, dal 9 al 13 giugno, a Nizza. Mai prima d’ora si erano spesi così tanti soldi per un film destinato a un pubblico così ristretto, ma mai la posta in gioco è stata così alta. Attenborough si rivolge direttamente alla conferenza, ribadendo la richiesta di riserve marine completamente protette che coprano il 30% degli oceani del mondo e la fine dei metodi di pesca dannosi, e ricordando ai delegati che il futuro dell'umanità dipende dalle decisioni che prenderanno.

Impossibile non rimanere colpiti dalla forza delle immagini nel trasmettere questo messaggio. Le violente sequenze di pesca a strascico e le raccapriccianti immagini delle navi-fabbrica che setacciano l’Antartico distruggendo interi ecosistemi marini per produrre cibo per animali domestici sono profondamente inquietanti. Di fronte a questi orrori, Attenborough lancia un convincente messaggio di speranza. È ormai dimostrato che, se li lasciamo in pace, gli oceani si rigenereranno più rapidamente di quanto si pensasse, nel giro di pochi decenni o anche meno. Abbiamo tutto ciò che serve per realizzare questi cambiamenti: la conoscenza, il denaro, la volontà pubblica; gli unici ostacoli rimangono i politici, da qui la necessità di un’azione diretta.

«Ocean» completa la svolta di Attenborough verso l'attivismo ed è di per sé un potente atto di protesta, anche se potremmo comunque uscire dal cinema con la sensazione di essere stati intrattenuti da spettacolari riprese subacquee mentre il mondo finisce. Le leggi antiprotesta rendono ormai impossibili la maggior parte delle forme di dissenso intraprese dagli attivisti per il clima negli ultimi sei anni, proprio nel momento in cui sono più necessarie che mai. Il tipo di proteste pubbliche contro la caccia commerciale alle balene, di successo degli anni ’80, che Attenborough descrive come un faro di speranza nei nostri tempi difficili, oggi sarebbero soggette alle stesse leggi e restrizioni. Molti di coloro che hanno esercitato il loro diritto di protesta, spesso in modo accattivante e creativo, sono stati messi a tacere dalle leggi sull’ordine pubblico e condannati a pesanti pene detentive, giustamente descritte dagli osservatori come palesi violazioni dei diritti umani universali.

 

• John-Paul Stonard è storico dell’arte e autore

John-Paul Stonard, 10 giugno 2025 | © Riproduzione riservata

Oceani, la posta in gioco è alta in alto mare | John-Paul Stonard

Oceani, la posta in gioco è alta in alto mare | John-Paul Stonard