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Il sito di Mes Aynak, che si estende su una superficie di 400mila metri quadrati, ospita manufatti risalenti all’Età del bronzo

© Didier Tais

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Il sito di Mes Aynak, che si estende su una superficie di 400mila metri quadrati, ospita manufatti risalenti all’Età del bronzo

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Ora i talebani vogliono proteggere il sito buddhista di Mes Aynak

Secondo il ministro afghano l’estrazione di rame da parte di un’azienda cinese sarà effettuata sottoterra per evitare danni al patrimonio archeologico della località fiorita lungo la Via della Seta

Melissa Gronlund

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Durante l’estate è circolato il timore che stesse per iniziare l’estrazione a cielo aperto nel sito archeologico afghano di Mes Aynak («piccolo pozzo di rame»)  portando con sé la distruzione del sito sorprendentemente conservatosi fino ad oggi. Lo scorso luglio una cerimonia presieduta da Hedayatullah Badri, ministro ad interim delle Miniere e del Petrolio del Governo talebano, ha però svelato un progetto più rassicurante: l’inizio dell’attività estrattiva sotterranea, che, se tutto andrà secondo i piani, permetterà la sopravvivenza della città buddista risalente a 1.700 anni fa. 

«La nostra strategia a lungo termine su Mes Aynak prevede la piena protezione del sito, ci ha dichiarato Mawlawi Atiqullah Azizi, viceministro afghano della Cultura e dell’Informazione. L’estrazione sarà effettuata con tecniche sotterranee, che saranno mantenute fino alla fine del processo estrattivo. Durante l’operazione non saranno arrecati danni ai reperti». Mes Aynak sorge su un giacimento di rame stimato in 6-12 milioni di tonnellate.

A dicembre 2023 il Governo afghano e la China Metallurgical Group Corporation (Mcc) hanno raggiunto un accordo per l’estrazione sotterranea del rame, un metodo molto più costoso che proteggerà gli stupa, gli affreschi, le statue e le altre strutture del sito. L’accordo, della durata di trent’anni, prevede che la Mcc fornisca servizi pubblici, come la costruzione di cliniche e moschee, e garantisca opportunità di lavoro a livello locale. L’attività estrattiva dovrebbe prendere il via già la prossima primavera. Si tratta di una novità sorprendente rispetto ai timori iniziali. «Abbiamo cominciato con grandi speranze, ma non credevamo che questo risultato fosse possibile, afferma Ajmal Maiwandi, amministratore delegato dell’Aga Khan Trust for Culture (Aktc), la principale agenzia di tutela del patrimonio culturale in Afghanistan. Ora abbiamo almeno la certezza che Mes Aynak non sarà completamente cancellato». 

L’area, di circa 400mila metri quadrati, conserva manufatti che risalgono all’Età del bronzo. Tra il V e il VII secolo, la città fiorì come tappa fondamentale della Via della Seta. I monaci buddisti e altri individui impararono a estrarre il rame e impiegarono le loro ricchezze per creare monasteri e stupa riccamente scolpiti, oltre a vaste infrastrutture circostanti, come laboratori di fusione e case. A lungo fonte di prosperità per l’area, il rame, è stato anche la sua spina nel fianco. Nel 2007 la Mcc si è aggiudicata per 3 miliardi di dollari i diritti sull’estrazione del minerale per trent’anni, facendo sorgere il timore che con l’inizio dell’estrazione a cielo aperto il sito sarebbe stato raso al suolo. A causa della mancanza di sicurezza negli ultimi due decenni, l’estrazione non è però stata avviata. Quando i talebani sono tornati al potere tre anni fa, i contatti con la Mcc sono ripresi. In molti ritenevano improbabile che il Governo afghano rinunciasse ai 250-300 milioni di dollari all’anno che la miniera avrebbe dovuto portare, anche se lo stesso Governo si era espresso a favore della protezione del sito. 

Nel 2022, l’Aktc, che sta supervisionando la conservazione di Mes Aynak, ha ricevuto una sovvenzione di 1,2 milioni di dollari dalla Fondazione Aliph, con sede in Svizzera, per il recupero archeologico, la documentazione e la protezione di ciò che esiste e la preparazione per la rimozione delle statue e delle incisioni al Museo Nazionale dell’Afghanistan. Tuttavia, il Governo sembra aver mantenuto il suo sostegno al sito e si è dimostrato favorevole alla conservazione del patrimonio in generale. «Stiamo procedendo per rimuovere gli sconfinamenti, restituire i terreni confiscati al patrimonio, identificare i siti vulnerabili, condurre indagini, prevenire il contrabbando di manufatti e adottare le misure necessarie per proteggere, mantenere e salvaguardare il patrimonio», afferma Azizi.

La protezione di siti come Mes Aynak suggerisce che i talebani possano essersi allontanati dal loro tradizionale disconoscimento del passato non islamico dell’Afghanistan, che era stato alla base della distruzione dei Buddha di Bamiyan nel 2001. La rigida interpretazione dell’Islam continua tuttavia a caratterizzare l’agenda sociale dei talebani, comprese le restrizioni su forme culturali come la musica e, più in generale, sui diritti delle donne. 

Il progetto finale per Mes Aynak, così come per tutti i siti del ricco patrimonio dell’Afghanistan, benché molto remoto, è l’apertura al turismo. Molti osservatori si chiedono anche quanto efficacemente il Governo possa preservare i beni culturali del Paese. Non esiste ancora un quadro di riferimento completo e persino Azizi ammette che il Paese dipende da finanziamenti esterni per la tutela del patrimonio.

Da parte di Mcc, l’accordo riflette il crescente impegno della Cina nella tutela del patrimonio culturale (nel 2021 ha lanciato l’Alleanza per il patrimonio culturale in Asia, un’associazione multilaterale tra le nazioni asiatiche). Rimangono tuttavia alcune questioni chiave: l’invasività dell’estrazione sotterranea, le dimensioni dell’operazione in superficie e, soprattutto, la capacità dei delicati resti antichi di resistere alle forti vibrazioni. 

Melissa Gronlund, 15 ottobre 2024 | © Riproduzione riservata

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