Image

Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine

Image

Great Omari Mosque, Gaza, maggio 2025

Photo: Riwaq

Image

Great Omari Mosque, Gaza, maggio 2025

Photo: Riwaq

Palestina: fare ricerca e insegnare il patrimonio in zone di crisi

L’arte dà voce alle persone ridotte a numeri sui giornali. A livello globale viene dichiarata l’urgenza educativa

Elisabetta Raffo

Leggi i suoi articoli

Durante il recente workshop online «Researching and Teaching Palestine Now», proposto da Sascha Crasnow (Assistant Professor of Art History, Drake University, IA) e presentato dalla Historians of Islamic Art Association, sono emerse considerazioni che vanno ben oltre il tema della Palestina e che meritano una nostra più attenta riflessione sulla fruizione dei patrimoni artistici e culturali e sulla disponibilità dell’istruzione.

Durante l’incontro Alessandra Amin (la giovanissima storica dell’arte sta lavorando al suo primo progetto editoriale, già sua tesi di dottorato, «Mother Figure: Art and the Palestinian Dream-State, 1965-1982», dedicato al periodo storico delimitato dall’avvio della Rivoluzione palestinese e dalla distruzione del suo epicentro a Beirut), Nisa Ari (Associate Professor of Art History at Montserrat College of Art, Boston), Zeina Barakeh (artista libanese, autrice nel 2025 del progetto «Cybotage» con cui, in maniera al tempo stesso poetica e disturbante, affronta il tema del sabotaggio/censura digitale e della manipolazione tecnologica dei flussi informativi) e Kathy Zarur (curatrice di mostre) si sono confrontate su come gli storici dell’arte affrontano oggi la ricerca e l’insegnamento dell’arte palestinese, considerato il ruolo storico della Palestina nella storia dell’arte islamica.

Come filo conduttore mi piace usare le parole di Sascha Crasnow nel suo articolo «On Teaching Palestinian Art History During a Genocide» sulla rivista «Field»: «Come storica dell’arte, il mio obiettivo non è parlare al posto degli artisti e delle voci che presento in classe (o nella mia ricerca). Piuttosto, cerco di creare uno spazio in cui possiamo ascoltare le voci di quegli artisti e discutere che cosa stiano dicendo nel loro lavoro. […] In un momento in cui è facile sentirsi impotenti, incapaci di fare qualcosa, sono tornata alla mia didattica come mezzo per sentire di star facendo qualcosa. La risposta degli studenti ha confermato questa sensazione. […] In un momento in cui negli Stati Uniti (e non solo, Ndr) il valore della storia dell’arte e delle discipline umanistiche in generale è costantemente messo in discussione e sminuito, l’arte ci ricorda le voci umane coinvolte nei titoli dei giornali, che vengono ridotte a statistiche e giochi politici. L’arte e le humanities hanno qualcosa da dirci sul mondo in cui viviamo e sulle dinamiche socio-politiche globali che plasmano le realtà vissute dei suoi abitanti». 

Una veduta di «Cybotage», 2025, di Zeina Barakeh alla Catharine Clark Gallery, San Francisco. Courtesy of the artist

A livello globale viene dichiarata l’urgenza educativa: è dello scorso 18 novembre l’annuncio che l’Unesco ha lanciato il «Quadro strategico per l’istruzione nelle emergenze nella regione araba (2025-2030)» a Beirut, Libano. «Quando l’istruzione si ferma, tutto si ferma: la sicurezza, la protezione, la speranza, la stabilità e le stesse fondamenta della pace. Eppure, l’istruzione resta il settore meno finanziato nella risposta umanitaria. Nel 2023, il finanziamento umanitario globale destinato all’istruzione è diminuito per la prima volta in un decennio. Non possiamo costruire pace, stabilità o sviluppo sostenibile se milioni di studenti e studentesse vengono lasciati indietro, soprattutto nei momenti in cui hanno più bisogno dell’istruzione», ha dichiarato Paolo Fontani, direttore dell’Ufficio Regionale Unesco a Beirut e rappresentante presso la Repubblica Araba di Siria e il Libano.

In Italia, Università, studiosi, istituzioni, organizzazioni e musei dimostrano quanto sia necessario impegnarsi nel portare alla luce e dedicarsi attivamente, fare ricerca e comunicare le urgenze del nostro tempo legate a salvaguardia e valorizzazione dei nostri patrimoni culturali. Quest’anno (24-26 ottobre) le Giornate Gregoriane (appuntamento annuale di studio e confronto organizzato dal Parco della Valle dei Templi, con taglio internazionale e interdisciplinare, su temi di archeologia, storia e patrimonio del Mediterraneo e della Sicilia) giunte alla XVII edizione, hanno scelto l’isola di Lampedusa come luogo-simbolo per interrogare il Mediterraneo «oltre i confini», mettendo al centro la mobilità di persone, idee e culture. Il filo rosso dell’edizione è stato il confronto tra passato e presente: dalle rotte e dagli scambi del mondo antico fino alle migrazioni contemporanee e alle loro tracce materiali e sociali. Attraverso voci di archeologia, storia e studi sul patrimonio, il convegno ha mostrato come i confini non siano linee fisse ma spazi di contatto, conflitto e trasformazione, dove nascono nuove identità collettive. 

Nel nostro Paese si sta attivando una collaborazione con RePaZ: creata nel gennaio 2025 e ospitata dall’Institut National d’Histoire de l’Art (Inha), istituto impegnato da anni nell’accoglienza di ricercatori in esilio e nella tutela del patrimonio in pericolo, RePaZ sostiene, sul piano teorico, metodologico e materiale, la continuità della ricerca su patrimoni «impediti», oggi parzialmente o totalmente inaccessibili. RePaZ nasce per rispondere alla crescente difficoltà di fare ricerca sul patrimonio materiale in Medio Oriente, dove conflitti armati, terrorismo e politiche restrittive hanno costretto molti studiosi all’esilio e reso sempre più arduo l’accesso ai terreni di indagine. L’assenza di interlocutori locali e l’isolamento delle nuove generazioni di ricercatori rischiano di far scomparire interi segmenti di conoscenza, nonostante le azioni internazionali di salvaguardia. La prima fase è incentrata sul Medio Oriente, con l’obiettivo futuro di costruire una rete allargata ad altre istituzioni e aree geografiche.

Attivisti e artisti srotolano una gigantesca coperta per la Palestina sui gradini del Metropolitan Museum of Art di New York. Photo: Maya Pontone/Hyperallergic)

Lo scorso ottobre a RomaTre la lezione inaugurale dei corsi di restauro sul tema «Il patrimonio culturale palestinese tra minacce e opportunità» è stata tenuta da Carla Benelli, dell’Associazione pro Terra Sancta, collega di Osama Hamdan, architetto e conservatore che ha dedicato tutta la sua vita a preservare la bellezza come forma di resistenza. Hamdan ha affermato: «Ritengo che i beni culturali, se utilizzati correttamente, possano essere un mezzo efficace per il dialogo e la pace. Il nostro team lavora alla conservazione di moschee, chiese e sinagoghe, perché tutte fanno parte della nostra storia comune».

Da Ca’ Foscari è notizia dello scorso novembre che due docenti dell’Università di Al-Aqsa, l’Ateneo pubblico più grande di tutta la Palestina oggi distrutto dai bombardamenti israeliani, sono riusciti a raggiungere Venezia per un periodo di ricerca e insegnamento grazie al progetto Iupals (Italian Universities for Palestinian Students). Con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, il Ministero dell’Università e della Ricerca e Consolato Generale d’Italia a Gerusalemme e, come partner locali, le Scuole di Terrasanta e la Fondazione Giovanni Paolo II, la Crui-Conferenza dei Rettori delle Università Italiane coordina il progetto di borse di studio deliberate e messe a disposizione dalle Università italiane e destinate a studenti e studentesse residenti nei territori palestinesi affinché possano iscriversi a corsi di studio accademici in Italia per l’a.a. 2025-26. Sempre da Ca’ Foscari mi piace ricordare la tesi «Cultura e resistenza tra tradizione e creatività. Il caso del Jenin Creative Cultural Centre» di Cecilia Zara

Alla XIX Biennale di Architettura di Venezia Emilio Distretti ha partecipato con il Royal College of Art di Londra, dove insegna, parlando di Architettura della riparazione in Palestina: ha proposto una riflessione su come linguaggio e prassi della riparazione persistano in un contesto di distruzione e come la ricostruzione possa essere intesa al di là di un semplice gesto di ripristino: un processo doloroso, intriso di lutto, e profondamente inserito nei ritmi della vita quotidiana, in cui la guarigione appare ancora lontana. La riflessione si è sviluppata sul suo precedente progetto «Acts of repair: Heritage, conservation and healing in the divided landscape of rural Jerusalem» («Atti di riparazione: patrimonio, conservazione e guarigione nel paesaggio diviso della Gerusalemme rurale»). Basandosi sul lavoro già prodotto dall’Università di Birzeit (la più prestigiosa università palestinese) e Riwaq (dal 1991 sviluppa progetti che documentano e restaurano siti di patrimonio architettonico in tutta la Cisgiordania e Gaza, contribuendo a elevare il tenore di vita di un ampio segmento della popolazione) il progetto, coordinato da Distretti, indagava forme di riparazione capaci di portare alla luce narrazioni storiche marginalizzate.

Gli obiettivi principali del progetto erano: 1. mobilitare il patrimonio architettonico come risorsa attraverso cui le storie palestinesi possano essere ricostruite e comprese; 2. attivare il concetto di riparazione nella costruzione del patrimonio per (ri)connettere i mondi di vita palestinesi; 3. mettere in evidenza nuovi modi in cui il sapere della conservazione può operare come strumento analitico con risonanza politica e sociale nel presente.

Un murale dipinto su un muro a Barcellona, «Palestina Libre». Photo: B. de los Arcos

Yemen

Negli anni Novanta una Missione dell’Università di Napoli L’Orientale guidata da Maria Vittoria Fontana, con la fondamentale partecipazione di Eugenio Galdieri, raccoglie un’ampia documentazione fotografica nella regione della Tihama. In particolare si concentra su Hodeida, città portuale che in epoca tardo-ottomana diventa il principale centro commerciale tra Mar Rosso e Oceano Indiano, oggi purtroppo duramente colpita da bombardamenti. Si tratta di una città murata: l’area intra-moenia viene mappata completamente, Galdieri disegna la pianta della città e alcuni degli edifici storici che sono tutti fotografati; si campionano anche alcune zone della città extra-moenia e altri siti. A molti anni di distanza, Fontana avvia lo studio avvalendosi della documentazione raccolta allora e di una squadra multidisciplinare di studiosi. Il risultato consiste in tre volumi, in uscita a fine anno, pubblicati dall’Istituto per l’Oriente C. A. Nallino:  M.V. Fontana (a cura di), Hodeida on the Coastal Tehama (Yemen). Its Urban Planning and Architecture in the Late 18th-20th Centuries, Roma 2025. La ricerca sarà annunciata l’11 dicembre in occasione della Giornata in memoria di Eugenio Galdieri (organizzata da Archivio Centrale dello Stato e Ismeo, si svolgerà nell’Archivio: piazza degli Archivi 27 Roma).

Iran

«In un mondo dove tutto era proibito (i colori, i sorrisi, i libri) leggere diventava un atto di libertà. Nelle nostre stanze chiuse, tra le pagine di Nabokov, Austen e Fitzgerald, imparavamo a respirare di nuovo, a ricordarci chi eravamo», diceva Azar Nafisi. L’immortale romanzo autobiografico della scrittrice iraniana, Leggere Lolita a Teheran, divenuto bestseller mondiale, che celebra la letteratura come strumento contro i totalitarismi e come atto di coraggio e resistenza, è l’opera scelta dal Salone Internazionale del Libro di Torino per la sesta edizione del progetto di lettura condivisa per i giovani «Un libro tante scuole», il progetto nazionale di lettura condivisa che riunisce attorno a un grande romanzo della letteratura internazionale ragazze e ragazzi di tutta Italia. Ogni anno distribuisce 7mila copie gratuite, per favorire, attraverso la lettura all’interno della comunità scolastica, il confronto sulla comprensione di sé, del mondo e del nostro tempo. Tra gennaio e febbraio 2026 alcuni autrici e autori che intervengono nel progetto, incontreranno dal vivo studentesse e studenti delle scuole nelle diverse sedi delle Gallerie d’Italia, i musei di Intesa Sanpaolo a Milano, Napoli, Torino e Vicenza.

«…com’era dolce il sonno all’ombra della mia casa...» 

Da «Al-Manām [Il Sogno]», diretto da Mohammad Malas (Damascus: Maram Cinema & Tv, 1987)

Elisabetta Raffo, 09 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

Altri articoli dell'autore

Il Museo Civico Archeologico prosegue il rapporto privilegiato con il «mondo fluttuante» del Giappone riunendo oltre 200 opere da Hokusai al manga

La cultura può offrire quel quadro etico necessario per guardare al lungo periodo: un laboratorio di futuro capace di costruire un’agenda globale fondata su collaborazione, responsabilità e speranza

Sia nei «Bari» e sia nella «Cena di Emmaus», opere esposte nella monografica dell’artista da poco conclusa a Palazzo Barberini, è presente un tappeto orientale, ma in pochi l’hanno notato

Stimata studiosa americana di arte islamica, in particolare di pittura safavide, era stata curatrice al British e al Metropolitan. In Italia era nota per la straordinaria mostra «A caccia in Paradiso» tenutasi a Milano nel 2004

Palestina: fare ricerca e insegnare il patrimonio in zone di crisi | Elisabetta Raffo

Palestina: fare ricerca e insegnare il patrimonio in zone di crisi | Elisabetta Raffo