Stefano Causa, Arabella Cifani
Leggi i suoi articoliIl naso migliore? È dell’uomo schizoide
Quella del naso è vicenda di sfacciate perfezioni (Francesco Laurana, Desiderio da Settignano o i fiorentini del Rinascimento); di memorabili imperfezioni (il profilo di Piero della Francesca di Federico da Montefeltro col ponte nasale rotto); di patologie filologicamente restituite (il vecchio affetto da rinofima che, nella tavoletta del Ghirlandaio al Louvre, il nipote scruta con precoce vocazione otorinolaringoiatrica); ma è anche storia di nasi letteralmente a pera (come Rodolfo II ritratto da Arcimboldo), di nasi che sondano gli eventi con un accenno di arricciamento (la vecchia nella «Giuditta» Barberini e l’altra, nel «Castello errante di Howl» di Miyazaki che, nel 2004, costituisce una pura reinvenzione del Caravaggio); e di stilizzazioni sublimi dove si rimescolano le carte e non è chiaro se sia l’Antico a scimmiottare il moderno o viceversa (il naso della «Testa cicladica» del Metropolitan è un’aggiunta di Alberto Giacometti? Picasso, da vero ladro dell’arte, trattenne il respiro nel vederlo e qualcosa di quella stilizzazione definitiva sarà passato nella soluzione della freccia nera del naso di Marie Thérèse che interseca le doghe del parato matissiano nel «Sogno» del 1932). Quanto alla letteratura rincara la dose e, in tema di nasi, spinge sul pedale del grottesco-teratologico.
Come sapeva Gogol un naso cade e ricompare a piacimento; e può del pari allungarsi (con tutte le inevitabili sovrapposizioni e derive oscene che rendono Pinocchio l’unico capolavoro dell’800, insieme ad Alice nel Paese delle Meraviglie, che i ragazzi dovrebbero sistematicamente scansare). Eventualmente si mostrerà pendere verso destra (come il naso di Vitangelo Moscarda di Uno, nessuno e centomila di Pirandello). Per trovare un naso a modo tocca, allora, compulsare le descrizioni e le tavole di Giovanni Morelli, e di un altro veronese a lui contemporaneo come Cesare Lombroso, quando, alla fine dell’Ottocento, concedono al vestibolo delle vie respiratorie superiori (alle orecchie e ad altri dettagli) tutta l’attenzione necessaria elencandoli tra i principali paradigmi indiziari per riconoscere lo stile. Maestro o criminale? Dipende dal naso.
Naturalmente ognuno di noi avrà il proprio canone nasuto da rispolverare. Per me il naso numero 1, il primo naso della mia storia di studioso, il naso da cui sono discesi gli altri è quello del Re Cremisi, anno 1969. Naso di notevole progressione. Anzi: stilisticamente, un naso progressive. Da ragazzo avevo appeso in camera appunto la copertina del primo album dei King Crimson, uscito oltre mezzo secolo fa, apice ineguagliato del «progressive» e, in definitiva, uno dei capolavori della musica inglese di secondo Novecento. Robert Fripp cabina di comando e chitarre, Ian McDonald ai fiati; Greg Lake voce e basso; Michael Giles alla batteria: tanto per cominciare.
Il faccione che esplode in rosso e azzurro è farina del sacco del ventitreenne Barry Godber (1946-70), che sarebbe morto precocemente senza aggiungere, apparentemente, altro a questo esordio folgorante. Per chi si è aggrappato ai dischi in vinile come boa per superare i pantani dell’adolescenza l’apax di «Re Cremisi» è il naso per definizione.
La copertina, tra le più ricordevoli di sempre ma di solito assente dalle storie della pittura inglese degli anni ’60, ha accompagnato la vita di chi scrive (quanto ai poster siamo passati dai Led Zeppelin alla nigeriana Sade, dalle odalische e i pesci rossi di Matisse alle piscine di Hockney); e, insieme a quel nasone, è rimasta salvo trasferirsi dal muro al vetro sotto la scrivania. Interamente squadernata è di attualità impegnativa da quando ciascuno si vede frugare le froge per la liturgia, mediamente invasiva e altrettanto fastidiosa, del tampone. Da questo punto di vista, nel nostro excursus di segmentazione del corpo il naso si prende tutta la scena. «Per il caffè c’ho naso» si vantava (giustamente) Pippo Franco in una pubblicità televisiva del 1985 (il vero sosia del ritratto di Girolamo Savonarola di Fra Bartolomeo); per lo stoppino piuttosto, potrebbe correggerlo qualche «buon tampone».
[Stefano Causa]
Nasi ingrugnati, malinconici, bitorzoluti, allegorici...
C’è il naso di Pinocchio che si allunga a dismisura per via delle bugie del burattino, immortalato dalle tavole di Attilio Mussino in un libro che fu prima di mia madre e delle sue sorelle e che poi fu regolarmente usato per anni dalla stessa nel tentativo di farmi mangiare con il risultato unico di farmi imparare praticamente a memoria la storia. E poi ci sono altri nasi. Il naso di gesso disegnato e ridisegnato mille volte al liceo come esercizio per imparare a tener la matita in mano e che era un incubo (difficile da definire, difficile da chiaroscurare, difficile fare narici che non sembrassero caverne).
È faticoso disegnare e dipingere un naso. Sempre invidiato il nasino pétillant dell’«Incognita» di Antonio Pollaiolo (Poldi Pezzoli, Milano) che stava nella mia cameretta e che mi si è pertanto piantata nella testa: lei navigava impettita su quello sfondo blu primaverile con bei gioielli, una elegante pettinatura e con il naso all’insù, ad aspirare aromi di una primavera fiorentina. Impressionante quello di Dante in tutti i sui ritratti: un naso ingrugnato e pendulo che non lo doveva rendere certo bello; di consistenza cerea e fredda quello di Battista Sforza dipinta da Piero della Francesca sulla base di una maschera mortuaria.
Laura Battiferri dipinta da Bronzino (Palazzo Vecchio, Firenze) esibisce il suo naso adunco come un’arma: a dimostrazione che una donna intelligente e colta se ne può impipare della grazia e della bellezza ma essere solo sé stessa e con questo capolavoro si vola direttamente verso l’ultima frontiera del femminismo liberal, verso la body positivity, l’inclusività e la valorizzazione di quelle che un tempo sarebbero stare relegate al ruolo di «brutte». E poi ci sono i ritratti multipli, un genere raro, solitamente usati come base per ritratti scolpiti di livello di sovrani o illustri personaggi.
Ne ricordiamo tre dove i nasi regnano. Il primo attribuito al fiammingo Lucas de Heere, (Milwaukee Art Museum) con tre dame d’alto lignaggio, tre sorelle probabilmente, in ricchi abiti della seconda metà del Cinquecento, tutte di profilo, tutte e tre intente a guardare intensamente fuori dal quadro come tre belve che hanno puntato la preda, con tre nasi dalle narici dilatate che denotano la loro attenzione concentrata. Il ritratto di Carlo I d’Inghilterra di Van Dyck (Royal Collection) destinato a Bernini per un busto poi andato perduto dove l’esangue e sciupato sovrano esibisce in 3D un lungo naso malinconico e anche un po’ arrossato. Philippe de Champaigne nel «Triplice ritratto» del cardinale Richelieu (Londra, National Gallery), anch’esso destinato a essere base per un busto di Bernini, ci consegna il lungo naso a becco del bilioso cardinale e ne evidenzia il portamento altezzoso e regale, puzza sotto al naso compresa.
Al naso appartiene uno dei nostri cinque sensi, il più controverso, l’odorato, un senso primitivo e animale, più forte di noi, che ci consegna, volenti o nolenti all’attrazione o alla repulsione. L’arte al senso dell’olfatto nei secoli ci si è dedicata con attenzione. Si va dall’incisione di Jan Saenredam dove per una coppia annusare fiori prelude a ben altri e più intimi annusamenti, al quadro di Jan Miense Molenaer dove la puzzolente cacca di un bambino fa turare e arricciare tutti i nasi attorno. E poi c’è il più intelligente quadro di nasi: un’«Allegoria dell’odorato» del beffardo Pietro della Vecchia, abitata da tre vecchi (c’è anche una donna) nasuti e bitorzoluti (uno ha addirittura una sorta di proboscide) che annusano fiori e paiono insettacci; i loro nasi deformi e grotteschi sono delle sentine, ricettacolo di ogni puzza.
Gentili dame e cavalieri del Settecento francese sniffano fiori e frutti in attesa di sviluppi più concreti delle loro relazioni amorose, dame preraffaellite vanno in deliquio odorando fiori come la bella di John William Waterhouse attaccata spasmodicamente a un rosaio. In tempi più recenti il geniale Pietro Fornasetti ci offre variazioni non banali sul tema del naso e dell’odorato con le sue donne ironiche e divertenti. Il naso moderno più significativo è però certamente quello di Alberto Giacometti in una scultura dal fascino ipnotico a cui Jean Clair ha dedicato un libro nel quale il naso viene letto come architettura protesa, cavità viva e pulsante, monumento alla cartilagine in un mondo spettrale.
[Arabella Cifani]
«Pas de Deux»
Strumenti umani come mani, piedi, occhi, peni e passere, dipinti dagli artisti e raccontati da Stefano (Causa) e Arabella (Cifani)
Le mani
I piedi
Le labbra
La passerina
Le tette
Gli occhi
I membri maschili
I nasi
I sederi
Le orecchie
I denti
I capelli
Le schiene
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