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«A&E, Adolf & Eva / Adam & Eve, Cooking Show, Soup» (2022) di Paul McCarthy, con Lilith Stangenberg

© Paul McCarthy. Courtesy the artist and Hauser & Wirth. Photos: Alex Stevens

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«A&E, Adolf & Eva / Adam & Eve, Cooking Show, Soup» (2022) di Paul McCarthy, con Lilith Stangenberg

© Paul McCarthy. Courtesy the artist and Hauser & Wirth. Photos: Alex Stevens

Paul McCarthy incontra l’IA, ed è subito sesso

Intervista con l’artista decano della sessualità multi-specie e non binaria

Nicola Davide Angerame

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Di sé dice: «Alcuni miei lavori hanno più senso in questi ultimi cinque anni che non quando li ho fatti». Paul McCarthy (Salt Lake City, USA, 4 agosto 1945) ha attraversato la storia dell’arte degli ultimi sessant’anni ridefinendo lo statuto di eros e thanatos e riconfigurandoli dentro il gioco splatter e kitsch delle sue «live actions» perturbanti ma sempre più di successo, fino ad occupare, con le sue sculture falliche o dildiche, le grandi piazze di metropoli come Parigi, Londra e New York. Lo abbiamo intervistato perché McCarthy sperimenta l’intelligenza artificiale (IA) e ha presentato al recente St. Moritz Art Film Festival due film magmatici e ipnotici del 2024. «Hedeiheid» è dedicato alla figura di Heidi ed è un’orgia metamorfica multi-specie che usa IA per fondere corpi umani e amabili caprette dentro la scenografia di fattorie mutanti immerse nella solare natura montana della Svizzera più bucolica. A seguire, c’è la copula di 28 minuti tra Adolf Hitler e Eva Brown immersa in un morphing che procede commentato da voci fuori campo rallentate e distorte; l’effetto è quello di una tecnologia fallace come quell’Hal 9000 in «2001 Odissea nello spazio» di Stanley Kubrick. Invitati da Stefano Rabolli Pansera, il direttore di SMAFF, i due film sono un primo passo di McCarthy dentro il mondo incantato e spettrale di IA, perfetto contraltare delle sue fantasie più sfrenate, come appare dai risultati estetici e percettivi ancora una volta eccessivi ed eccedenti.

«Hedeiheid» (2024) di Paul McCarthy. © Paul McCarthy and Damon McCarthy. Cortesia dell’artista e Hauser & Wirth

Questi due film sono i primi da lei prodotti con IA, come nascono?

Durante la pandemia ho fatto un giro on line con mio nipote e abbiamo provato, come tante persone credo, ad usare IA. Sono rimasto scioccato da quello che vedevo e da quel che capivo poteva risultare. All’inizio era un esperimento giocoso, mettevo dentro i miei pensieri ed i miei lavori. Quando è uscito il risultato vi ho intravisto una traiettoria del mio lavoro che mi pareva un’esplosione, allora ho preso IA molto sul serio procurandomi un potente computer per il gaming. Le immagini generate dai prompt uscivano molto velocemente. Ha il sapore di un miracolo. 

Come avete lavorato su «A&E: Adolf & Eva / Adam & Eve, The Counter 2», il nuovo capitolo dedicato al progetto su Hitler e la Braun?

La base di partenza è un’azione che ho tenuto a Los Angeles due anni fa. Abbiamo fatto molti esperimenti ed abbiamo riscritto i prompt per dare al tutto un look particolare, ho inserito immagini di Marilyn Monroe e impostato l’istruzione di usare immagini civettuole. Avrei potuto trarre gli still dal video ma mi interessa di più l’accumulazione delle immagini: ve ne sono 5mila.

E su «Hedeiheid» cosa può dire?

È stato un altro esperimento, abbiamo caricato un film off line e lavorato sulla simultaneità. Il film durava un’ora ed era possibile riscrivere i prompt in modo quasi immediato. La realizzazione del video è istantanea, vista la velocità di IA; è uno strumento che fabbrica immagini e collage in un processo manipolatorio totale.

La userà ancora?

Ora lavoro con mio figlio Damon sull’editing di una mia live action e per ora IA è messa da parte, ma voglio ricominciare.

«Coach Stage Stage Coach» (2017) di Paul McCarthy. © Paul McCarthy and Damon McCarthy. Cortesia dell’artista e Hauser & Wirth

«Il contenuto o messaggio di un qualsiasi medium ha tanta importanza quanta ne ha la stampigliatura sulla cassa d’imballaggio di una bomba atomica» scriveva Marshall McLuhan. Come considera IA? È più uno strumento tecnologico neutrale oppure si profila come messaggio o addirittura come un linguaggio «atomico»?

Anche il linguaggio è uno strumento ma implica qualcosa di più come l’espressione formale che deriva dalla coscienza. IA è più come una macchina da scrivere, ma sta anche producendo un linguaggio suo, forse, non so bene, ma so che ha delle caratteristiche peculiari. Mi fa vedere la nuova traiettoria che può assumere il mio lavoro, che è sempre stato fisico e situazionale.

Nelle sue azioni, infatti, il corpo umano è al centro: tutto è reale anche se tutto è fantasia, un collasso della realtà. Ma con IA il corpo umano scompare frantumandosi in mille pezzi, diventa digitale. Cosa significa per lei questa scomparsa?

Anche le mie sculture e i miei dipinti sono frammentati: è il mio immaginario e rispecchia l’effetto dell’industrializzazione e dei mass media sulle nostre identità. Nel processo di ricombinazione di parti corporee, quel che mi interessa è la figura del fallimento, del disfare qualcosa; se pensi come un essere umano, non sai bene come gestire un tale disfacimento perché si tratta di un processo meccanico. Per questo sono interessato a come IA può prendere la mia faccia e inserirla nel mondo digitale. A volte può non capire, però, come quando ho dovuto insegnarle cosa fosse un pene.

 

«A&E, Adolf & Eva / Adam & Eve, The Counter 2» (2024) di Paul McCarthy, with Lilith Stangenberg. © Paul McCarthy. Courtesy the artist and Hauser & Wirth

I film appaiono magmatici e ripetitivi, come una forma chiusa che imprigiona, una sorta di «eterno ritorno». Che effetto vuole produrre nel pubblico?

La ripetizione è da sempre nel mio lavoro. Quando faccio un disegno penso: potrebbe essere diverso, quindi ne faccio una serie che potrebbe dar vita ad un'animazione anche se poi li espongo in fila sul muro. La ripetizione come processo di lavoro mi affascina, è quasi musicale. Pensa a Steve Reich, crea partiture che sono per me ipnotiche, è la ripetizione che crea questo effetto. Lo spettatore può uscire letteralmente ubriaco dalla visione questi film. La ripetizione è ovunque, ma credo vi sia un modo per ritrovarsi dentro il film diventando parte di esso, anche se non so quanto si possa stare dentro un film così; ne ho fatte quattro versioni, la più lunga è di sette ore e se lo guardi così a lungo non so cosa possa accadere.

Lei ha scelto come sfondo la Svizzera, una nazione molto stereotipata: cosa rappresenta per lei la sua natura idilliaca?

Credo che ci sia un cliché della Svizzera che la rende un po' come una sorta di Disneyland e in qualche modo il mio lavoro sfrutta questo cliché, che però si ritrova anche in Baviera o in Austria. Le Alpi in genere lo sono. Da giovane ne ero ossessionato e volevo andare a vivere sulle Alpi. Ma io uso il cliché per parlare di ciò che siamo come esseri umani.

Esseri umani che nel video dedicato a Heidi sorridono gioiosi mentre mutano gli uni negli altri. Sembra assente la dimensione della sofferenza, della violenza e del conflitto, che spesso caratterizzano le sue azioni.

Sorridono ma tutto è distorto, anche la voce è distorta; è un'immagine metaforica ma è anche un video di IA. La fonte forniva persone sorridenti, poi forse ho anche aggiunto un prompt del tipo: «siano felici». Ma la cosa interessante sarebbe capire il ruolo della sofferenza in IA, visto che non ha sentimenti. Tocca a noi interpretarli. Ti chiedi: il mondo è nel caos, perché ridono? Per me è metaforico: mentre loro sono felici, il caos li distrugge. Se la vedi così, ha a che fare con la brutalità del mondo che ci affligge come individui. Se la vedi come pura immagine sorridi, ma puoi vederci anche il prompt, l’istruzione cogente. A quel punto la distorsione subentra e qualcosa di disturbante si fa largo tra queste immagini felici.

Eros e Thanatos sono sempre stati nel suo lavoro, cosa pensa dello stato attuale della pornografia diffusa e della sessualità liberata dai concetti binari di genere?

La sessualità è una sorta di esplosione di libertà, c’è un cambiamento vero nell’apertura della sessualità, ma d’altra parte c’è una repressione che accade simultaneamente. Su internet sembra una fioritura ma d’altra parte c’è una repressione nelle arti e c’è il ritorno della censura. Alcuni miei lavori hanno più senso in questi ultimi cinque anni che non quando li ho fatti. Abbiamo tutti raggiunto la libertà di sperimentare la sessualità ma dobbiamo capire quali siano le nostre intenzioni e farci i conti.

E cosa pensa dello stato attuale del sistema hollywoodiano, verso il quale è sempre stato critico?

Da molti anni non penso più a Hollywood. Sono critico verso il capitalismo delle corporation, ma nella situazione corrente ci sono troppe varianti. Tutto è controllato dal denaro e non dal sistema dell’arte, ma a Hollywood ci sono molte individualità che apprezzo. Sono contro la mentalità capitalista di quel sistema, che s’ingrandisce espellendo gli indipendenti, i quali però adesso con internet possono riaprire i giochi.

Nicola Davide Angerame, 09 ottobre 2024 | © Riproduzione riservata

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