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Ilya e Emilia Kabakov. Foto James Salomon

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Ilya e Emilia Kabakov. Foto James Salomon

Per Emilia Kabakov l’arte in Russia tornerà a nascondersi

Nata in Unione Sovietica, l’artista riflette sul destino del mondo russo e su come le opere sue e del marito Ilya abbiano assunto un nuovo significato dopo la guerra in Ucraina

Sophia Kishkovsky

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La coppia di artisti Ilya ed Emilia Kabakov vive e lavora in una casa e in uno studio a Long Island, New York. In quest’intervista i due riflettono sulla natura spesso profetica dell’arte nonché dell’invasione della Russia in Ucraina, dove entrambi gli artisti sono nati.

Uno dei disegni di navi di Ilya, con la scritta «vai a farti fottere» in russo sullo sfondo, è diventato una sorta di meme durante la guerra in Ucraina. È stato usato per rappresentare il famoso incidente di febbraio all’Isola dei Serpenti nel Mar Nero, in cui i marinai ucraini hanno dichiarato: «Nave da guerra russa, vai a farti fottere». L’immagine di Ilya, creata decenni fa, ha iniziato a circolare ampiamente online dopo che una registrazione dello scontro è diventata virale. Ce ne può parlare?
Il disegno di Ilya è stato creato nel 1984, e lì c’è tutta una storia. È un album con disegni che raffigurano mucche, conigli, fiori e uccelli di ogni tipo. Vi sono contenuti disegni di bambini, ma dietro di essi sono nascoste parole «cattive». Abbiamo alcune storie su questa serie di disegni. Un padre andò in un negozio, prese un libro da colorare e la madre vide le parolacce che conteneva. È stata coinvolta la polizia e c’è stata un’intera indagine su possibili nemici dell’Unione Sovietica che hanno messo queste parolacce in un libro da colorare per bambini.

Ilya ha fatto questi disegni nel 1984 e negli anni ‘90 ne abbiamo fatto delle stampe, senza pensare alla guerra. Ora quest’opera è stata riesumata e ha assunto un significato completamente diverso. Ilya ha colto nel segno. Il collezionista e gallerista russo Marat Guelman ha contribuito a far nascere il meme. Ho ricevuto immediatamente una telefonata dal Museo Nazionale d’Arte Lituano (dove è esposta una collezione di opere di Ilya) che ci chiedeva il permesso di pubblicarla. Abbiamo accettato, abbiamo inviato loro l’immagine affinché realizzassero delle cartoline.

Oggi ci ha mostrato alcune delle sue opere e ci ha raccontato la storia della loro creazione. Sembra che molte di esse stiano assumendo una nuova vita in relazione agli eventi attuali?
Si sono svelate a più livelli e molte di esse vivono nel presente. Il «Red Pavillon» è stato realizzato per la Biennale di Venezia del 1993 (per dimostrare che l’Unione Sovietica non è mai veramente scomparsa). Sì, all’epoca la Perestroika (il tentativo di riforma del sistema sovietico lanciato da Mikhail Gorbaciov) era ancora in corso in Russia. Tutto stava cambiando, ma come disse una volta l’ex primo ministro Viktor Chernomyrdin: «Volevamo il meglio, ma alla fine è andata come sempre».

Si è scoperto che tutto ciò che la Russia è riuscita a costruire e a cambiare negli ultimi 30 anni è scomparso da un giorno all’altro, e tutto sta tornando allo stesso vecchio sistema di repressione. Non parlo nemmeno dell’operazione militare in Ucraina, che è in realtà la più spaventosa delle guerre perché sembrerebbe poter sfociare in una guerra nucleare totale. Tutti sono in allarme. Il mondo intero si è capovolto. Perché sia successo, e a quale scopo, nessuno lo sa. Il «Red Pavillon»  è tornato. All’epoca ci era stato detto che non sarebbe mai tornato, che non aveva senso e che eravamo bloccati nel passato. Ma si è scoperto che non eravamo bloccati nel passato. Stavamo guardando al futuro. Non lo volevamo, ma il destino ha voluto che fosse così.

C’è stato un periodo in cui l’arte contemporanea pareva accettata dal regime di Putin. Pensa davvero che sia stato così?
Non è mai diventata una forma d’arte ufficiale. È un’illusione. È stata accettata solo in modo condizionato. Oggi io e Ilya parlavamo del perché non hanno semplicemente ucciso tutti gli artisti clandestini dell’epoca sovietica. Quasi tutti avevano un lavoro ufficiale. La metà di loro era membro dell’Unione degli Artisti. Erik Bulatov, Oleg Vassiliev e Ilya ne facevano parte. È così che sono sopravvissuti.

Allo stesso tempo, tutti facevano quello che volevano. Nessuno di loro era un artista politico. Quelli politici erano un’altra cerchia di artisti. Ma ogni loro opera era stratificata ed è venuto fuori che il loro lavoro molti anni dopo ha assunto un ruolo diverso. Ad esempio, mi sembra che alcuni dei dipinti di Bulatov di quegli anni possano essere interpretati oggi come una glorificazione delle immagini sovietiche, piuttosto che come un loro svilimento. Dipinti come il ritratto di Brezhnev di Bulatov hanno improvvisamente iniziato a trasmettere un messaggio diverso.

Le opere di Ilya sono completamente diverse, come una previsione del futuro. Le navi dei bambini sono finite per essere la nave militare [russa] che è stata maledetta [dai marinai ucraini]. Non è quello che aveva in mente. Quando abbiamo realizzato il «Red Pavillon», pensavamo che l’URSS sarebbe tornata, ma speravamo che non sarebbe successo. Trent’anni dopo si ripresenta. Era una fantasia dettata dal terrore di un ritorno dell’URSS, del regime totalitario.

Non crediamo che sia possibile costruire un futuro democratico in quel Paese. Utopia è una parola che non può essere utilizzata, soprattutto in un Paese come la Russia, a causa di un certo tipo di inerzia. Da un lato ci sono molte persone di incredibile talento. Dall’altro lato questo è un Paese che di volta in volta, dopo qualche tempo, butta via o distrugge questi talenti. È successo con la rivoluzione, è successo nel 1937 e dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando un numero enorme di persone è rimasto in Occidente, ha lasciato l’Unione Sovietica, è morto o è stato imprigionato di nuovo. E sta succedendo anche adesso.

Sembrava che le cose si fossero rilassate e che fosse iniziato qualcosa di nuovo. Sono stati costruiti ponti e rapporti, i musei si sono scambiati conoscenze e pratiche, i russi sono andati a lavorare all’estero, gli specialisti sono venuti in Russia. Si stava facendo qualcosa. E ora, improvvisamente, tutto precipita in un abisso. Per un periodo di tempo molto lungo la Russia diventerà un aggressore, il nemico dell’umanità. Perché? Quando un Paese ne distrugge completamente un altro, senza alcun riguardo per le vittime, anche lui soffre e muore. Questo è ciò che sta accadendo ora. Sia l’Ucraina che la Russia sono state distrutte.

In questo momento ci sono accese discussioni sui social media tra curatori ucraini e russi sul fatto che l’arte russa abbia diritto di parola dopo l’invasione dell’Ucraina. Come si sta dividendo il mondo dell’arte?
Da un lato capisco la prospettiva ucraina. Di recente mi è stato detto che non parlo abbastanza delle sofferenze in Ucraina. Per me, qualsiasi guerra, qualsiasi uccisione di uomini, donne e bambini è inaccettabile in qualsiasi Paese, che si tratti di Israele, Palestina, Iraq o Afghanistan. A maggior ragione in Russia e Ucraina, due Stati in cui ho vissuto e da cui provengo. Ma io venivo da un Paese, l’Unione Sovietica, in cui tutti fingevano di andare d’accordo. Non mi riferisco al sistema totalitario, che è il motivo per cui me ne sono andata, per cui non sono mai tornata e non tornerei mai. Non tornerei per nessun motivo, a nessun prezzo, perché inconsciamente ho sempre temuto che tutto potesse ripetersi. Ed è esattamente quello che sta accadendo ora.

L’arte deve unire le persone. L’arte non appartiene all’Ucraina o alla Russia. La cultura deve essere protetta da tutti. La memoria e il patrimonio culturale sono ciò che ci distingue dagli animali. In Ucraina viene fisicamente distrutta dai russi. Vorrei precisare che non sono tutti i russi, bensì alcuni mercenari, ma temo che anche i russi partecipino attivamente a questi massacri. Il patrimonio culturale di un’altra nazione viene distrutto. Nessuno vuole capirlo, e quelli che lo capiscono stanno lasciando la Russia, mentre altri non vogliono credere o comprendere cosa sta succedendo.

Che cosa succederà al mondo dell’arte russo?
Ho letto che nelle piccole città della Russia si stanno organizzando di nuovo mostre d’appartamento. Gli artisti vi espongono i loro quadri e invitano la gente a vederli gratuitamente. Siamo tornati alla Mosca degli anni Sessanta e Settanta. Un cerchio si è chiuso: l’arte non ufficiale apparirà di nuovo. Avremo un nuovo mondo artistico non ufficiale di Kabakov, Bulatov, Vassiliev, Komar e Melamid e molti altri.
Oggi ho ricevuto una mail molto interessante da un artista moscovita che ha due figli e che probabilmente sarà costretto a lasciare la Russia a causa di una sua mostra di ritratti di persone arrestate. Mi ha chiesto cosa fare. Gli ho risposto che deve pensare ai suoi figli, perché soffriranno. Mi ha detto che ha letto tutte le interviste che io e Ilya abbiamo rilasciato e tutto ciò che abbiamo scritto, perché vuole capire come creare opere a più livelli in cui non sia sempre possibile riconoscere il vero contenuto affinché non appaiano palesemente antigovernative. Per me l’arte deve essere sempre così. Non può essere diretta o unilineare, dev’essere complessa. Le persone non sono così semplici. Non esiste il bianco e il nero. Siamo molto stratificati ed è questo che ci rende uomini.

Il problema è che tutti gli artisti di vero talento se ne sono andati. Qui sono tutti conosciuti, ma non sono più là. Di recente è uscito un articolo su un giornale russo dal titolo «100 artisti russi viventi che dovreste conoscere». Secondo quanto scritto «Ilya Kabakov detiene ancora il titolo di artista russo numero uno». Credo che si siano affrettati a dichiararlo artista russo per evitare che l’Ucraina lo rivendichi. Ma vorrei ripetere quello che ho detto prima: noi ci consideriamo artisti internazionali, nati in Unione Sovietica e residenti negli Stati Uniti d’America.
 

Nello studio dei Kabakov a New York. Cortesia di Sophia Kishkovsky

La nave della tolleranza di Ilya ed Emilia Kabakov (2005-in corso) a Miami nel 2011. Il progetto prevede la collaborazione con gli studenti delle scuole, che realizzano dipinti basati sul significato di tolleranza, poi combinati per formare la vela di una nave. Cortesia degli artisti

Il «Red Pavillon» a Venezia. Cortesia degli artisti

«Ships. Go fuck yourself» (1993) di Ilya Kabakov © The Lithuanian National Museum of Art

Sophia Kishkovsky, 20 luglio 2022 | © Riproduzione riservata

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