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Gabriel Zuchtriegel
Leggi i suoi articoliPerché le cinque lastre della Tomba del Tuffatore sono esposte nel Museo di Paestum come se fossero dei quadri in una pinacoteca? Non sarebbe meglio ricostruire il contesto antico, cioè montarle come erano: quattro pareti di una tomba a cassa con il coperchio? Sono domande che, dopo il restauro della Sala Mario Napoli che ospita la celeberrima tomba dipinta di 480-70 a.C., ho sentito più volte, di solito da parte di colleghi. Certo, l’archeologia di oggi pretende che si restituisca innanzitutto il contesto antico. E questo va bene, perché è importante spiegare che vasi, tombe, dipinti, architetture ecc. facevano parte di un mondo complesso e vivo. Essendo un archeologo di paesaggio che per tre anni ha documentato cocci e pietre sui campi intorno all’antica Eraclea (Basilicata), sono l’ultimo a mettere in questione l’importanza del contesto sociale e culturale dell’arte magnogreca.
Ma l’idea del «contesto antico» quale principio assoluto e unico della musealizzazione di reperti archeologici assume un carattere problematico se diventa un dogma, se diventa storicismo puro e fine a se stesso, se scriviamo Contesto con la C maiuscola. Perché questo vuol dire fare del contesto una gabbia, nella quale chiudiamo le opere, in maniera tale che non possano più contaminare il nostro presente. Perché vuol dire contestualizzarle in un mondo antico che non ha buchi. Perché un eccesso di storicismo equivale a una castrazione dell’arte antica. È comunque quello che non pochi archeologi vedono come l’unico approccio scientificamente corretto e sostenibile. A ben guardare, un’assurdità. Perché quel mondo antico nel quale chiudiamo opere e oggetti, altro non è che una costruzione del nostro presente: dell’archeologia, della filologia, dell’antropologia, della storiografia: discipline che esse stesse sono il prodotto di un certo modo di vedere il mondo e di parlarne. Se la «critica del passato è sempre e solo critica del presente» (come disse Heidegger), l’archeologia è sempre e solo archeologia di noi. Scaviamo per trovare noi stessi. E già, perché ci dovrebbero interessare donne e uomini di 2.500 anni fa, se non perché c’è qualcosa in loro che parla a noi?
La Tomba del Tuffatore fu chiusa 2.500 anni fa; le immagini del giovane, fermo nel volo, e dei banchettanti sulle pareti erano destinate a rimanere nel buio per sempre. Come nel caso di certi artisti che operano in Africa: realizzano opere che nessuno vede, ma sono comunque apprezzati dalla loro comunità per quello che fanno. Quando la Tomba fu trovata nel 1968, è irrotta in un altro contesto, quello contemporaneo. Carlo Alfano ha realizzato un’istallazione («Il Tuffatore», la cosiddetta fontana) davanti alla vetrata della sala che ospita la tomba. Eugenio Montale ha scritto una poesia dello stesso titolo, Claude Lanzmann, nel 2012, un libro (La tombe du divin plongeur). Anche questo è «contesto»; forse uno che, rispetto a una ricostruzione pseudostorica, trasmette meglio l’enigma di un’immagine fatta per essere seppellita (tengo a precisare che il contesto antico è comunque spiegato adeguatamente in pannelli e video che accompagnano l’esposizione). In un certo senso, archeologia e arte contemporanea sono campi limitrofi, se non sovrapposti. La Magna Grecia: 28 secoli di arte contemporanea. E come nell’arte contemporanea, niente è scontato, niente è definito: dove comincia e finisce l’arte, che cos’è? La risposta non sta nei manuali di «arte greca», che personalmente trovo perlopiù una lettura deprimente. La risposta sta piuttosto nel dialogo tra antichità e contemporaneità, inaugurato a Paestum proprio dall’installazione di Carlo Alfano che all’epoca risultò scandalosamente innovativa.
E il Parco Archeologico di Paestum prosegue su questa strada, per gli stessi motivi: a dicembre, fino al 17, ogni sabato alle ore 16 presso lo stabilimento ex Cirio si potrà visitare l’installazione degli artisti Angelo Casciello, Enzo Cursaro, Angelomichele Risi e Sergio Vecchio, curata da Massimo Bignardi, professore di Storia dell’arte contemporanea all’Università di Siena; nelle stesse occasioni ci sarà una visita guidata al Santuario di Venere a cura della sezione didattica del Parco. Dal 21 al 31 dicembre si realizzerà il progetto di video art sul tempio di Nettuno a cura di Alessandra Franco.