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Alessandra Ruffino
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A conclusione delle iniziative per i vent’anni del Centro Conservazione e Restauro «La Venaria Reale» (CCR), e nell’esatta ricorrenza del centesimo compleanno di Pinin Brambilla Barcilon (1925-2020), il primo dicembre si è svolta una giornata di studi dedicata alla grande restauratrice milanese, nota al grande pubblico per aver lavorato al «Cenacolo» di Leonardo, nonché prima direttrice dei Laboratori di Venaria. L’occasione, nella quale è stato presentato l’Archivio di Pinin Brambilla Barcilon, oggi consultabile online, ha voluto essere una ricostruzione storica di una carriera irripetibile di oltre 60 anni di attività.
Ingaggiata nel dicembre 2005, sotto la presidenza di Carlo Callieri e la direzione scientifica di Carla Enrica Spantigati, Pinin Brambilla Barcilon ha avviato i laboratori del CCR, luogo nato insieme alle norme che introducevano una concezione rivoluzionaria della professione del restauratore in cui si integravano competenze umanistiche, tecniche e scientifiche. Grazie all’ambizioso slancio del neonato istituto di Venaria, nel 2006 fu inaugurato il primo corso di laurea in Italia in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali dell’Università di Torino, in collaborazione con il CCR, oggi unico corso magistrale con cinque settori formativi attivi per altrettante tipologie di manufatti e laboratori in sede.
Nel suo saluto in avvio dei lavori, il presidente del CCR Alfonso Frugis ha paragonato Pinin Brambilla al demiurgo del Timeo, che «è il più nobile degli artefici» perché conduce dal caos alle idee: quella di Brambilla, ha aggiunto, è «la storia di coloro che si prendono cura della storia». Nella sua direzione a Venaria, Gianluca Cuniberti, prorettore dell’Università di Torino, ha riconosciuto il fattore decisivo che ha permesso in pochi anni al CCR di diventare «un hub di riferimento per la cultura del restauro», equiparabile all’Opificio delle Pietre Dure e all’ICR, le più antiche istituzioni di settore. Con il commosso ricordo di Jaime Alberto Barcilon Brambilla, che ha tracciato un ritratto intimo della madre, donna «riservata, rigorosa, attenta ai dettagli, severa», si è chiusa la parte introduttiva del convegno, moderato da Stefania de Blasi, responsabile Area Comunicazione e Documentazione CCR.
La relazione di Michela Cardinali, direttrice dei Laboratori di restauro e della Scuola di Alta Formazione CCR, ha posto l’accento sul valore degli scambi territoriali, nazionali e internazionali tessuti da Brambilla, sulla sua esortazione a coniugare ricerca e valorizzazione e a condividere i dati. Del progetto strategico del CCR, Pinin «condivise da subito il più ampio obiettivo istituzionale e culturale di costruire di un gruppo di lavoro interdisciplinare, capace di integrare competenze tecnico scientifiche, storico artistiche e gestionali in una prospettiva di ricerca e sviluppo comune».
Con gli interventi di Chiara Rostagno, vicedirettrice di Brera e direttrice esecutiva del «Cenacolo» Vinciano, e Pietro C. Marani, presidente dell’Ente Raccolta Vinciana di Milano, si è entrati nello specifico del più celebre restauro eseguito da Brambilla, quello del «Cenacolo» di Santa Maria delle Grazie (1979-99). Il ventennale lavoro di Brambilla, ha osservato Marani, ha consentito la «scoperta» del «Cenacolo», in ordine alla raffinatezza cromatica, al luminismo e alla salvaguardia del frammento «inteso come recupero storico che deve sopravvivere». L’intervento al «Cenacolo», una delle più straordinarie avventure della storia del restauro, ha dato origine a una «metodologia autogenerantesi» che si è modificata e perfezionata in corso d’opera ispirando anche il lavoro di architetti come David Chipperfield.
A riflettere sul profilo umano di «una persona complessa: dura e sensibile insieme», è stata quindi Emanuela Daffra, soprintendente dell’Opificio delle Pietre Dure, che si è soffermata sui rapporti di Pinin Brambilla con Carlo Bertelli e Cesare Brandi, e sulle invarianti del «metodo Brambilla». Tra esse spiccano il continuo richiamo a considerare la visione d’insieme e la volontà di mantenere sempre il senso e la leggibilità complessiva delle opere. Il restauro della Pala di Brera di Piero della Francesca, condotto da Brambilla in dialogo con gli storici dell’arte, ha mostrato la complementarità di due professionalità affiancate e non mescolate. In quel caso, ha notato Daffra, la sensibilità della restauratrice ha operato «una pulitura prudente» che ha ridato alla tavola la sua qualità di «capolavoro di riverberi».
Alessandro Gatti, restauratore del CCR e già collaboratore di Pinin prima dell’incarico a Venaria, è poi tornato sul rapporto tra Brambilla e il Centro. A spingere la restauratrice già 80enne ad accettare nel 2005 la direzione a Venaria fu l’idea di poter dare un contributo alla nascita di un’istituzione. Quel salto nel vuoto le regalò una seconda giovinezza: pur restando fedele a sé stessa, seppe rinnovarsi nell’aggiornamento alle tecniche più recenti, nella comunicazione e nelle metodologie d’insegnamento. Ricordando il legame di profonda stima reciproca tra Brambilla e Gianni Romano, che era solito chiamarla «la divina», Gatti constata come il processo di integrazione tra laboratorio e didattica sia oggi pienamente compiuto.
A Chiara Pipino (archivista CCR) e Edi Guerzoni (dottoranda Università di Torino e CCR) è toccato il compito di illustrare l’Archivio Brambilla Barcilon, che raccoglie materiali dal 1954 al 2017, ed è approdato al Centro nel 2017. Più di 455 faldoni, 1.300 relazioni di restauro, provette e buste di campioni materici, documenti audiovideo e oltre 50mila immagini documentano l’attività di Pinin Brambilla con la precisa intenzione di trasmettere e conservare strumenti di studio e lavoro. Al prezioso Archivio è dedicato il volume Saper vedere. L’archivio professionale di Pinin Brambilla Barcilon, a cura di Stefania De Blasi (CoRes, 2025). A chiusura dei lavori si è tenuta una tavola rotonda, moderata da Pietro Petraroia (ad Cultura Valore), a cui hanno preso parte Silvia Cecchini (Università Roma Tre), Kazounori Iwakura (coordinatore giornalistico per la televisione giapponese), Maria Beatrice Failla (Università di Torino), che ha individuato come lascito di Brambilla la «concentrazione attiva che passa attraverso l’occhio e non attraverso la teoria» e Lanfranco Secco Suardo (presidente Associazione Giovanni Secco Suardo), che ha riconosciuto nel CCR «il luogo nel quale si riassumeva un sapere di una vita e se ne rilanciava l’eredità per l’avvenire».
Quasi tutti i relatori sono tornati sull’ineffabile «dono dell’occhio» che Pinin Brambilla aveva come dote innata. Del resto, come dichiarò la restauratrice in occasione della laurea ad honorem conferitale nel 2019 dall’Università di Torino, «La preparazione è fondamentale per affrontare l’intervento su un’opera d’arte, ma al restauratore sono necessarie doti che competono anche alla sua singola e personale sensibilità, alla sua capacità di osservare e, soprattutto, di saper vedere. Il rapporto che si stabilisce con l’opera che si restaura è un rapporto di empatia, non solo e semplicemente una partecipazione emotiva, ma una capacità (che si esercita con la mente e con il cuore) di immedesimarsi nell’opera d’arte, di percepirne l’intima struttura, di catturarne la verità più autentica. Questo richiede umiltà prima di tutto e un grande senso di responsabilità».
Pinin Brambilla con gli studenti presso i laboratori del Centro Conservazione e Restauro «La Venaria Reale», 2008. © Archivi Centro Conservazione e Restauro «La Venaria Reale», Fondo Archivio Comunicazione
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