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Giulia Grimaldi
Leggi i suoi articoliAlla Photographers’ Gallery di Londra, fino al 15 giugno è in mostra il lavoro del gruppo di ricerca Planetary Portals, un progetto che intreccia i paesaggi ambientali dell’estrazione di oro e diamanti in Sudafrica nel diciannovesimo secolo con il processo di scripting dell’intelligenza artificiale.
Il gruppo, formato da Casper Laing Ebbensgaard, Kerry Holden, Michael Salu e Kathryn Yusoff, scava negli archivi di Cecil Rhodes (magnate minerario e politico britannico del Sudafrica di fine ’800), per produrre cartografie critiche. L’obiettivo è quello di indicare il modo in cui le disuguaglianze geosociali attuali hanno radici profonde nel colonialismo, e come questo faccia sì che tali dinamiche continuino a essere riprodotte e mantenute nel presente.
Intorno a ogni fotografia viene sviluppata una breve sceneggiatura che dà voce alle assenze dell’archivio. I film a inquadratura singola mostrano come l’IA generativa ripeta i paradigmi razziali dell’ultima parte del diciannovesimo secolo. Alle immagini sono stati aggiunti dei testi, che servono sia come guida riparatrice alla fotografia coloniale, sia come materiale di partenza per alimentare le LLM (Large Language Model).
Le animazioni hanno anche il ruolo di richiamare l’attenzione sulla poetica sensoriale dei paesaggi, ribellandosi alla negazione delle emozioni e della capacità di sognare imposte a chi non è presente nell’inquadratura originale.
L’IA generativa si basa su dati estratti per creare “grandi modelli linguistici” (LLM). Questi modelli apprendono principalmente attraverso la lingua inglese, la lingua dominante negli insiemi di dati dell’IA e legata ai colonizzatori e questo oscura le lingue e le conoscenze locali che restano così inconoscibili per l’archivio dell’IA. Oltre 2000 lingue viventi ed estinte saranno esposte sulle pareti della galleria, mettendo così in luce le lacune dei LLM. Viene così richiesto allo spettatore di mettere in discussione il funzionamento delle intelligenze artificiali, interrogandosi sulle conseguenze della sintetizzazione di molteplici forme di espressione in un unico linguaggio di codifica.
Emergono così i fantasmi, le storie dei personaggi invisibili allora come oggi, che si tratti dei minatori, degli operai o delle vittime della gentrificazione di massa che sta avvenendo in molte città. Sono racconti che uniscono realtà fisica e virtuale in un’opera cinematografica creata principalmente con il software per videogiochi Unity. A rendere maggiormente concreto il lavoro virtuale, si aggiunge la sua dipendenza da molte risorse naturali e dai metalli rari, sempre più al centro delle politiche internazionali.
Tra i numerosi temi trattati c’è quello della fotografia d’archivio («Woman in flux») utilizzata per comprendere dei paesaggi lontani, in cui gli abitanti del luogo non sono altro che merci, paragonabili agli altri elementi del territorio, e quindi sfruttabili. In «Eugenic Tree» si focalizza l’attenzione sul potenziale di resistenza di quelle vite che scivolano tra le maglie della rete, ribellandosi all’imperialismo riprodotto attraverso i LLM. In «Pastoral Landscape» si analizza come l’idealizzazione del paesaggio sia parte del processo coloniale allontanando la terra da chi la abita. In «Battle Ground», infine, nell’immagine viene reintrodotto l’aspetto della violenza, creata dall’impero ma estranea alla sua rappresentazione archivistica.
È possibile vedere una versione ampliata del progetto su unthinking.photography.