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Umberto Boccioni, Il lago

Courtesy Galleria dello Scudo Verona

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Umberto Boccioni, Il lago

Courtesy Galleria dello Scudo Verona

Quattro disegni inediti e una collezione ritrovata: Umberto Boccioni in mostra da Bottegantica

In scena a Milano fino al 30 ottobre, la mostra ricostruisce le vicende di una delle più significative collezione del genio futurista, e di una saga familiare legata a doppio filo con la storia artistica e politica dell’Italia di primo Novecento

Riccardo Deni

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Esistono storie che sopravvivono ai vuoti, ai silenzi, agli esili. Storie che restano incise non solo nei documenti, ma nelle opere, nei legami che attraversano il tempo. «Boccioni e i Baer. La storia di una collezione ritrovata», in mostra da Galleria Bottegantica di Milano dal 3 al 30 ottobre, è una di queste. Un'esposizione che non celebra soltanto l’opera di un maestro del Futurismo, ma fa emergere dal fondo della storia una trama di affetti, collezionismo e resistenza culturale. È attorno a quattro disegni inediti di Umberto Boccioni - recentemente riemersi dalla collezione di Betty Stein Baer - che si ricompone, pezzo dopo pezzo, la memoria di un sodalizio dimenticato. Quello tra l’artista e la famiglia Baer, imprenditori ebrei di origine tedesca, raffinati collezionisti, protagonisti silenziosi della scena culturale milanese del primo Novecento.

Un rapporto umano, sincero, forse intimo, che emerge tanto nel ritratto di Betty Baer con la figlia Nora, realizzato nel 1909, o in quello di Vico Baer, imprenditore, amico, «l’unico rimasto», come lo definiva Boccioni in una lettera del 1914, diventa emblema di quel collezionismo che è prima di tutto forma di vicinanza, atto di fiducia nell’altro. La mostra ricostruisce così, attraverso opere, lettere e documenti d’archivio, questa costellazione relazionale perduta. E lo fa con pudore, senza mitizzare, ma dando voce a una stagione fondamentale dell’arte italiana, in cui il gesto artistico e quello collezionistico si rispecchiavano, si potenziavano. Dalla genesi de «La città sale» a ritratti inediti come quello di Gemma Baer, ogni opera restituisce non solo l’evoluzione di uno stile, ma il riflesso di una rete di relazioni capace di far fiorire l’arte anche nei tempi più incerti.

Umberto Boccioni, Testa futurista

I contatti tra Umberto Boccioni e la famiglia Baer, e quindi con i due cugini Vico e Samuele Baer, importanti imprenditori di successo nel commercio di ricami e confezioni d’abiti, nacquero, verosimilmente, all’interno del raffinato entourage culturale di Margherita Sarfatti. La moglie di Samuele, Betty, si mosse all’interno del mondo dell’associazionismo femminile, battendosi tanto per l’emancipazione della donna che per le politiche assistenziali, come dimostra la sua vicinanza ad una delle figure più importanti in questo ambito. La comune frequentazione di questi ambienti è, con buona probabilità, l’occasione per Betty di approfondire il suo interesse per il mondo dell’arte, proprio nel momento in cui Margherita Sarfatti aveva da poco conosciuto Boccioni. L’ingresso nel circuito sociale e culturale di Betty e Samuele Baer apre a Boccioni nuovi rapporti, tra cui quello con Vico Baer. 

Eppure, quando l'incertezza di fa tragedia, pure i migliori equilibri si trovano a vacillare. Il rapporto tra i Boccioni e i suoi mecenati è segnata dalla frattura storica delle leggi razziali, che costringono la famiglia Baer a lasciare l'Italia e a disperdere la loro collezione. La diaspora è geografica - da Firenze agli Stati Uniti, passando per la Svizzera e l’Inghilterra - ma anche affettiva e culturale. Alcuni dei capolavori finiscono al MoMA, altri riemergono solo oggi, come ora da Bottegantica. Altri ancora restano nel limbo delle opere perdute, che sopravvivono solo nei ricordi, nei registri, nei manifesti di una mostra postuma del 1933 al Castello Sforzesco.

È in questo spazio interstiziale, tra assenza e ricomparsa, che si colloca «Boccioni e i Baer. La storia di una collezione ritrovata». Un'esposizione che conserva un carattere nostalgico, ma è principalmente un atto di restituzione: di opere, ma di nomi, volti, storie. Di donne come Betty Baer, attivista e collezionista, o come Marianna Baer, fuggita alla razzia di Firenze e compagna di un partigiano caduto per la libertà. Di uomini come Vico, mecenate in esilio, e Mario, che restò per salvare altre persone dalla persecuzione. Un progetto che diviene dunque, in parte, anche politico. Ma soprattutto profondamente umano.

Riccardo Deni, 03 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

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