«Fortunato Martinengo» (1540-45 ca) di Alessandro Bonvicino il Moretto, Londra, National Gallery (particolare)

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«Fortunato Martinengo» (1540-45 ca) di Alessandro Bonvicino il Moretto, Londra, National Gallery (particolare)

Quei quarant’anni terribili ma creativi del Cinquecento bresciano

Una quarantina di opere tra dipinti e arte suntuaria ricompongono lo spirito della prima metà del XVI secolo, tormentato dal sanguinoso «Sacco» del 1512 delle truppe francesi

Prima ancora di essere una bellissima mostra, fitta di capolavori, non solo pittorici, «Il Rinascimento a Brescia. Moretto, Romanino, Savoldo. 1512-1552» è un affresco: «Un affresco sentimentale, aggiungerei», ci suggerisce Roberta D’Adda, che con Filippo Piazza ed Enrico Valseriati l’ha curata per Fondazione Brescia Musei, ordinandola nel Museo di Santa Giulia, dov’è visibile dal 18 ottobre al 16 febbraio 2025

La mostra si propone infatti di ricomporre attraverso una quarantina di selezionatissime opere (tra dipinti e alcuni preziosi esempi di arte suntuaria) lo spirito di quei quattro decenni del XVI secolo che a Brescia, fino ad allora città ricca, potente e operosa, fra le più popolose d’Europa, furono tormentati dal sanguinoso «Sacco» compiuto nel febbraio del 1512 delle truppe francesi al comando di Gaston de Foix: 8mila morti su 65mila abitanti, e la città devastata. Fu un trauma brutale, cui i più fortunati reagirono andando in cerca di armonia attraverso la musica, la natura, l’arte, mentre la città, dove pure vigeva un’intensa devozione religiosa, era scossa anche da forti tensioni nutrite dal pensiero di Erasmo da Rotterdam (la prima traduzione in volgare del suo Enchiridion militis christiani, in mostra, fu stampata a Brescia nel 1531). 

Le date che figurano nel titolo sono (anche) quelle estreme della vita di Fortunato Martinengo: «La sua figura, spiega Roberta D’Adda, è stata assunta come bussola e il suo meraviglioso ritratto, opera di Moretto (eccezionalmente prestato dalla National Gallery di Londra), è il punto d’approdo della mostra. Nella sua figura pensierosa sembrano infatti agitarsi tutte le passioni che abbiamo ripercorso in mostra: figlio cadetto, Fortunato non si occupò né di armi né del governo delle cose di famiglia ma fu un umanista, amico di poeti e pensatori attraversati come lui da inquietudini filosofiche e religiose. Non a caso fondò l’Accademia “dei Dubbiosi”. La mostra percorre i diversi ambiti della sua esistenza: l’amore per la musica e per la natura (intese come traduzioni dell’armonia divina), la spiritualità inquieta, la sfera mondana...». 

Sono riuniti in mostra anche due ritratti di Moretto nei quali si possono riconoscere un altro Martinengo, Girolamo, e la moglie Eleonora Gonzaga di Sabbioneta, morta prematuramente, mentre è un inedito l’arazzo con «Marte, Venere e Cupido» eseguito per le loro nozze su disegno di Romanino. Intorno al protagonista ruota poi una piccola folla di altre figure, molte femminili, come la mistica bresciana Angela Merici, fondatrice delle Orsoline: «Una figura rivoluzionaria, né moglie, né monaca, che fondò una compagnia di donne riunite in piccole comunità che svolgevano nella società la funzione di consigliere civili e spirituali». Amica di Moretto, a lei va ricondotta la pala in mostra del maestro bresciano con «Sant’Orsola e le compagne». 

Erano molte, del resto, a Brescia, le donne in vista, poetesse o accademiche che fossero, com’è provato da Un breve trattato della eccellentia delle donne (1545), uno dei libri esposti. Insieme, sono in mostra le costose armature per cui la città era famosa, preziose maioliche istoriate e strumenti che testimoniano l’eccellenza della città anche in ambito musicale. «Un’opera da non perdere? Sono tutti capolavori, conclude Roberta D’Adda, ma segnalo lo “Stendardo dei Disciplini” (1522-24 ca), di Moretto, appartenuto ad Antonio Canova (che lo credeva opera del Pordenone) e conservato nel Tempio Canoviano di Possagno. In esso è condensato ciò che intendevamo raccontare della spiritualità devota e dell’opera delle congregazioni diffuse in quegli anni a Brescia: c’è l’apparizione della Madonna e, in basso, ci sono due Disciplini inginocchiati. Uno dei due, a volto scoperto, mostra l’espressione estatica propria della pratica dell’“orazione mentale”, in cui si pregava fino a materializzare la figura sacra; l’altro, il capo ancora coperto, mostra un taglio sulla tunica, effetto delle flagellazioni: una notazione che ci conferma la capacità di questi pittori di raccontare la realtà». Intanto, nella Fondazione Paolo e Carolina Zani della vicinissima Cellatica, sono in mostra fino al 24 novembre due capolavori di Savoldo della Galleria Borghese.

«Pastore con flauto» di Savoldo, Los Angeles, Paul Getty Museum

Ada Masoero, 16 ottobre 2024 | © Riproduzione riservata

Quei quarant’anni terribili ma creativi del Cinquecento bresciano | Ada Masoero

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