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Guglielmo Gigliotti
Leggi i suoi articoliConserva resti architettonici tra i più antichi di Roma, e ora è accessibile anche al pubblico: è l’Area sacra di Largo Argentina, finora visibile solo dall’alto della piazza moderna. Grazie alla sistemazione condotta dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni culturali, finanziata dalla Maison Bulgari, i resti dei quattro templi di età repubblicana sono ora osservabili anche dal piano originario: una grande piazza lastricata a riquadri di travertino.
Sita in Campo Marzio, l’area, tra le più preziose dell’antica città, venne scoperta per caso un secolo fa in occasione di demolizioni pianificate all’interno di un progetto di rinnovamento del quartiere. Fu così deciso di portare l’intero complesso alla luce, permettendo di scrivere un capitolo sino a quel tempo ignoto dell’antichità romana.
Il tempio più antico, eretto su alto podio in tufo, a inizio III secolo a. C., fu dedicato a una divinità della fertilità di origine sabina, Feronia, che aveva presso l’attuale cittadina di Fiano Romano il suo principale santuario, il Lucus Feroniae. Il culto di questa dea madre venne infatti introdotto all’indomani della conquista romana di quel territorio (e grazie al bottino ivi raccolto).
Il secondo tempio, della metà del III secolo a.C., venne costruito in onore della ninfa delle fonti Giuturna da Gaio Lutazio Catulo, come voto per la vittoria conseguita su Cartagine nella Battaglia delle Isole Egadi. Anche il terzo tempio, dedicato ai Lari Permarini (protettori della navigazione in mare), fu consacrato, attorno al 180 a.C., nel rispetto di un voto espresso in concomitanza di una battaglia contro i Fenici.
Altri nemici di Roma, i Cimbri, definitivamente sconfitti nel 101 a.C. a Vercelli dopo lunga sequela di aspre battaglie, determinarono l’urgenza di un omaggio agli dei in forma di santuario, un omaggio rivolto nello specifico all’intestataria del tempio circolare periptero dell’area sacra repubblicana: la Fortuna huiusce diei, ovvero la Fortuna del giorno presente. La colossale testa marmorea, pertinente a un acrolito scoperto proprio in questa area, ora al museo della Centrale Montemartini, è con ogni probabilità proprio l’effigie di questa originale divinità romana. Sono, come si vede, divinità arcaiche della religiosità romana.
Oltre alla passerella che percorre un intero lato lungo del rettangolo repubblicano, la sistemazione comprende anche la creazione di ambienti espositivi, ad altezza dell’area, ma anche presso il porticato della Torre del Papito a livello strada, dove sono raccolti colossali teste, iscrizioni epigrafiche, ornamentazione architettonica reperita nel sito, reperti capaci di tratteggiarne anche la sua lunga vita: il tempio pagano di Giuturna, ad esempio, già dal VI secolo divenne convento e tempio cristiano. Nel Medioevo assunse il nome di San Nicola de Calcarario, perché nell’antica area dei templi repubblicani di Roma sorse una grande fornace (calcara) per la fusione dei marmi antichi e la creazione di calce, destinata a nuove costruzioni. Roma non muore, si trasforma.

Veduta dell’Area sacra di Largo Argentina
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