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Monica Trigona
Leggi i suoi articoliLa galleria Hauser & Wirth di Zurigo tenta un esperimento audace riunendo, per la prima volta in modo sistematico, le opere di Mark Rothko e Robert Ryman, due nomi leggendari dell’arte americana del Novecento, accomunati più da un’aura mitica che da reali affinità formali o concettuali.
La mostra «Just There» curata da Dieter Schwarz, e che apre il 12 giugno (sino al 13 settembre), propone un corpus selezionato ma incisivo: dipinti di Rothko degli anni ’50 e ’60 accanto a lavori di Ryman che coprono un arco temporale dalla fine dei ’50 agli anni ’90. Ciò che emerge però non è tanto un dialogo, quanto una dissonanza: Rothko e Ryman parlano due lingue diverse, e il loro incontro visivo, per quanto suggestivo, solleva più domande che risposte. Mark Rothko, figura emblematica dell’Espressionismo astratto, lavora per evocazione e immersione. Le sue superfici cromatiche non sono semplici campi di colore, ma spazi metafisici, carichi di tensione spirituale. Ryman, al contrario, opera per sottrazione e distacco. La sua pittura, apparentemente fredda e ridotta all’osso, si muove in una dimensione quasi analitica, dove ogni decisione, supporto, pennellata, luce, diventa parte integrante del significato.
Schwarz motiva così la sua scelta curatoriale, a partire da una traccia biografica: «L’idea di riunire Rothko e Ryman in una mostra è nata dalle mie ricerche su Ryman. Ho notato che Rothko era quasi l’unico artista citato da Ryman nelle sue interviste. Da giovane, mentre lavorava come guardia al Museum of Modern Art, aveva visto il primo dipinto di Rothko entrato nella collezione nel 1952 e ne era rimasto folgorato, perché non riusciva a capire cosa rappresentasse. In seguito, capì e disse che era stata la “nudità” dei quadri di Rothko ad affascinarlo, che c’era qualcosa di così chiaro e presente che gli aveva insegnato cosa poteva essere la pittura. Ryman non conosceva bene Rothko, lo aveva incontrato solo una volta al ristorante del MoMA ed era troppo timido per parlargli; quindi, la mia mostra non riguarda un’amicizia personale, ma solo ciò che il pittore più giovane vedeva nell’opera dell’uomo più anziano». In effetti, il percorso suggerisce che il legame tra i due artisti sia più immaginato che sostanziale. Nonostante le affinità tematiche, il ruolo della luce, l’interesse per la superficie, la volontà di rendere visibile il processo pittorico, la tensione tra le due visioni rimane irrisolta. Rothko tende al sublime, Ryman al tangibile; Rothko è intensità emotiva mentre Ryman è pensiero strutturale. Se c’è un dialogo, è un dialogo tra solitudini, che si guardano senza riconoscersi. E forse è proprio qui che risiede il valore critico dell’esposizione: nel rendere evidente la difficoltà di storicizzare l’arte attraverso analogie forzate.

Robert Ryman, «Untitled», 1959. © 2025, ProLitteris, Zurich. Photo: Jon Etter