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Chiara Massimello
Leggi i suoi articoli«No Place like Home / Nessun posto come casa: Italian photography since the 1980s» è la mostra realizzata dall’Institut für Kunstdokumentation und Szenografie-IKS Photo Düsseldorf. Partirà dalla Kunsthalle Darmstadt il 28 settembre (fino all’11 gennaio 2026) per poi spostarsi allo SCHAUWERK Sindelfingen fino al 26 luglio 2026 e infine, nella primavera 2027, sarà alla Draiflessen Collection Mettingen. Per la prima volta la Germania riunisce quattro istituzioni per ragionare su come la fotografia italiana, a partire dagli anni Ottanta, abbia contribuito allo sviluppo di quella europea.
«Nessun posto come casa» per chi ama e frequenta la fotografia italiana sembra un’affermazione quasi ironica. Nella realtà, è proprio a casa che la nostra fotografia sembra faticare a trovare un suo ruolo istituzionale e luoghi dedicati alla sua tutela e conservazione. Eppure, mentre a Milano la Fondazione Prada con «Typologien», curata da Susanne Pfeffer (si è chiusa il 14 luglio) rendeva omaggio alla grande fotografia tedesca e alla sua capacità analitica e di catalogazione, la Germania guarda all’Italia e ad alcuni dei suoi grandi maestri: da Guido Guidi (1941) a Gabriele Basilico (1944-2013), da Luigi Ghirri (1943-92) a Walter Niedermayr e Marina Ballo Charmet (1952), presentando foto vintage e scatti raramente esposti. Quaranta artisti per un totale di circa 340 opere; molte le presenze, ma molte anche le assenze. Un bel progetto per la nostra fotografia, ma il rischio, da non sottovalutare, potrebbe essere quello di creare una mostra utile per farci conoscere all’estero, ma non completa e totalmente credibile per chi conosce bene la fotografia italiana.
Abbiamo parlato con Ralph Goertz che ha fondato l’IKS-Institut für Kunstdokumentation a Düsseldorf nel 2009, ne è direttore e curerà la mostra. IKS contiene un vasto archivio privato dedicato ai media dell’arte contemporanea e nel 2022 si è ampliato aggiungendo IKS Photo, un dipartimento dedicato alla fotografia artistica e documentaria europea e americana, a partire dagli anni Settanta, che ha come scopo quello di conservare e promuovere la fotografia tramite mostre e pubblicazioni.
Goertz ci spiega che si occupa di fotografia da trent’anni e naturalmente, essendo stata IKS fondata a Düsseldorf, nel tempo è stato in contatto con artisti legati alla grande scuola che porta il nome della città: da Thomas Ruff ad Andreas Gursky, da Candida Höfer a Thomas Struth. Guardando sempre alla fotografia internazionale, negli ultimi anni il focus dell’Istituto è passato da grandi mostre individuali (Martin Parr, Joel Meyerowitz, Axel Hütte) o di confronto (Soth/Brohm, Winogrand/Lindbergh, Brohm/Mahler/Myers) a mostre collettive per presentare voci e temi importanti dei nostri giorni («UK Women», «Facing Britain»).
«Conosco diversi fotografi italiani da anni, racconta Goertz, e mi ha sempre sorpreso e scioccato il fatto che non fossero mai stati presentati in un contesto più ampio in Germania. Guido Guidi non è mai stato presentato qui. Solo il Museum Folkwang ha dedicato una mostra antologica a Luigi Ghirri. In Germania sono poche le mostre che hanno coinvolto fotografi italiani e ogni volta che chiedo alle persone se conoscono fotografi italiani, la risposta è sempre la stessa: no. Solo una manciata di fotografi italiani sono conosciuti qui. Pochissimi sono i più noti».
Secondo Goertz è importante presentare la differenza tra la fotografia tedesca e quella italiana, ma anche sottolineare come ci siano molti temi e sviluppi simili. In veste di curatore, vuole presentare al pubblico tedesco una prospettiva internazionale su un Paese che è molto conosciuto in Germania, ma analizzandolo non dal punto di vista italiano.
«Ho scelto il periodo a partire dagli anni Ottanta perché è stato il momento più importante nella storia della fotografia in Europa. L’America aveva iniziato prima, negli anni Sessanta, con la New Color Photography, mentre in Germania (alla fine degli anni Settanta) un nuovo sviluppo era iniziato con Bernd e Hilla Becher a Düsseldorf, ma anche con il primo movimento fotografico a colori alla scuola Folkwang di Essen nel 1980, quando Andreas Gursky, Joachim Brohm e altri studiarono a Essen dopo la morte di Otto Steinert nel 1978. In Italia ci fu un grande cambiamento dopo il periodo degli anni Sessanta e Settanta, quando l’Arte Povera era più importante, e fotografi come Guido Guidi, Luigi Ghirri, Marina Ballo Charmet, Gabriele Basilico e altri diedero inizio a un nuovo modo di fare fotografia, che trovò la sua massima espressione nella mostra “Viaggio in Italia”. C’è un forte parallelismo nel loro approccio artistico alla fotografia tedesca, che trovo molto interessante».
Mancano nomi importanti nel primo comunicato della mostra, ma Goertz ci spiega che è già in contatto con Olivo Barbieri e ha iniziato a conoscere Vincenzo Castella. L’elenco dei fotografi partecipanti non è ancora definitivo, in mostra saranno una quarantina. «Quando si cura una mostra collettiva, è inevitabile tralasciare alcuni nomi importanti e quando ho iniziato la mia ricerca tre anni fa ho stilato un elenco di circa 150 fotografi che avrebbero potuto prendere parte alla mostra. Come curatore, cerco sempre di trovare una nuova prospettiva per sottolineare ciò che era importante in un determinato momento all’interno del medium, ma anche nella società. E cerco sempre di trovare posizioni interessanti che non sono molto rappresentate nel loro Paese. Avere una visione fresca e unica della fotografia italiana da una posizione esterna è un punto di forza. Avere la libertà di scegliere punti di vista differenti e nuovi, rende una mostra più interessante e riflette lo “Zeitgeist” in modo diverso. Sono molto grato a William Guerrieri e Nicoletta Leonardi per aver riflettuto sulla mia lista di fotografi (mi hanno aiutato molto con i loro contatti e la loro esperienza), ma trovare il mio modo di raccontare una storia è la sfida per presentare una collettiva che abbia un valore internazionale. Mi piacerebbe portare la mostra in un’istituzione italiana, conclude Goertz, ma purtroppo fino ad oggi nessuno è interessato. Ho offerto la rassegna a diverse istituzioni in Italia, la maggior parte di loro vorrebbe realizzare un’esposizione come questa, ma in proprio e forse in futuro».
Non ci resta che attendere la mostra in settembre. Certamente un progetto così ampio non potrà essere completo, ma speriamo sia una ricognizione e un punto di partenza per una riflessione doverosa, che forse non è stata più fatta dopo «Combattimento per un’immagine» (1973) o «Viaggio in Italia» (1984). Sarà la Germania a esportare nel mondo la nostra fotografia?
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