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Particolare di Alighiero Boetti, «Aerei», 1979, venduto a 393.700 euro. © Sotheby’s

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Particolare di Alighiero Boetti, «Aerei», 1979, venduto a 393.700 euro. © Sotheby’s

Sette Boetti incassano oltre un milione e mezzo di euro

Ieri 20 aprile sono stati venduti all’asta nella sede milanese di Sotheby’s 70 lotti, in gran parte dedicati all’arte italiana con buoni risultati e solo 5 invenduti

Riccardo Deni

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C’era molta attesa per l’asta di ieri sera, 20 aprile, di Sotheby’s a Milano dedicata all’arte (in gran parte italiana) di moderno e contemporaneo, giustificata da alcuni fattori: innanzitutto l’eterno banco di prova per alcuni protagonisti del Novecento che però, essendo italiani, vivono pericolosamente, flirtando con costanza tra risultati straordinari e periodi di relativo appannamento. È il caso di Enrico Castellani e Carla Accardi, e in una certa misura di anche di Lucio Fontana. Inoltre, quest’asta era un ulteriore banco di prova per il «magico» Boetti che continua, lo vedremo tra poco, a superare sé stesso in una crescita che non sembra avere fine, e per Piero Dorazio, fresco, si fa per dire, di una pregevole mostra sugli anni Settanta alla galleria dello Scudo e alla GAM di Verona, nonché per artisti che si affacciano alle aste ora con maggiore continuità come Claudio Parmiggiani e Piero Gilardi, che ci ha lasciati da poche settimane.

L’asta era di settanta lotti, e la partenza è di quelle col botto: Alighiero Boetti, negli appena 23 x 23cm di un latino «Verba volant scripta manent», supera d’imperio la stima e arriva, oneri d’asta inclusi, a 127mila. È il preludio di quello che si ripeterà per tutta la sera, con 82.500 euro per un 17 x 17cm («Ordine e disordine»), 108mila per un 23 x 23 cm («I verbi riflessivi») e così via. In questo senso sembrano un affare i 635mila spesi per un’opera di 118 x 108 cm composto da 16 arazzi da 25 lettere ciascuno. Il momento-Boetti in sostanza è ancora in corso.

Decisamente bene anche Salvo, che presente con un solo lotto di pittura (una lastra di marmo del ’72 di formato generoso si colloca a 63mila, dentro il range di stima), «Nevicata del 1980» di 90 x 110 cm, raddoppia la stima bassa e viene aggiudicato a 120mila. Anche in questo caso l’artista continua a raccogliere l’interesse del mercato che lo vede crescere con costanza, in modo particolare nei lavori precedenti agli anni Novanta.
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Il lotto numero 10 è di Enrico Castellani: dopo il crollo dei valori degli ultimi quattro anni, ogni Castellani appare sotto una lente deformata. Questo lavoro, pregevole, un triangolo estroflesso bianco iscritto in un rettangolo «liscio» di 120 x 118cm, si disimpegna bene, superando di slancio la stima di 300-400mila e collocandosi poco sopra il mezzo milione di euro.

Il lotto 11 di Piero Dorazio, «Spiel in bildform», retino del 1962 di 81 x 100 cm, è un’altra conferma: il ciclo forse più famoso dell’artista che precede di circa dieci anni il suo viaggio americano dove si sarebbe confrontato con le grandi campiture di colore offertigli dagli espressionisti astratti made in US, si conferma molto apprezzato, e l’opera si colloca di poco sopra la stima alta a 330mila. Non è forse quanto qualcuno si attendeva ma è un risultato che è giusto definire solido. Chiude questo primo ideale filotto di stress-test Carla Accardi, lotto numero 12. È un labirinto segnico («Labirinto Barrato», 1957) di grandi dimensioni, 61x160cm e che supera di poco la stima alta collocandosi a 355mila. Anche qui, come per Dorazio, c’è la sensazione che il risultato potesse essere anche migliore, ma il valore raggiunto conferma la crescita dell’artista sul mercato.

Quando il martello arriva al lotto numero 16, quattro tagli rossi di misura contenuta (81x65cm), ma decisamente potenti, di Lucio Fontana, giunge il primo vero sussulto della serata. L’opera vola a 2,6 milioni di euro, 800mila più della stima alta: sul retro l’iscrizione è «Si è rotta la ruota della bicicletta», ma, a dire il vero, questo risultato dimostra che la ruota di Fontana forse torna a girare.
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L’asta procede con il pilota automatico, un 80 x 80cm del 1992 di Castellani, «Superficie bianca», segna 150mila euro all’interno del range di stima (stima decisamente più bassa rispetto al 2015 ma la caduta sembra essersi arrestata), per arrivare a una Natura morta di Giorgio Morandi: l’opera è del 1948 e forse ha un leggero movimento complessivo della scena che le toglie impercettibilmente la consueta forza silente. La stima è 1-1,5 milioni di euro e il lavoro viene aggiudicato a 1,3milioni di euro diritti inclusi. Il lotto seguente è nuovamente un Fontana, una delle molte ceramiche in asta: è un piatto di 50 cm di diametro, una corrida. Il colore rosa è vivo, ma toro e torero sono sinuosi, e sembrano rimandare a quell’idea di acquosità così magnificamente definita da Giorgio Manganelli in occasione del progetto per le porte del Duomo meneghino. Il risultato è vicino alla stima bassa, a 61mila euro, forse un po’ timido considerando la ricchezza del manufatto.

In tema di ceramiche, a metà asta è il turno di Melotti, con due lavori vagamente tediosi e zuccherosi, «L’Inverno» e «La Primavera», che a dispetto della stucchevolezza che li avvolge partono forte e superano la stima alta del 30% arrivando a 133mila. A questo punto tocca a De Chirico, con un lavoro del 1926 di misura 80 x 100cm: è un tempietto con colonne diroccate in una stanza dai muri purpurei. Il lavoro è elegante e compito, forse anche finemente intellettuale, e questo lo premia portandolo alla soglia dei € 600mila (la stima era € 300-400mila). Appena dopo, un’altra ceramica di Fontana.

Segna un buon risultato: un cervo del 1938, di 45 cm di lunghezza, plastico e acquitrinoso, arriva a 255mila partendo da 100mila. È la stessa sorte che accadrà ad altre ceramiche che andranno ben oltre le stime, come «Madonna col bambino» a 165mila (stima 80-120mila) e «Golgota», una mattonella di grande impatto visivo ed emotivo del 1956 di 52 x 60cm, che arriva a 230mila (stima 80mila-120mila). A metà asta, con il lotto 37, si disimpegna con difficoltà un’opera di Campigli di misura 66 x 76cm del 1945, arrivando a stento a 40mila diritti inclusi, sotto la stima bassa, e certificando, possiamo dirlo, la decrescente attenzione del mercato per questo artista. Il lotto 48 di Alberto Burri, una «Combustione» del 1957 di dimensioni (13 x 31cm) si avvicina ai 200mila (stima 120-150mila e aggiudicazione diritti inclusi 191mila) e segue un Afro del 1958 di 77 x 101cm che supera di poco la stima alta a 330mila. L’asta si avvicina alla conclusione e c’è il tempo per registrare un invenduto abbastanza visibile, un «Baco da setola» di Pascali piuttosto tardo (del 1968), e l’unico Piero Gilardi in asta, a pochi giorni dalla sua scomparsa. L’opera «Pesche cadute» del 1966 di 100 x 100 cm, incantevole e vagamente angosciante, supera la stima e arriva a 55mila. Che sia questo il preludio di un primo grande salto?

A dieci opere dal termine, Sotheby’s propone tre lotti consecutivi dedicati a Claudio Parmiggiani: una affumicatura di oggetti e vasi, «Polvere», del 1967, di grandi dimensioni (260 x 118cm) che arriva a 115mila (stima 60-80mila) e due lavori più apollinei, con busti classici a confronto con elementi contemporanei che rientrano nel range proposto di € 30-40mila (entrambi venduti a € 38mila). Sono valori sotto il primo mercato delle gallerie ma incoraggianti per un’asta di questo livello.

Tra gli ultimi lotti ad apparire, un Calzolari del 1975 con candele e piombo di 203 x 141cm che sale superando i 200mila e valicando la già stima alta di 180mila euro, e poi un «Paesaggio Lunare» di Turcato, del 1970, 90cm di diametro che sta nel range proposto a 51mila (stima 40-60mila). Un bel lavoro che testimonia con il risultato non certo reboante l’incertezza di questa fase storica per l’artista che solo qualche anno fa ha registrato i suoi migliori risultati e che oggi sembra flettere sotto il peso della mancata eruzione. A chiudere l’asta nuovamente una «Natura morta», questa volta di Guttuso. L’opera del 1961, di 50 x 65cm, centra la stima alta a 61mila. Finisce così questo appuntamento milanese. Sono pochi gli invenduti, 5 su 72 lotti, meno del 10%, e così possiamo dire che l’arte italiana, se non in grandissima salute a livello internazionale, si mantiene più che appetibile e solida nel mercato domestico, e supera questo esame piuttosto atteso. Quando il martello si abbatte per l’ultima volta la mente vola al lotto numero 3: era un piccolo Francis Alys di 38 x 46cm, «The consequence of ignorance» del 2001. L’opera arriva alla stima alta 108mila euro e conferma la continuità dell’artista in asta che, con i suoi piccoli formati, forte anche della scorsa Biennale di Venezia, continua nel suo percorso di (graduale) crescita.

Piero Dorazio, Spield in bildform, 1962, venduto a 330.200. © Sotheby’s

Salvo, Nevicata, 1980, venduto a 120.650 euro. © Sotheby’s

Riccardo Deni, 21 aprile 2023 | © Riproduzione riservata

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