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Giovanni Pellinghelli del Monticello
Leggi i suoi articoliLa devozione a Maria Maddalena in tutte le confessioni cristiane può considerarsi una sorta di nemesi storica o personale revanche della santa verso papa Gregorio Magno, artefice nel VI secolo della «demonizzazione» della figura femminile in generale e della Maddalena in particolare, volute, la prima, a screditare le dominae romane che mantenevano il controllo del già enorme patrimonio da loro donato alla Chiesa, la seconda, funzionale alla prima, a distogliere i fedeli dal culto delle figure femminili dei Vangeli allora più seguiti: quelli che (dal VI secolo e proprio con Gregorio) divennero i Vangeli «apocrifi», cioè falsi, eretici. Quei testi d’intensa poesia religiosa danno infatti speciale rilievo a tutte le coprotagoniste della vita di Gesù: la Madonna e le pie donne, in primis, e perfino le presenze occasionali, come l’adultera o la peccatrice pentita. Fra le prime brilla Maria, signora del villaggio e delle terre di Magdala (da cui «Maddalena»), appartenente alla stirpe di Davide (come la Vergine), sorella di Lazzaro e di Marta, agli occhi della Chiesa protocristiana personaggio troppo rilevante e invadente (il Vangelo di Filippo, versetti 32 e 55, la definisce addirittura «l’amatissima consorte» di Gesù). Niente di più storicamente lontano, quindi, dalla prostituta redenta o dall’adultera, che in comune hanno con Maria di Magdala solo l’atto dolcissimo di lavare i piedi del Salvatore col loro pianto e di asciugarli e ungerli di unguenti preziosi con i loro capelli. Rincuora perciò che l’arte cristiana abbia risarcito Maddalena dell’ingrata damnatio memoriae facendone, appena dopo la Vergine, la donna più amata del Cristianesimo.

Scultore dell’ambito di Donatello, «Busto raffigurante la Maddalena»

Domenico Tintoretto, «Maddalena penitente», 1598-1602, Roma, Musei Capitolini
Questo celebra la mostra «Maddalena e la Croce. Amore Sublime» al Museo di Santa Caterina di Treviso dal 5 aprile al 13 luglio, a cura di Fabrizio Malachin, direttore dei Civici Musei trevigiani: una mostra che esplora le diverse interpretazioni date dal Duecento al ’900 all’immaginario emotivo e fideistico di Cristo e Maria Maddalena.
Inserita nel panorama sinottico della sempre rinnovata iconografia della santa, ognuna delle oltre 100 opere in mostra (suddivise in 12 sale e altrettante sezioni) si fa narrazione di Maria Maddalena donna e santa in un doppio registro: quello, immediato e sensoriale, nell’invenzione pittorica di quell’«Amore sublime», e l’altro, sentimentale e intimista, che guida alla Maddalena archetipo femminile di carisma irresistibile per le sue sfumature emotive e spirituali fra peccato e redenzione, trascendenza mistica e sensualità terrena.
Scorrono così le miniature della Bibbia di san Paolo del IX secolo (realizzata fra l’870 e l’875 per l’imperatore Carlo II il Calvo e la moglie Richildis di Provenza: di tutte le bibbie carolinge pervenute la più riccamente miniata, fu donata da papa Gregorio VII, 1073-85, all’abbazia benedettina di San Paolo fuori le Mura a Roma, dov’è conservata da allora), la pittura rinascimentale con Bellini, Johannes Polonus (il polacco Jan Polack), Tiziano, Paolo Veronese, Jacopo Bassano, Giampietrino, Palma il Giovane, Ludovico Carracci, Guercino e a seguire Bernardo Strozzi, Carlo Saraceni, Domenico Tintoretto, Rutilio Manetti, Sebastiano Ricci, Mattia Bortoloni e Canova e all’Ottocento di Gaetano Previati e Mosè Bianchi fino ad Alberto Martini e l’omaggio speciale nel suo centenario.
Affiancano i dipinti (vari in prestito da musei italiani e stranieri), paramenti sacri e pregevoli oreficerie liturgiche del primo Rinascimento e, da rimarcare per l’alta qualità, il nucleo di sculture lignee dei Civici Musei Trevigiani che, appositamente restaurate, vengono finalmente esposte.

Antonio Canova, «Maddalena giacente», 1819