Francesco Bandarin
Leggi i suoi articoliCon la caduta l’8 dicembre scorso del regime di Bashar al-Assad, che ha posto fine alla dinastia che ha oppresso la Siria per oltre cinquant’anni, si riapre la speranza di poter avviare il processo di collaborazione per la salvaguardia dei siti siriani, anche se non mancano preoccupazioni per il rischio di una ancor maggiore frammentazione del Paese e di una conseguente perdita di controllo sul territorio.
Anche se la presa del potere in Siria da parte del gruppo di opposizione islamico Tahrir al-Sham è stata relativamente rapida e incruenta (il bilancio è comunque di circa 900 vittime), si sono registrati alcuni danni al patrimonio e ai musei del Paese, come ad esempio nella capitale Damasco, dove nei depositi del Museo Nazionale è scoppiato un incendio, per fortuna con effetti limitati, o a Deir ez-Zor presso la frontiera irachena, dove scontri armati hanno danneggiato il museo locale. Inoltre, si è verificata la distruzione, a causa di un incendio, dell’Istituto di Antropologia situato all’interno del Castello di Damasco e anche danni al museo di Tartus a causa di scontri armati avvenuti in prossimità. Tuttavia, nell’insieme, il grande patrimonio archeologico e architettonico siriano non ha subito in questa fase gravi danni, anche se rimane in uno stato precario a causa delle pesanti distruzioni avvenute durante la guerra civile siriana (2011-16) e anche per gli effetti del forte terremoto che ha colpito tutto il Levante nel febbraio del 2023.
Negli ultimi anni, dopo la parziale conclusione delle ostilità interne, ben poco si è potuto fare per restaurare e conservare il grande patrimonio culturale del Paese, a causa delle sanzioni economiche imposte alla Siria, che hanno radicalmente ridotto le capacità dello Stato di avviare gli interventi necessari, bloccato tutte le missioni archeologiche internazionali e sospeso quasi tutti i programmi di collaborazione. In questi anni, la Direzione Generale per le Antichità e i Musei (Dgam), l’organismo del Governo siriano per il patrimonio culturale, è riuscita comunque ad avviare alcuni progetti di restauro e ricostruzione in collaborazione con organizzazioni internazionali, che costituiscono un punto di partenza ma restano ancora decisamente insufficienti rispetto alla gravità della situazione. La riapertura della collaborazione tecnica e scientifica è oggi più che mai necessaria e urgente per contenere gli effetti delle distruzioni e del degrado dei siti e per avviare il processo di recupero e restauro di quanto resta. La situazione dei principali siti siriani, considerando innanzitutto i sei siti iscritti nella lista del Patrimonio mondiale dell’Unesco, è in sintesi la seguente.
Nell’antica città storica di Aleppo, gravemente danneggiata durante la guerra civile siriana, sono stati portati a termine alcuni importanti lavori, tra cui spicca il restauro dei suq vicini alla Grande moschea che erano stati semidistrutti durante le ostilità: il suq Al-Haddadin, restaurato con il sostegno dei proprietari dei negozi, e i suq Al-Saqqatiyya, Al-Khaish, Al-Attarin e Al-Mahmas, restaurati dall’Aga Khan Trust for Culture, che oggi sono in piena attività e contribuiscono alla rivitalizzazione economica della città. Interventi su altre parti di quello che era il più grande mercato del Medio Oriente, con oltre 13 chilometri di sviluppo, sono stati promossi dall’Undp, l’Agenzia dello sviluppo delle Nazioni Unite. La Grande moschea di Aleppo, un capolavoro dell’epoca Ayyubide (1171-1341), pesantemente colpita durante la guerra con la distruzione del celebre minareto, è stata gradualmente restaurata con il contributo finanziario della Repubblica russa della Cecenia, che ha permesso il restauro delle strutture, la ricostruzione del minareto e la riparazione dei danni provocati dal terremoto del 2023. La Cittadella di Aleppo, già restaurata dopo la guerra dall’Aga Khan Trust for Culture, ha anche subito danni nel 2023 ed è attualmente in restauro. Delle 235 moschee e scuole coraniche della Città vecchia, ben 140 sono state danneggiate dal terremoto e per alcune di queste (la zawia Al Hillaliyya, le moschee Al-Haddadin, Mawlawyya, Al-Hamwi, Al-Kayzwani, Al-Nour, Al-Bawakib) i lavori di restauro sono già avviati, con risorse locali. Ma nonostante questi interventi, l’attività di restauro e ricostruzione della città storica è ancora all’inizio, vista la gravità dei danni, e richiederà ancora molti anni se non decenni di lavoro.
La città antica di Damasco ha subìto danni minori durante la guerra civile, e nel corso degli ultimi 10 anni ha avviato alcuni importanti programmi di restauro, con l’aiuto dell’Undp. Da segnalare in particolare il restauro del grande Khan di Sulayman Pasha, il caravanserraglio costruito in epoca ottomana (1732-36), che aveva subito vistosi crolli. Sempre con l’aiuto dell’Undp sono stati avviati anche progetti di riqualificazione urbana dei quartieri antichi.
Il grande sito archeologico di Palmira, gravemente danneggiato e in parte deliberatamente distrutto dall’Isis durante l’occupazione nel 2015, è stato in piccola parte restaurato grazie all’iniziativa del Museo dell’Ermitage e altri organismi russi. Gli interventi riguardano in particolare la facciata del Teatro romano, restaurata dalla Dgam e da un corpo di volontari russi, e l’Arco di trionfo, oggetto di uno studio approfondito da parte degli esperti dell’Ermitage in vista della sua ricostruzione. Tuttavia, il restauro e la ricostruzione dei principali monumenti distrutti dall’Isis, come il Tempio di Bel, il Tempio di Baal-Shamin e i grandi edifici tombali non sono ancora stati avviati, anche per la mancanza di un adeguato livello di sicurezza nell’area del sito.
Bosra, l’antica città nabatea e poi capitale della Provincia romana di Arabia aveva subito alcuni danni, ma non gravissime distruzioni durante la guerra civile. In particolare era stato colpito il celebre Teatro romano, conservatosi quasi intatto anche perché incorporato nella Cittadella ayyubide nel XIII secolo. Un intervento di restauro complessivo della struttura è in corso a cura della Dgam.
Il famoso Castello crociato a Crac dei Cavalieri, edificato dai cavalieri dell’Ordine di san Giovanni di Gerusalemme (oggi Ordine di Malta) nei secoli XII e XIII, una delle più grandi fortezze medievali del Levante (poteva ospitare non meno di 2mila soldati), aveva subito gravi danni durante la guerra civile, poiché era stato occupato dalle forze di opposizione al Governo siriano e bombardato dalle forze aeree del regime. I restauri della facciata nord e delle grandi scuderie, avviati con il sostegno del Patriarcato di Antiochia, sono attualmente in corso, così come anche la ricostruzione della volta della cisterna distrutta dalle bombe. Una missione tecnica ungherese da anni lavora al restauro degli affreschi della chiesa del castello. Purtroppo, il terremoto del 2023 ha danneggiato molte strutture e provocato fessurazioni in molte parti della cinta muraria, che ora necessitano di interventi urgenti di consolidamento.
Negli antichi villaggi della Siria del Nord, un complesso di otto siti del periodo tardoantico e bizantino, tra cui spicca per importanza il sito di Qal’at Sim’an, la chiesa del primo asceta cristiano san Simeone Stilita (390-459), è rimasto finora fuori dal controllo del Governo siriano, in quanto situato nella provincia di Idlib in mano ai ribelli dopo la fine della guerra civile. Era stato bombardato durante la guerra ed è stato ulteriormente danneggiato dal terremoto del 2023. Di questi siti non è per ora stato effettuato alcun esame diagnostico, ma è certo che richiederanno interventi conservativi e ricostruttivi.
Oltre a quelli iscritti nella lista del Patrimonio mondiale, la Siria vanta siti archeologici e architetture storiche di importanza universale, che hanno subito anch’essi le conseguenze della guerra e dell’assenza di verifiche e manutenzione negli ultimi dieci anni. I danni più gravi si sono verificati nei siti archeologici, non solo per azioni dirette, ma anche per i saccheggi e gli scavi clandestini che sono stati possibili per la totale assenza di controlli dovuta al conflitto. Nel sito di Apamea, la grande città ellenistica che fu uno dei centri politici e culturali più importanti dell’Oriente romano, sono stati registrati oltre 5mila scavi clandestini, che hanno letteralmente distrutto il paesaggio archeologico. Allo stesso modo, scavi clandestini hanno sfigurato i siti di due tra le principali formazioni urbane del III e II millennio a.C., le città rivali di Mari presso l’Eufrate e di Ebla a sud-ovest di Aleppo, il sito scoperto e scavato da Paolo Matthiae dell’Università di Roma a partire dagli anni Sessanta. Ha subito saccheggi e scavi anche Dura Europos, la grande città carovaniera fondata dai Seleucidi nel 303 a.C. sull’Eufrate. Durante l’occupazione da parte dello Stato Islamico tra il 2014 e il 2017 della città di Raqqa, che fu la capitale della Califfato abbaside sotto il regno del califfo Harun al-Rashid (766-809), vennero distrutti molti monumenti religiosi sciiti e cristiani. La città subì inoltre gravissimi bombardamenti durante l’offensiva guidata delle Forze democratiche siriane (Sdf) sostenute nel 2017 dall’esercito americano.
Questa breve rassegna indica chiaramente che la situazione del patrimonio siriano è in uno stato di grave pericolo, esposta ancora a saccheggi e distruzioni e priva di un efficace sistema di controllo e intervento. E oggi non ci è dato sapere come la situazione evolverà e se con il nuovo Governo si creeranno le minime condizioni di sicurezza e di pacificazione per un ritorno delle missioni archeologiche e l’avvio di programmi di cooperazione tra istituzioni internazionali e la Direzione Generale per le Antichità e i Musei, né se si potrà disporre delle risorse necessarie per la salvaguardia, il restauro e la ricostruzione di un patrimonio dal valore incalcolabile.
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