Si intitola «Electric Dreams. Arte e tecnologia prima di internet» la mostra che la Tate Modern dedica, a cura di Val Ravaglia e Odessa Warren coadiuvate da Kira Wainstein, ai pionieri dell’uso artistico di quei mezzi tecnologici un tempo d’avanguardia e oggi irresistibilmente vintage. Dal 28 novembre al primo giugno 2025 la rassegna propone un percorso che dall’Op art giunge a internet, dalle ambientazioni psichedeliche degli anni Cinquanta e Sessanta basate su principi matematici alle tecnologie digitali degli anni Settanta e Ottanta, senza dimenticare le sperimentazioni sulla luce all’origine delle spettacolari installazioni immersive di oggi.
Tra i primi sperimentatori spiccano l’artista giapponese Atsuko Tanaka del gruppo Gutai, autore nel 1957 di un iconico abito elettrico, il tedesco Otto Piene di Gruppo Zero, che con la sua «Lichtraum (Jena)» immerge il visitatore in un «balletto» di luce, e l’anglocanadese Brion Gysin, il cui straordinario dispositivo meccanico autoprodotto «Dreamachine n. 9» (1960-76) crea motivi caleidoscopici tali da indurre stati onirici nei visitatori. Si tratta di opere in cui l’esaltazione dei mutamenti percettivi mette inevitabilmente al centro il visitatore, che da spettatore passivo-contemplativo diventa sempre più protagonista grazie a una diretta interazione essenziale per l’esistenza stessa dell’opera.
Alcune sale «di gruppo» presentano poi artisti che hanno esposto nelle principali mostre storiche, evidenziandone gli interessi condivisi in materia di astrazione, cinetismo, percezione, teoria dell’informazione e cibernetica. Appare in questo senso di particolare interesse il ruolo svolto negli anni Sessanta da Zagabria come centro nevralgico delle mostre sulle «nuove tendenze», tanto da diventare epicentro internazionale delle ricerche d’avanguardia in campo cinetico e digitale. Grande rilievo viene poi conferito a indiscussi maestri dell’Arte ottica come Aleksandar Srnec e Julio Le Parc, il cui lavoro viene accostato alle sperimentazioni di Arte programmata realizzate in Italia da Marina Apollonio e Grazia Varisco. Un doveroso focus viene infine dedicato alla fondamentale mostra «Cybernetic Serendipity», curata all’Ica di Londra nel 1968 da Jasia Reichardt.
«Molti degli artisti di “Electric Dreams” sono stati tra i primi ad adottare nuove tecnologie digitali nei loro radicali esperimenti, precisano le curatrici. L’artista statunitense Rebecca Allen ha per esempio sviluppato negli anni Ottanta tecniche di motion-capture e modellazione 3D di assoluta avanguardia, usate nel pluripremiato video musicale per la band Kraftwerk, che presentiamo insieme alle colorate poesie del brasiliano Eduardo Kac prodotte con macchine minitel, una forma di calcolo in rete che ha anticipato l’adozione diffusa di internet». L’arte realizzata con i primi computer domestici include invece i dipinti cinetici dell’artista palestinese Samia Halaby, realizzati con un Commodore Amiga 1000, e la serie di profetici «Fictional Videogame Stills» dei primi anni Novanta della britannica Suzanne Treister.