«Fiori di cactus» (1964) di Gianni Dova

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«Fiori di cactus» (1964) di Gianni Dova

Torna l’intensità magica di Dova

Tornabuoni Arte dedica un tribuito all’artista romano, a suo tempo molto amato dalla critica, oggi un po’ trascurato

Gianni Dova (1925-91) è stato uno dei protagonisti della grande stagione milanese dell’arte, quella che divampò nel quartiere di Brera (e nel Bar Jamaica più che mai) tra l’immediato dopoguerra e gli ultimi anni ’70. Partecipò infatti a tutti i movimenti artistici più aggiornati, firmando il «Manifesto del realismo (Oltre Guernica)» (1946) che propugnava un’arte di segno neocubista, e aderendo poi al «Movimento spaziale» di Lucio Fontana, di cui nel 1948 firmò il secondo Manifesto.

Fece parte anche del Mac-Movimento Arte Concreta, fondato nello stesso anno da Atanasio Soldati, Gillo Dorfles, Bruno Munari, Gianni Monnet e altri, questo posto sotto il segno di un’astrazione radicale, fino a riavvicinarsi al Surrealismo, negli anni di Parigi e di Anversa (1954-58), quando poté frequentare Max Ernst e Wifredo Lam, Roberto Matta e Victor Brauner. Tutti stimoli, questi, poi distillati in un linguaggio personale che nel 1958, una volta rientrato a Milano (dove si era trasferito giovanissimo con la famiglia, da Roma dov’era nato, e dove frequentò l’Accademia di Brera, allievo di Carrà e di Funi), subito lo condusse alla Quadriennale di Roma e a documenta di Kassel, poi alla personale della Biennale di Venezia del 1962, presentato da Guido Ballo.

Il suo lavoro era infatti apprezzato da figure di primo piano della critica d’arte, da Crispolti a Sanesi, a Tadini, da Russoli ad Alfonso Gatto, da Passoni a Spadoni, e i suoi galleristi sono stati nomi centrali del sistema dell’arte del tempo, come Carlo Cardazzo patron delle gallerie del Cavallino a Venezia e del Naviglio a Milano e Peppino Palazzoli, fondatore a Milano della Galleria Blu. Eppure, in tempi recenti la sua opera, che pure è dotata, come scriveva Crispolti, «di un’intensità magica», non è stata considerata come dovrebbe. Meritoria quindi, e sicuramente apprezzata dai cultori più attenti dell’arte del dopoguerra, la mostra «Gianni Dova. Vita reale e magia cromatica», presentata dal 3 ottobre al 16 novembre a Milano da Tornabuoni Arte, con l’Archivio Dova.

Oltre venti le opere esposte, scelte fra le sue più significative, che ne rileggono il percorso dagli anni ’50 (come «Anabasi 2») quando aderì al Movimento Nucleare, agli anni ’80, quando si volse verso il Naturalismo fantastico. Grande attenzione, ovviamente, è riservata alla stagione del Neosurrealismo metamorfico, tra gli estremi anni ’50 e i ’70: anni rappresentati qui, tra le altre, da opere come «Scultura all’aria aperta» e «In mezzo a un ramo», 1965 entrambe, e «Riposo su un ramo di melo» (1973), fino a giungere al grande «Fuoco di stoppie autunnali» (1987). Nel catalogo della mostra, un saggio inedito di Luigi Cavadini e uno di Enrico Crispolti tratto dal «Catalogo ragionato» dell’artista da lui curato e pubblicato nel 2021 da Allemandi.

«Fuoco di stoppie autunnali» (1987) di Gianni Dova

Ada Masoero, 01 ottobre 2024 | © Riproduzione riservata

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