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Elena Franzoia
Leggi i suoi articoliCurata da Romy Cockx e allestita da Francesca Bonne e Veerle Van de Walle del locale studio di architettura Altu, la mostra «Moda e interni. Una questione di genere» (fino al 3 agosto) riflette la missione del MoMu-Museo della Moda di Anversa, cioè porsi, secondo le parole della direttrice Kaat Debo, come «lente attraverso cui osservare il mondo da angolazioni diverse, esplorando i confini di ciò che la moda può significare e guardando oltre le narrazioni canoniche. In mostra e nel catalogo diamo vita alla complessa interconnessione storica e attuale tra moda e interior design, con un’attenzione particolare ai meccanismi di genere. Un posto speciale è riservato a tre stilisti belgi, Ann Demeulemeester, Martin Margiela e Raf Simons, i cui linguaggi visivi e metodologie di lavoro appaiono sorprendenti echi e riflessi di questa storica relazione tra moda, architettura e interni».

Amber Valletta fotografata da Craig McDean per «Interview Magazine», luglio 2014. Foto: Craig McDean/Art+Commerce
La nostra indagine inizia nella seconda metà dell’Ottocento, quando, precisa la curatrice Romy Cockx, «moda e design vengono messi in gioco nell’ottica di consolidare potere e posizione sociale della nuova élite borghese occidentale. La padrona di casa assume allora un ruolo importante: tocca a lei evidenziare lo status appena acquisito attraverso gli abiti e il gusto negli arredi. Fu infatti l’ideale domestico borghese a dividere i sessi in due sfere separate: l’uomo al lavoro, la donna in casa. Alla fine dell’Ottocento però, continua Cockx, progettisti maschi come Henry van de Velde e Josef Hoffmann dichiararono guerra all’eccesso decorativo e in particolare alla moda femminile. Va a loro il merito di due capolavori belgi di fama internazionale, Villa Bloemenwerf e Palazzo Stoclet, in cui all’insegna dell’“opera d’arte totale” abbinarono interni e abiti della padrona di casa, enfatizzandone comunque il ruolo. Sia la residenza di Van de Velde sia l’approccio di Hoffmann alla Wiener Werkstätte dimostrano però che anche le donne diedero un contributo attivo alla creazione della Gesamtkunstwerk, nonostante le limitazioni imposte dalle norme di genere».
Coordinato da Cockx ed edito da Hannibal Books, il catalogo offre un interessante spaccato dei principali temi indagati in mostra. Ne risulta un percorso estetico e culturale che dall’abito ottocentesco come feticcio e status symbol giunge all’inscindibile relazione moda-design tipica dell’universo contemporaneo, in cui all’insegna della fluidità vengono rimescolate le categorie creative così come i ruoli di genere. «Per presentare la moda estrema che avevo in mente ho pensato che fosse essenziale mostrarla in una sorta di universo. Doveva essere costruita intorno a un colore», ha per esempio affermato Martin Margiela. Interessanti approfondimenti sono poi dedicati non solo a maestri del Modernismo come Mies van der Rohe e Le Corbusier (protagonista di un accattivante excursus sull’invenzione del look dell’architetto contemporaneo), ma anche a figure femminili come Denise Boulet, moglie del celebre designer Paul Poiret, Jeanne Lanvin, prima stilista donna a rafforzare l’identità del suo marchio attraverso l’interior design, o Lilly Reich, stretta collaboratrice di Mies dalla cui fama fu sempre soverchiata. Della contemporaneità la mostra propone anche miti della moda come Yves Saint Laurent o Karl Lagerfeld, che amavano farsi fotografare in case pensate come estensione ed espressione del loro gusto e stile.

Calvin Klein, autunno-inverno 2018-19. Foto: Catwalkpictures

Chalayan, autunno-inverno 2000-01. Foto: Catwalkpictures