Image

Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine

Johnny Miller, «Unequal Scenes» (particolare)

© Johnny Miller/Unequal Scenes

Image

Johnny Miller, «Unequal Scenes» (particolare)

© Johnny Miller/Unequal Scenes

Triennale • Boeri: «Le disuguaglianze non devono essere condanne»

Attraverso mostre, installazioni e progetti speciali, la 24ma Esposizione Internazionale trasforma l’istituzione milanese in un laboratorio di riflessioni e proposte di 43 Paesi sulle disparità economiche, etniche, geografiche e di genere

Dopo la questione sempre più urgente della sostenibilità, tema dell’Esposizione Internazionale di Triennale Milano 2019 (intitolata «Broken Nature»), e i misteri dell’universo dal macrocosmo dello spazio stellare al microcosmo dei virus, dell’edizione 2022 («Unknown Unknowns»), quando si era ancora nell’età del Covid-19, la 24ma Esposizione Internazionale di Triennale Milano (main partner Lavazza Group; identità visiva Pentagram, cataloghi Electa e, dall’autunno, Lotus) affronta ora, dal 13 maggio al 9 novembre, un’altra delle sfide più brucianti del nostro tempo, quella delle diseguaglianze. «Inequalities» è il titolo dell’esposizione 2025, progetto collettivo cui Triennale Milano ha invitato realtà di 43 Paesi del mondo e, in veste di curatori, figure come l’artista e attivista Theaster Gates e protagonisti del mondo dell’architettura come Norman Foster (Pritzker Architecture Prize), Beatriz Colomina (Princeton University), Mark Wigley (Columbia University NY) e Hans Ulrich Obrist (curatore e direttore Serpentine Galleries di Londra), che hanno selezionato i progetti di architetti come Kazuyo Sejima e Alejandro Aravena (entrambi Pritzker Prize), Elizabeth Diller (Diller Scofidio+Renfro, NY); Boonserm Premthada, architetto e artista fondatore del Bangkok Project Studio, cui si aggiungono i contributi dell’artista e regista Amos Gitai e, nella cerimonia inaugurale, la lecture del Nobel per l’Economia Michael Spence. Ricchi anche il public program, con Fondazione Eni Enrico Mattei, a cura di Damiano Gullì, e la programmazione performativa curata da Umberto Angelini. Per sei mesi, attraverso mostre, installazioni, progetti speciali ed eventi del public program, Triennale Milano (unica manifestazione culturale riconosciuta in via permanente dal Bie-Bureau International des Expositions), grazie anche alla collaborazione con cinque atenei milanesi (Milano-Bicocca, Bocconi, Cattolica, Politecnico e Università degli Studi) e con venti istituzioni internazionali, diventa un laboratorio di riflessioni (e di proposte) intorno alle diseguaglianze di ogni natura: economica, etnica, geografica, di genere. Ne parliamo con il presidente di Triennale Milano e commissario generale della 24ma Esposizione Internazionale, Stefano Boeri

Presidente, si può dire che questa 24ma Esposizione Internazionale di Triennale Milano chiuda idealmente una trilogia? 
Sì. Ho iniziato il mio mandato nel 2018, quando Paola Antonelli, in quella che fu la mia prima Esposizione Internazionale da presidente, aveva già anticipato il progetto di usare la Triennale per capire come fosse possibile riparare i danni perpetrati dall’uomo sull’ambiente. Nel 2022 ci siamo avventurati nell’ignoto. Questo terzo passaggio è molto importante perché ci è apparso evidente che se nella grande sfida della transizione ecologica non si affrontano le tremende diseguaglianze che esistono nel mondo, si rischia di far danno a chi già è svantaggiato e di avvantaggiare invece chi già gode di immensi privilegi. Le diseguaglianze con cui nasciamo o che incontriamo nel tempo agiscono anche sulle aspettative di vita e di salute di ciascuno di noi. Lo statement dietro a questa mostra è che le diseguaglianze possono essere fertili solo nel caso in cui siano differenze modificabili, altrimenti sono condanne.

Una veduta dell’allestimento della 24ma Esposizione Internazionale «Inequalities». Foto: Alessandro Saletta e Agnese Bedini-Dsl Studio. © Triennale Milano

Una veduta dell’allestimento della 24ma Esposizione Internazionale «Inequalities». Foto: Alessandro Saletta e Agnese Bedini-Dsl Studio. © Triennale Milano

L’indagine è articolata in due grandi categorie: la geopolitica delle diseguaglianze al piano terreno e la biopolitica delle diseguaglianze al primo piano. Come vengono tradotte queste ricerche in forme espositive?
Per ciò che riguarda la geopolitica, ci siamo concentrati soprattutto sulle città, perché sono luoghi in cui la varietà del reddito, delle culture, delle fedi, rende più difficile alzare muri. Sebbene siano anche il luogo di paradossi: pensiamo a una città come Milano, così attrattiva ma, di fatto, non abbastanza inclusiva: un tema, questo, trattato dalla Bocconi con un gruppo di giovani artisti neri. «Cities» è, poi, il titolo della mostra curata da Nina Bassoli, che si apre con uno dei casi più emblematici di disuguaglianza, l’incendio della Grenfell Tower a Londra nel 2017, per raccontare il quale sono stati coinvolti i parenti delle vittime, mentre Norman Foster riflette su come intervenire negli slum indiani e negli insediamenti temporanei per gli sfollati. E anche le partecipazioni internazionali (alle tre più propositive, il 12 maggio saranno assegnati i Bee Awards, Ndr) si concentrano ognuna su una città. A introdurre questa sezione è Amos Gitai, che in un piano sequenza ricostruisce un testo biblico portandolo nella contemporaneità della tragedia di Gaza. La stessa realtà, con la sua inaccettabile densità di morti, torna (ma qui attraverso dati statistici) nell’installazione di Filippo Teoldi sullo Scalone d’Onore. Naturalmente, però, come sempre accade in Triennale, oltre alla descrizione c’è anche un aspetto propositivo, nei progetti per città e luoghi che cercano di offrire soluzioni a queste disparità. 

Oltre a Milano, avete preso in esame altre città italiane? 
Sì, c’è Roma, con uno studio su come l’archeologia sia un patrimonio tanto diffuso quanto sconosciuto, che potrebbe dare valore anche a quartieri lontani dal centro, e c’è Napoli, con il tema della ricollocazione degli abitanti delle Vele di Scampia abbattute. 

La biopolitica delle diseguaglianze tocca nervi scoperti della società contemporanea, come l’accesso alle cure, il cibo spazzatura, la longevità. Beatriz Colomina e Mark Wigley propongono modelli politici, architettonici e urbani alternativi, ispirati alle comunità batteriche e invocano «un’architettura probiotica». Qual è la sua opinione?
Questo è un ambito di ricerca che mi sta a cuore, avendo io portato la natura vegetale «dentro» l’architettura (nelle torri del «Bosco verticale» a Milano e in altri progetti, Ndr), il che moltiplica evidentemente la presenza batterica. Sarebbe però sbagliato pensare che questo moltiplichi anche i rischi. Anzi, uno studio recente ha messo a confronto bambini che frequentano asili con gli spazi esterni di cemento e altri in cui c’è invece la terra e ha evidenziato come questi ultimi siano molto meno esposti dei primi alle malattie, avendo difese immunitarie più elevate. Per molto tempo si è cercato di igienizzare al massimo gli spazi abitativi, ma i batteri non sono sempre degli intrusi dannosi. Il tema è affrontato però anche da altri punti di vista: Telmo Pievani ha studiato le comunità organizzate di alcune specie animali analizzando le disuguaglianze da una prospettiva biologica, e Nic Palmarini, con Marco Sammicheli, ha esplorato i temi della longevità e delle diseguaglianze legate alle aspettative di vita in buona salute. 

Due progetti speciali sono stati affidati all’artista Theaster Gates e agli storici dell’arte Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa. Come hanno affrontato questo tema? 
Theaster Gates ha riflettuto su come l’artigianato possa ridare dignità anche ai mestieri più poveri, portando ad esempio le ceramiche giapponesi di Tokoname, qui messe a confronto con le ceramiche di Ettore Sottsass nello spazio di «Casa Lana»; Agosti e Stoppa, in collaborazione con Fondazione Irccs Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, hanno scelto nella quadreria dell’antica Ca’ Granda i ritratti di ricchi benefattori mettendoli a confronto con un quadro che racconta la miseria della popolazione. E raccontando così come le diseguaglianze ci attraversino nei corpi.

Una veduta dell’allestimento della 24ma Esposizione Internazionale «Inequalities». Foto: Alessandro Saletta e Agnese Bedini-Dsl Studio. © Triennale Milano

Una veduta dell’allestimento della 24ma Esposizione Internazionale «Inequalities». Foto: Alessandro Saletta e Piercarlo Quecchia-Dsl Studio. © Triennale Milano

Ada Masoero, 13 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

Triennale • Boeri: «Le disuguaglianze non devono essere condanne» | Ada Masoero

Triennale • Boeri: «Le disuguaglianze non devono essere condanne» | Ada Masoero