Michele Trimarchi
Leggi i suoi articoliNegli ultimi due anni i flussi turistici si sono del tutto riassestati, registrando anzi delle significative impennate. Record assoluto il 2023, con i suoi 451 milioni di presenze. Tutti assicurano che quest’anno andrà meglio.
La questione risiede proprio nel concetto di «meglio». Nonostante i richiami al turismo lento, alle aree interne e a tutte le ancore possibili di un viaggiare meno frettoloso, i dati risultano impietosi, e attestano l’addensarsi ulteriore della congestione. Il che aggrava problemi cronici: costi crescenti per le comunità territoriali, ricavi distribuiti in modo diseguale, fuga dai luoghi più battuti, perdita d’identità, chiusura di esercizi locali e ingresso di franchising a buon mercato.
L’estate che ci attende
L’estate appena cominciata promette una combinazione di domanda in crescita e condizioni scoraggianti. Per i viaggiatori americani, il dollaro è debole contro l’euro e altre 11 valute europee (va benino con la lira turca, se si vuole), i prezzi degli alberghi salgono, così come quelli dei luoghi della cultura (Uffizi, Tour Eiffel, Hagia Sophia, Pantheon...). Da questa prospettiva, l’adozione della logica dei manuali di economia potrebbe non aiutare: se un albergo è completo oltre l’80%, le camere rimaste costeranno di più; se una città non ha più spazi per respirare, introdurre un biglietto d’ingresso sembra una mossa disincentivante, ma di fatto potrebbe non scoraggiare nessuno.
Controllo dei flussi
Alcune località cominciano a ribellarsi. A Portonovo nelle Marche è stata creata la «zac» (zona ad accesso limitato, forte dell’eloquenza icastica degli acronimi) che tiene sotto controllo i flussi in ingresso; Venezia ha introdotto il biglietto (come si diceva appena sopra, non se ne vedono risultati tangibili); Bolzano ha posto un limite ai pernottamenti; Cala Coticcio, Stintino e Cala Brandinchi in Sardegna hanno eretto il muro digitale di una app che blocca i visitatori in eccesso. Così Procida, le Cinque Terre e Portofino cercano di porre un argine sistematico alla congestione. La stessa Bergamo, anche per effetto del traffico aeroportuale di Orio al Serio, si interroga da 10 anni su come reagire alla ricerca di dimensione urbana e sociale che affascina italiani e stranieri (i quali della domanda turistica bergamasca costituiscono il 70%).
Non manca, comunque, chi preferisce evitare luoghi congestionati, e chiede espressamente di essere indirizzato altrove. Così il «destination management» sta diventando un’attività quasi acrobatica che prova a far dormire i propri clienti appena fuori dalle «zone rosse»: Praiano e Ravello invece di Amalfi e Positano. Così si sta creando un mercato di destinazioni per così dire «succedanee» (absit iniuria verbis): vigne e colline slovene anziché italiane; baie e isole croate anziché greche. Irlanda e Portogallo, in ogni caso. In Italia, alcune località polari si «espandono» in un bacino più esteso e meno congestionato (San Michele al Tagliamento, Jesolo, Caorle, Lignano intorno a Venezia; Riva del Garda, Bardolino, Lazise sul Lago di Garda). In Francia, ci pensano le Olimpiadi a incoraggiare il turismo non parigino. La spinta a un certo grado di decongestione si manifesta anche nell’estensione del periodo delle vacanze, che parte a maggio e finisce a ottobre, con un tempo medio di permanenza passato dai 2,9 giorni del 2020 ai 5,4 già nel marzo 2024. Sul versante opposto, cresce notevolmente il turismo d’élite, con il fiorire delle vacanze in villa, che comportano una spesa settimanale da 3 a 8mila euro. Anche nel viaggiare, la classe media subisce un lento processo di rarefazione.
La comodità degli algoritmi
Tuttavia, a fronte dei turisti «virtuosi» che peraltro non sono mancati mai, la maggioranza dei flussi sembra aver ripristinato approcci e riti del turismo di massa. L’ansia di certificazione, l’effetto trascinamento, la prevalenza delle prove sull’esserci stati, tutto sembra replicare un modello fin troppo visto. Fanno parte delle memorie vintage gli adesivi che un tempo si appiccicavano sulle valigie, i cassetti pieni di cartoline illustrate portate a casa, le diapositive inflitte ai parenti e agli amici durante le sere invernali. Non è cambiato niente, in fondo. L’ampiezza dell’informazione, resa ecumenica e versatile dai percorsi ad accesso causale e dalla logica ipertestuale, è stata divorata dalla comodità degli algoritmi e soprattutto dall’ansia di essere riconosciuti come membri di un club che diventa sempre più affollato. Così, invece di guardare altrove con curiosità, si fa quello che gli altri fanno e soprattutto consigliano. Prima si chiamava agenzia di viaggi, adesso è influencer. La coda degli adepti mostra le stesse derive: pigrizia, paura di sbagliare, voglia di essere condivisi, urgenza di poter dire «c’ero anch’io». Su questo possono incidere anche serie televisive come «White Lotus», o «Montalbano», che hanno portato in Sicilia molti più turisti di quanto viaggiatori possa aver attratto Il Gattopardo. In questo modo prosciughiamo frettolosamente la carica emotiva e cognitiva dell’esperienza turistica, e rendiamo tutto una specie di lista della spesa sulla quale mettere i nostri trionfali segni di spunta. Eravamo superficiali analogici, siamo diventati scemi digitali.
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La nostra giaculatoria autocelebrativa è una mistura ruffiana di arte, spiagge, cibo e simpatia
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