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Roberta Bosco
Leggi i suoi articoliAvvicinandosi al Musac, il Museo de Arte Contemporáneo de Castilla y León, il visitatore incrocia una serie di cartelloni con le parole «Fly», «Imagine», «Peace», «Yes», «Breathe» e «Remember». I termini, che condensano la poetica e il messaggio di Yoko Ono (Tokyo, 1933), fanno parte della grande mostra che le dedica il museo di León, così come i «Toilet thoughts» (Pensieri da bagno, 1968), che possono essere visti nei bagni di diversi bar della città di León.
Le opere «Dream», sull’iconica e coloratissima facciata del Musac, e, nell’atrio del museo, «Invisible Flags» (2015) che ribadisce il pacifismo come una delle preoccupazioni vitali dell’artista, accolgono il visitatore e lo introducono a «Yoko Ono. Insound and Instructure» (fino al 17 maggio 2026) che su 1.700 metri quadrati presenta più di 80 opere, dalla performance al cinema, dalla musica all’installazione, dalla pittura alla fotografia, realizzate dal 1953 ad oggi.
Pioniera dell’arte partecipativa e interattiva, decenni prima che queste pratiche diventassero dei must, Yoko Ono coinvolge il pubblico in un gioco che, al di là dell’aspetto ludico, contiene uno spessore concettuale che invita a molteplici riflessioni. L’atto stesso di entrare nella mostra comporta la prima decisione: attraverso una tenda blu, lanciandosi da uno scivolo, percorrendo un corridoio stretto dove si vede il proprio riflesso su entrambi i lati o usando una semplice porta che cela una sorpresa. Molte opere si basano sulle sue «Istruzioni», brevi indicazioni che invitano il lettore a immaginare, sperimentare, creare o completare l’opera.
Al Musac si espone la prima edizione di «Grapefruit» (Pompelmo, 1964), la rivoluzionaria raccolta autopubblicata di oltre 200 istruzioni, create tra il 1953 e il 1964 e ancora oggi attuali, che si possono considerare sia opere poetiche autonome, sia indicazioni per la produzione di opere d’arte. Yoko Ono invita il pubblico a creare dipinti utilizzando chiodi, vento, sangue o fumo e inediti paesaggi sonori con un colpo di tosse, una risata, il battito del cuore, il suono di una pietra, il respiro di una stanza, la neve che cade, il movimento delle stelle o la rotazione della Terra.
Una veduta della mostra «Yoko Ono. Insound and Instructure» al Musac di Leon
Il pubblico può stampare le parole «Imagine Peace» su un’enorme carta geografica, urlare in un microfono, riparare piatti rotti, ma anche condividere esperienze più dure e traumatiche. È il caso di «Arising» (Ascesa, 2013), in cui le donne che hanno subito violenza sono invitate a partecipare con la loro testimonianza inviando una fotografia dei loro occhi all’e-mail arising@musac.es, affinché siano inserite in un’installazione nella sala 6 del museo.
Due anni dopo il successo di «Grapefruit», nel 1966 Yoko Ono conobbe John Lennon e, da stimata artista concettuale, si trasformò nella strega cattiva. Nonostante il suo dichiarato pacifismo fu accusata di seminare la discordia tra i Beatles e sebbene Lennon la definisse «l’artista sconosciuta più famosa del mondo», fu accusata di essere un’opportunista senza talento e per anni fu vittima di inconcepibili attacchi razzisti e misogini.
«È importante svincolare Yoko Ono dalla retorica e riconoscerla come una delle più importanti artiste d’avanguardia. Le sfaccettature di questa creatrice, compositrice e attivista convergono e si intrecciano in opere, che si plasmano in forme e media eterogenei per presentare una visione radicale del linguaggio, dell’arte e della partecipazione pubblica», ha spiegato Alvaro Rodríguez Fominaya, direttore del Musac e curatore della mostra insieme a Jon Hendricks, braccio destro dell’artista fin dai primi anni Settanta, e Connor Monahan, direttore del suo studio, che hanno sottolineato la sua fede nel potere dell’immaginazione, l’attivismo per la pace, il sottile senso dell’umorismo e dell’assurdo, l’impegno per il ruolo delle donne nella società o la presenza della natura nelle sue opere. «Yoko Ono concepisce il museo come una chiesa il cui tetto è il cielo e dove il visitatore deve accettare di essere parte attiva dell’opera, mettersi in gioco e usare l’immaginazione», ha puntualizzato Hendricks visibilmente emozionato.
«Yoko Ono gettò le fondamenta di quella che, dagli anni Novanta in poi, sarebbe stata definita arte relazionale e consiste da un lato nell’interazione fisica con un oggetto e dall’altro nell’azione del visitatore che completa o realizza l’opera stessa, tanto che senza il pubblico questa rimarrebbe incompleta», ha continuato Fominaya, che con questa mostra rende evidente come diverse azioni e opere contemporanee sono ben più che ispirate alle opere dell’artista giapponese. «L’impatto di Yoko Ono sulla storia dell’arte contemporanea cresce man mano che l’influenza che ha esercitato sulle generazioni successive viene compresa», ha concluso Fominaya, che è stato appena riconfermato per altri quattro anni come direttore del Musac. Dopo la sua presentazione in Spagna, la rassegna sarà presentata al Sabancı Museum di Istanbul nel giugno 2026.
Una veduta della mostra «Yoko Ono. Insound and Instructure» al Musac di Leon