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Micaela Zucconi
Leggi i suoi articoliDal 2001 il Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’Università di Bologna è impegnato nello studio della regione di Samarcanda, in Uzbekistan che, già repubblica sovietica, indipendente dal 1991, si è progressivamente aperta all’Occidente e ora è una ricercata meta turistica con un ricchissimo patrimonio archeologico e culturale. «Stiamo studiando l’evoluzione diacronica del territorio di Samarcanda e del suo paesaggio culturale, da circa il III millennio a.C. fino ai nostri giorni, con una mappatura sistematica del patrimonio della regione. Abbiamo al momento circa 3mila evidenze», spiega Simone Mantellini, docente di Archeologia e Storia dell’arte dell’Asia Centrale e dell’India, direttore della missione archeologica italiana e codirettore del Progetto Archeologico Italo-Uzbeko (Paiu) con Samaretdin Suyunov, dell’Istituto di Archeologia di Samarcanda, e con l’Agenzia per il Patrimonio Culturale dell’Uzbekistan. «Siamo partiti da materiali di archivi e da carte topografiche degli anni Quaranta e immagini satellitari, per poi eseguire indagini sul terreno, anche con drone. Purtroppo il 40 per cento dei siti è stato distrutto a favore delle coltivazioni estensive, soprattutto di cotone. Stiamo per pubblicare il primo volume della Carta Archeologica. Ce ne sarà uno per ogni distretto amministrativo, in tutto sei», racconta Mantellini, attivo nell’area da 25 anni, quando, ancora studente, lavorava qui con il professor Maurizio Tosi.
La Carta ha permesso di mettere in evidenza anche un esteso e complesso sistema di irrigazione. Sebbene infatti Samarcanda, la Macaranda di Alessandro Magno, capitale dell’antica Sogdiana, attuale sito di Afrasyab, susciti suggestioni che riportano alla Via della Seta di cui era uno snodo importante, oltre ai commerci la vera ricchezza della regione erano le coltivazioni e la pastorizia transumante. È in questo contesto che si inseriscono gli scavi di Kafir Kala, a circa mezz’ora dalla città. Un sito di 25 ettari (il più grande dopo Afrasyab) relativo a un centro amministrativo fortificato lungo la via principale che portava a Sud, verso la Bactriana, difeso da più vie d’acqua. «Ci siamo imbattuti in qualcosa di davvero eccezionale: un archivio con oltre 700 cretule, usate quasi di certo per sigillare documenti o giare con derrate alimentari. La missione uzbeko-giapponese, che collabora alle ricerche, ha invece trovato un pannello ligneo carbonizzato che, dopo il restauro, ha rivelato scene di tipo cerimoniale e celebrativo di Nana, principale divinità del pantheon preislamico centrosiatico».
Gli scavi hanno permesso di delineare una cittadella e una città bassa con quartieri abitativi, con una cronologia dal IV-V secolo d.C. fino all’epoca timuride (fine XIV e XV secolo d.C.). Dopo la conquista islamica del 712 d.C. il centro perde la funzione difensiva. «C’è ancora molto da scoprire. Oltre Kafir Kala il progetto sta studiando altri siti nella regione. Abbiamo anche una piccola missione in Tagikistan in zone complementari, con caratteristiche comuni a Samarcanda per la presenza dello stesso fiume Zarafshan. Durante le campagne di scavo, di solito sei settimane tra maggio e giugno, le nostre giornate sono scandite da orari precisi. Siamo circa 25, tra colleghi di varie discipline (due antropologhe, delle quali una fisica, un’archeozoologa, un archeobotanico, una specialista in ceramica e un geografo), studenti e dottorandi, collaboratori, più una ventina di operai locali. Scaviamo dalle 6 alle 14. Nel pomeriggio si lavora sui materiali e la documentazione all’Istituto di Archeologia di Samarcanda». Ci sono poi i momenti di confronto, condivisione e scambio con le missioni russe, francesi, americane, tedesche e giapponesi presenti sul campo. «Il nostro prossimo passo, al quale lavoriamo da diversi anni, è l’apertura a breve di un Parco archeologico per rendere visitabili gli scavi ai turisti, ma anche per coinvolgere le comunità locali dei vicini villaggi di Nayman e Naizatepa, con zone dedicate e perché abbiano un ruolo attivo nella gestione del parco».
Un lavoro particolarmente lungo che proprio il prestigioso inserimento nella lista dei siti Patrimonio mondiale Unesco nel 2023 ha reso più difficile per la necessità di aderire a precisi standard (non impattare sul paesaggio o alterare la natura del sito). Il percorso sarà di almeno dieci tappe, con pannelli illustrativi su vari temi, dalla storia degli studi alle spiegazioni sulle varie aree di scavo, protette da tettoie, o sul sistema di irrigazione (un canale di 2.500 anni fa, Dargom, porta ancora oggi acqua a Samarcanda). Una rampa di scale permetterà di raggiungere la sommità della cittadella. «Tutto questo non sarebbe possibile senza il supporto di UniBo Alma Scavi, del Ministero degli Affari Esteri, della Cooperazione Internazionale e dell’Associazione Ismeo Roma. Più una serie di collaborazioni con istituti scientifici locali e con il National Center of Archaeology a Tashkent. Un finanziamento straordinario della Volkswagen Stiftung sostiene inoltre il progetto Kalam, coordinato dal collega Nicolò Marchetti, focalizzato sulla protezione, conservazione, sviluppo e gestione dei paesaggi archeologici in Uzbekistan e Iraq con metodi innovativi e l’interazione con le comunità che li abitano, cercando di sensibilizzare i visitatori. Un sito web dedicato al turismo, conterrà informazioni su mete al di fuori degli itinerari più scontati». Non a caso «kalam» significa «paese» in lingua sumerica e «parlare» in arabo moderno.
Vista aerea del complesso archeologico di Kafir Kala, a sinistra il canale Dargom, 2024. © Iicas, Paiu
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