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Monica Trigona
Leggi i suoi articoliFederico Barocci (Urbino, 1526–1612) fu uno dei protagonisti più raffinati e innovativi della pittura tardocinquecentesca e della Controriforma. La sua carriera romana fu rapida e luminosa, incoraggiata dall’ammirazione di Michelangelo e consigliata da Taddeo Zuccari. Influenzato da Raffaello, Barocci seppe fondere grazia rinascimentale e intensità spirituale, catturando le esigenze della Controriforma e la visione empatica di San Filippo Neri, come dimostra la celebre «Visitazione» per la Chiesa Nuova. La fragile salute lo costrinse a ritirarsi a Urbino, dove, sotto la protezione del duca Francesco Maria II della Rovere, sviluppò un metodo creativo rigoroso: centinaia di studi preparatori, schizzi a olio e pastelli, sperimentazioni luminose e prospettiche, fino al prodotto finale delle sue pale d’altare. La sua pittura è caratterizzata da una luminosità tremolante, pennellate libere e appassionate, composizioni avvolgenti e una straordinaria sensibilità per l’espressione emotiva e spirituale.
Un'occasione unica per ammirare la sua indiscussa maestria è data dalla mostra «Barocci. La Madonna delle ciliegie», visitabile dal 10 dicembre e per tutto il periodo natalizio, fino all’11 gennaio 2026, alle Gallerie d’Italia – Torino. Per l'occasione «Riposo durante la fuga in Egitto», opera pittorica nota anche come «La Madonna delle ciliegie» (1573) è esposta nella Sala Turinetti con un allestimento che ne valorizza la straordinaria delicatezza cromatica e la luminosità tipica del maestro urbinate. Proveniente dai Musei Vaticani, che racchiudono una delle raccolte d’arte più importanti al mondo, l'opera si inserisce nell’ambito della rassegna «L'Ospite illustre» che dal 2015 ha visto la presentazione di numerosi capolavori nelle sedi espositive di Intesa Sanpaolo provenienti da musei italiani e stranieri. È grazie anche all’accurato gioco di luci e ombre e alla modalità di esposizione dell’opera che si riesce ad enfatizzare la morbidezza dei volti e l’armonia compositiva.
La mostra offre così un’opportunità preziosa per comprendere la capacità di Barocci di coniugare rigore tecnico e intensa poeticità, anticipando i fermenti del Barocco e lasciando una testimonianza duratura della pittura italiana tardorinascimentale. L’opera è del 1573, un momento cruciale della storia dell’arte italiana, quello della Controriforma che, con il suo carico di norme e ripensamenti, stava ridisegnando l’orizzonte visivo della cristianità. I dettami usciti dal Concilio di Trento non chiedevano soltanto decoro e chiarezza narrativa, ma qualcosa di più sottile e moderno: un’immagine capace di persuadere emotivamente, di stabilire una relazione diretta con lo spettatore. È questa richiesta – teologica e culturale – che Barocci interpreta con straordinaria intelligenza visiva.
Installation view della mostra «Barocci. La Madonna delle ciliegie». Courtesy of Gallerie d’Italia museo di Intesa Sanpaolo
installation view della mostra «Barocci. La Madonna delle ciliegie». Courtesy of Gallerie d’Italia museo di Intesa Sanpaolo
Il pittore esperto elabora così un linguaggio nuovo, assai riconoscibile. La sua «maniera dolce» è ottenuta da passaggi tonali impercettibili, con colori che non collidono mai e con una sfumatura continua che sembra guidare l’occhio «senza scosse». Le figure emergono da un chiarore interno, memore di Correggio ma filtrato da una disciplina affettiva tutta personale. La scena sacra, così, perde qualsiasi enfasi eroica. Maria non è iconica: è giovane, attenta, immersa in una maternità fragile e concreta. Il Bambino è un corpo vivo, leggero, colto nel gesto spontaneo di accogliere le ciliegie che Giuseppe gli porge. La teologia si traduce quindi in quotidianità e la quotidianità diventa il veicolo più efficace del mistero divino.
Le ciliegie, rosse e brillanti, sono un nodo simbolico sottile: richiamano il sangue della Passione, ma anche la dolcezza del Paradiso. L’oggetto quotidiano si carica qui di futuro, il futuro di Passione e Resurrezione depositandosi nel presente della scena. Tutto avviene con naturalezza, senza retorica. La luce, poi, è protagonista assoluta. Una luce che non invade, ma affiora. È come se l’intera scena fosse avvolta in un clima interiore: una nebbiolina cromatica che attenua i contorni e intensifica le relazioni. È esattamente il tipo di immagine che la Chiesa post-tridentina voleva: chiara nei contenuti, delicata nella forma, capace di generare empatia. Eppure Barocci va oltre l’ortodossia: nella sua pittura c’è una componente quasi psicologica, un’attenzione ai moti dei sentimenti che anticipa sensibilità barocche e, in filigrana, un modo moderno di guardare.
L’esposizione di un’unica opera crea un ambiente di concentrazione che amplifica la qualità meditativa del dipinto. Lo spettatore è portato a osservare i dettagli: l'espressione dei volti in primis, le vesti morbide che scivolano sui corpi, i rossori accennati della carne, l'asinello che pare rivolgere un tenero sguardo ai suoi padroni e altro ancora. Questo equilibrio tra spiritualità e quotidianità, tra gesto minimo e simbolo profondo, fa di questo capolavoro un’esperienza ancora oggi sorprendentemente attuale. Michele Coppola, Executive Director Arte, Cultura e Beni Storici di Intesa Sanpaolo e Direttore Generale Gallerie d’Italia, ha sottolineato quanto accogliere un capolavoro d’arte da una delle più importanti collezioni del mondo sia il modo migliore per concludere la programmazione espositiva proposta alle Gallerie d’Italia nel corso di quest’anno.