Image

Maurizio Cattelan, tra i pochi artisti italiani nati dopo il 1960 riconosciuti a livello internazionale

Image

Maurizio Cattelan, tra i pochi artisti italiani nati dopo il 1960 riconosciuti a livello internazionale

Un convegno per sistemare il sistema dell’arte italiana

Presentato a Palazzo Bonaparte a Roma, con la partecipazione del ministro Franceschini, il rapporto «Quanto è (ri)conosciuta l’arte italiana all’estero»

Nicolas Ballario

Leggi i suoi articoli

«È che non facciamo sistema». È una frase ormai consunta, di quelle che a forza di ripetere e sentir ripetere perde significato e ha quasi il sapore di una sbrigativa liquidazione di un problema che non si ha voglia di analizzare.

D’altronde noi italiani siamo litigiosi, viviamo una frammentazione culturale che spesso ci porta a realizzare una cosa mediocre nel nostro cortile, pur di non darla vinta al vicino di casa unendo le forze.

La settimana scorsa è stato presentato a Palazzo Bonaparte a Roma, con la partecipazione del ministro Franceschini, il rapporto «Quanto è (ri)conosciuta l’arte italiana all’estero», a cura di Silvia Anna Barrilà, Franco Broccardi, Maria Adelaide Marchesoni, Marilena Pirrelli e Irene Sanesi, pubblicato dallo studio di professionisti per l’arte e la cultura BBS-Lombard con il sostegno di ARTE Generali.

Purtroppo ciò che emerge è proprio questo mantra: non facciamo sistema. Cerchiamo allora di capire che cosa significa, per non spostare ancora una volta il problema da un’altra parte, per alzare le mani e rimandarlo.

Lo studio si focalizza sugli artisti nati dopo il 1960, analizzando la presenza delle loro opere nei principali luoghi istituzionali e commerciali del contemporaneo internazionale negli ultimi 10-20 anni.

Il report è diviso in due parti: la prima contiene una serie di interviste a 24 curatori e direttori museali sulle potenzialità del sistema dell’arte italiano; la seconda è dedicata all’analisi dei dati e alla mappatura della presenza dell’arte italiana all’estero.

Siccome siamo un giornale, cominciamo proprio con la nostra categoria: sono state analizzate 16mila testate in 25 lingue ed è emerso che l’arte italiana nella sua totalità ha una copertura del 7%, ma se andiamo ad analizzare i dati degli artisti nati dopo il ’60 scendiamo a un drastico 1,8%, conto il 27% degli americani, il 12% dei cinesi, il 10% degli inglesi e così via.

Veniamo alle aste: mentre le Italian Sales di Christie’s e Sotheby’s negli ultimi 20 anni hanno rafforzato il mercato internazionale di nostri artisti di un periodo definito, basti pensare ai record di Fontana, Manzoni, Burri, Boetti e compagnia cantante, negli ultimi 20 anni gli artisti nati dopo il 1960 offerti sono stati in tutto 10 e chiunque abbia una minima dimestichezza con questo mondo non si stupirà a leggerne l’elenco: Maurizio Cattelan, Francesco Vezzoli, Monica Bonvicini, Enrico David, Paola Pivi, Tatiana Trouvé, Roberto Cuoghi, Rosa Barba, Vanessa Beecroft e Diego Perrone.

E ancora: su 831 gallerie di arte contemporanea analizzate, solo il 16,2% del totale rappresenta un artista italiano nato dopo il 1960; ce la caviamo addirittura peggio nei grandi eventi internazionali, con una presenza che oscilla tra il 2% e il 7% a Documenta e addirittura una media del 5% alla Biennale di Venezia, che se non ce ne fossimo accorti è in Italia.

Quest’anno, data la curatela dell’italiana Cecilia Alemani, arriviamo invece a un ottimo 12,5%, un dato che non dovrebbe confortarci troppo e che funge da cartina di tornasole di tutti gli aspetti analizzati: i nostri artisti interessano solamente a chi il nostro Paese lo conosce molto bene e questo ci connota immediatamente come meta esotica dell’arte.

L’italia in questo senso è il safari del mondo dell’arte, un luogo marginale che non contamina nulla, se si supera Chiasso. Le stesse gallerie che trattano i nostri artisti sono quasi sempre quelle di italiani che hanno aperto all’estero.

Gli unici artisti che hanno avuto riconoscimento internazionale sono quelli che vivono o hanno vissuto all’estero: Cattelan ha passato più tempo della sua vita a New York che a Milano, Vezzoli è cittadino del mondo, la Beecroft sta a Los Angeles, Rosa Barba è più tedesca che italiana e così via.

Ora, questo non può essere solo una questione di vocazione. Certo, siamo un popolo di mammoni, fatichiamo a muoverci da casa. Come biasimarci? Però non possiamo imputare all’iniziativa degli artisti la mancanza di una rete internazionale, perché a questi gli strumenti per far volare il loro nome del mondo non li offre nessuno.

Negli ultimi anni sono arrivate iniziative lodevoli come l’Italian Council e va detto che gli Istituti Italiani di Cultura all’Estero fanno un ottimo lavoro, ma adesso abbiamo bisogno di riforme strutturali. E non parliamo solo di fisco, per quanto sia importante sottolineare il gap con altri Paesi: dopo la Brexit si è aperto un varco che fa perdere terreno a Londra e in molti ne hanno approfittato.

La Francia ha portato le aliquote per l’importazione al 5’5%, le nostre sono quasi il doppio, o ha cambiato la normativa sulla compensazione del credito, evitando che le gallerie dovessero esborsare liquidità.

Dicevamo, fisco a parte, ogni Paese ha appositi istituti che si occupano della promozione dell’arte all’estero. Per fare un esempio, se un curatore italiano vuole fare una mostra di un artista olandese o spagnolo, sa perfettamente a chi poter chiedere contributi, viceversa no.

Sarebbe essenziale da parte nostra che i musei internazionali andassero oltre Penone. Non ci fraintendete, vogliamo bene a Penone, ma sarebbe essenziale che ci fossero fondi per poter realizzare mostre di giovani artisti nel mondo. Ed è altrettanto importante riuscire a portare i curatori internazionali in Italia non solo durante gli ottimi aperitivi e pranzi della settimana del Vernissage della Biennale di Venezia.

Per non parlare della questione di genere, perché a livello internazionale solo personalità del calibro di Dadamaino, Marisa Merz e pochissime altre hanno avuto un riconoscimento, dopo un percorso faticosissimo, ma negli Stati Uniti le donne sono solo il 12% delle artiste italiane presenti sulla scena.

Ecco, certamente il Pnrr non è una bacchetta magica e non riuscirà a risolvere i nostri problemi, ma è essenziale che sia il primo anticoagulante di un sistema poco fluido. E poco trasparente.

Il report «Quanto è (ri)conosciuta l’arte italiana all’estero» è un primo importante passo per fotografare la situazione e speriamo non resti lettera morta. Avrà successo se gli operatori pubblici e privati lo useranno per un effetto domino per attivare il sempre evocato e spesso tradito «fare sistema».
 

Maurizio Cattelan, tra i pochi artisti italiani nati dopo il 1960 riconosciuti a livello internazionale

Nicolas Ballario, 30 marzo 2022 | © Riproduzione riservata

Altri articoli dell'autore

Nati o attivi in Italia, sono aperti al mondo, detestano le classifiche e fanno sistema tra loro: ecco i giovani protagonisti di oggi. La scommessa è capire se tra dieci o vent’anni camperanno ancora d’arte

Scomparsa a Milano all’età di 92 anni la fondatrice dello studio Ballo+Ballo che con i suoi still life ha creato un linguaggio nuovo apprezzato da Mari, Castiglioni, Gio Ponti, Sottsass, Olivetti...

Nicolas Ballario difende la scelta del Museo diretto da Carolyn Christov-Bakargiev di acquistare ad Artissima una tela del giovane Pietro Moretti: «È il lavoro che conta, non il nome. E lui è un bravo artista»

Giudizi divergenti sull'opera «YOU» di Maurizio Cattelan scaturiscono una polemica su usi e costumi del mondo dell'arte

Un convegno per sistemare il sistema dell’arte italiana | Nicolas Ballario

Un convegno per sistemare il sistema dell’arte italiana | Nicolas Ballario