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Riccardo Deni
Leggi i suoi articoliThomas Brambilla porta in fiera un solo show dedicato a John Giorno. Sei rari Vinyl Paintings del 1989 trasformano la parola in immagine: frasi potenti, tra mantra e invettiva, si stagliano su fondi pittorici plastificati. Spiccano titoli come «When the going gets rough the tough get gorgeous» e «I don’t need it I don’t want it and you cheated me out of it», che condensano un’energia verbale quasi performativa. Nello stand della Galleria dello Scudo, si attraversa un secolo d’arte italiana in pochi metri: dalle nature morte asciutte e silenziose di Morandi, si passa ai segni violenti e tellurici di Afro e Leoncillo, fino al gesto vorticoso di Vedova. Una rara tela futurista di Gino Severini, datata 1915, lega la narrazione al cuore delle avanguardie. Cardy Gallery costruisce un ambiente visivo in cui la gravità fisica e quella simbolica si fondono: una pietra vera fissata da Giovanni Anselmo sulla tela diventa il perno attorno al quale si dispongono i materiali industriali di Kounellis, i testi concettuali di Agnetti e i manichini enigmatici di De Chirico, in un dialogo intenso e stratificato. Magazzino imposta la propria proposta su un asse che va dal Pop al rituale. Il monumentale Vesuvius di Warhol domina la scena, ma fa da eco a un insieme di opere dense di significato simbolico, da Joseph Beuys a Elisabetta Benassi, fino a Siedlecki e Biasiucci, tutti accomunati da un’urgenza mitologica e spirituale.
Con la storica collaborazione tra Peter Halley e Alessandro Mendini, Massimo Minini rilegge la sinergia tra arte e design, rievocando la mostra che andò in scena nel 2008 nella galleria. I pattern murali di Mendini incorniciano così i lavori pittorici di Halley, creando uno spazio immersivo in cui la superficie diventa architettura e viceversa. Mazzoleni sceglie l’impatto della grande tradizione, componendo un atlante visivo del Novecento italiano. Opere di Fontana, Burri, Melotti, Bonalumi, Manzoni, De Chirico e Salvo si dispongono come voci in un coro che canta l’identità visiva di un secolo, tra azzardi formali e ieraticità. Lorcan O’Neill gioca sulla tensione tra vulnerabilità e permanenza: le figure distese e autobiografiche di Tracey Emin dialogano con le astrazioni gestuali di Giorgio Griffa, le atmosfere intime di Matvey Levenstein e i lavori materici di Richard Long, in uno stand che unisce corpo, natura e segno. Con un progetto inedito del duo Michèle Graf & Selina Grüter, Fanta‑MLN si concentra sulla disarticolazione della macchina contemporanea: orologi, calcolatrici, strumenti obsoleti vengono smontati e riassemblati in sculture cinetiche che interrogano il tempo e la funzione.
Lo stand di Tucci Russo si apre con due sculture totemiche e ardite di Tony Cragg, per poi accogliere le strutture minime e colorate di Daniel Buren, gli interventi organici di Penone e le costruzioni mentali di Paolini, in una narrazione visiva coesa e stratificata. MASSIMODECARLO si muove tra geografie ed estetiche eterogenee, abbracciando l’internazionalità come metodo curatoriale. Accanto a nomi come McArthur Binion, Jennifer Guidi, Elmgreen & Dragset o Jamian Juliano-Villani, si inseriscono gli italiani Cattelan, Gnoli e Boetti, come voci di una costellazione globale. M77 dedica il proprio spazio a Grazia Varisco e Nanda Vigo, due protagoniste della luce come linguaggio e della struttura come forma aperta. Con Light Years Ahead, la galleria celebra la loro capacità di anticipare tendenze e modificare la percezione del visibile. In dialogo con l’elemento liquido.

Galleria Massimo Minini. Courtesy of Art Basel
Raffaella Cortese accosta la scultura modulare di Roni Horn, smontabile in 16 unità, alle gouache leggere e fluttuanti di Silvia Bächli. Il tutto si chiude con Monica Bonvicini, che incide parole d’impatto su alluminio, in un cortocircuito tra linguaggio e materia. Galleria Continua punta sull’essenza specchiante della materia: il Double Return di Kapoor si riflette in un Pistoletto “tagliato” nel blu, generando uno spazio in cui la forma si dissolve nel proprio doppio. Anche Giò Marconi predilige un linguaggio equilibrato, capace di tenere insieme l’esuberanza narrativa di Valerio Adami e l’astrazione rigorosa di Louise Nevelson, in uno stand che dosa forma, colore e teatralità. Nello stand di Alfonso Artiaco, l’aria si fa rarefatta: le 131 expirations dans le verre di Michel François pendono e riflettono l’ambiente circostante. Opere di Gilbert & George, Sol LeWitt e Ann Veronica Janssens compongono un viaggio tra ottica, controllo e dispersione.
ZERO… presenta un intervento scenografico di Enzo Cucchi, con una grande opera pittorica a fare da sfondo a una serie di disegni più intimi. A fianco, l’essenzialità di Marta Naturale e Chiara Enzo aggiunge leggerezza e profondità, sospese tra gesto e trasparenza. Franco Noero punta sul carisma iconico di Francesco Vezzoli, con un ricamo e una scultura dallo spirito barocco, accostati a un’opera storica di Pier Paolo Calzolari e due sculture in marmo firmate Anna Boghiguian. Un trittico che oscilla tra sacro, ironia e classicismo spezzato. Lo stand di Lia Rumma si apre con il richiamo all'Arte Povera di Gian Maria Tosatti, che funge da preludio a un confronto tra mitologia e politica: da un lato le narrazioni allegoriche di Wael Shawky, dall’altro il realismo tagliente di Shirin Neshat.
Tornabuoni Arte presenta un allestimento che si muove tra le coordinate forti dell’arte italiana del dopoguerra. Le celebri Mappe di Alighiero Boetti, cucite a mano come atlanti geopolitici e affettivi, incontrano i celebri Tagli di Lucio Fontana, aperture che trasformano la superficie in soglia. Accanto, opere di Burri e Paolo Scheggi raccontano una poetica della materia e dello spazio, tra combustione, stratificazione e ritmo strutturale. Infine, kaufmann repetto offre una visione corale del presente, mescolando voci consolidate e scommesse emergenti. Accanto a Thea Djordjadze, Simone Fattal, Anthea Hamilton e Adrian Paci, troviamo anche Bice Lazzari, Nina Canell, Diana Molzan e la giovane Gaëlle Choisne, in un intreccio fertile tra memoria e avanguardia.
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