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Margherita Panaciciu
Leggi i suoi articoliNel silenzio raccolto del Castello Campori, a Soliera (MO), dove le pietre conservano ancora l’eco delle grandi famiglie che ne hanno segnato la storia, si apre un percorso che attraversa tre secoli di pittura italiana. Dal 6 dicembre al 18 gennaio la piccola cittadina di pianura situata sulla riva ovest del fiume Secchia ospita infatti la mostra «Tesori d’Arte al Castello dal Cinquecento al Settecento», percorso che riporta in luce opere abitualmente invisibili, custodite nelle pieghe discrete delle collezioni private e nella selezione della Cantore Galleria Antiquaria. È un’occasione rara, pensata per restituire al pubblico la dimensione viva del collezionismo e della ricerca, elementi che hanno sempre attraversato la storia culturale di queste terre.
La cerimonia inaugurale, prevista per sabato 6 dicembre alle 10,30, avverrà alla presenza della sindaca Caterina Bagni, del direttore organizzativo Franco Zibordi e del curatore Pietro Cantore, figure che hanno guidato il progetto con una visione attenta al valore della tutela e della conoscenza. Subito dopo, la storica dell’arte Virna Ravaglia accompagnerà i visitatori in una visita guidata che rappresenta il primo passo dentro un itinerario pensato con cura artigianale, dove ogni opera è inserita nel dialogo più ampio con la storia del castello, le sue memorie e la tradizione di committenza che da secoli lo caratterizza. L’iniziativa, realizzata in collaborazione con il Centro Studi Storici Solieresi, è arricchita dalla pubblicazione del catalogo ufficiale, anch’esso curato da Ravaglia.
Scipione Pulzone detto Il Gaetano, «Annunciazione». Courtesy of Cantore Galleria Antiquaria
Il Castello Campori è un luogo che ha attraversato epoche di splendore, segnato dal passaggio degli Este, dei Pio e degli stessi Campori, famiglie che hanno intrecciato il proprio nome alla storia del collezionismo e del mecenatismo locale. In questo contesto, le opere esposte trovano una collocazione naturale, come se il loro ritorno in un luogo di antica committenza contribuisse a ricomporre un frammento di continuità culturale. Pietro Cantore sottolinea come l’obiettivo sia offrire al pubblico la possibilità di ammirare dipinti di alta qualità storica e artistica che raramente lasciano le pareti delle dimore private. Un’operazione che esige competenze diverse e che, come ricorda Ravaglia, mette in risalto l’intera filiera dell’arte: il restauro, la ricerca documentaria, gli studi critici, la tutela e la mediazione che riconsegna alle comunità beni altrimenti destinati alla sola fruizione privata.
Il percorso comprende opere che riflettono la varietà dei linguaggi pittorici sviluppatisi tra il Cinquecento e il Settecento. Due tavole ad olio introducono il visitatore nel clima del XVI secolo, una del bolognese Biagio Pupini, artista legato alla cultura raffaellesca che caratterizzò l’area emiliana, e una del grande maestro della Controriforma, Scipione Pulzone, noto per l’intensa purezza delle sue figure e per la sua aderenza ai canoni spirituali stabiliti dal Concilio di Trento. Il Seicento, secolo di tensioni e fasti barocchi, è evocato da una splendida «Adorazione dei Magi» del romano Luigi Garzi, pittore capace di unire compostezza marattesca e vibrante teatralità luminosa. Accanto a questa si inserisce la brillante vena narrativa di Pier Francesco Cittadini, milanese di nascita ma attivo anche per la corte estense, di cui si ammira una vivace «Merenda galante» che restituisce tutta la forza sensuale e descrittiva della natura morta seicentesca.
Il viaggio ideale attraverso il tempo si conclude nel Settecento, quando la pittura europea ritrova una grazia più lieve e una morbidezza dinamica che trovano espressione nella raffinata «Diana e le ninfe» del veneto Jacopo Amigoni. Qui la mitologia diventa occasione per un racconto visivo in cui la luce si posa delicata sui corpi femminili, e l’atmosfera sembra sospendere il tempo in una dimensione elegante e silenziosa. Nel suo insieme, la mostra al Castello di Soliera costruisce un ponte tra ricerca, storia e collezionismo, invitando il pubblico a cogliere la rete complessa di relazioni, passaggi e ritrovamenti. È un itinerario che restituisce alla comunità opere altrimenti invisibili e che lascia una traccia duratura attraverso lo studio, il catalogo e il racconto condiviso di un patrimonio che appartiene, in fondo, alla memoria collettiva.