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Felice Casorati, «Gli scolari», 1927-28 (particolare), Palermo, Galleria d'Arte Moderna «Empedocle Restivo»

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Felice Casorati, «Gli scolari», 1927-28 (particolare), Palermo, Galleria d'Arte Moderna «Empedocle Restivo»

Un milione di libri

A che cosa serve la giornata indetta dall’Unesco e dedicata a celebrare i libri? A far venire voglia di leggerli, of course

Arabella Cifani

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Oggi, 23 aprile, si  celebra la Giornata mondiale Unesco del libro e del diritto d’autore, mica poco. Ma i libri dovrebbero essere celebrati tutti i giorni e anche di notte, perché i libri hanno salvato l’umanità hanno tramandato il sapere hanno fatto muovere cervelli e tutto quello che siamo, soprattutto nel bene, da loro deriva. Che cosa sarebbe stato il mondo senza libri? Eppure c’è ancora chi li odia, chi ne proibisce la lettura  per ragioni politiche, sociali, religiose. Per favore, leggete sempre quello che è proibito, di solito è la cosa più interessante. Fregatevene dei divieti, procuratevi il libro dei vostri desideri e poi rimanetene anche delusi, come capitò alla sottoscritta quando a 8 anni  lessi di nascosto il proibitissimo La lettera scarlatta, di  Nathaniel Hawthorne, un tomazzo noiosissimo di cui ovviamente non capii quasi nulla, se non che andai a chiedere a mia madre che cosa volesse dire «adultera» rimediando un paio di sberle.  

Ma i libri sono anche i deliziosi palazzi, giardini e labirinti da cui non vorremmo mai più uscire: e chi non conosce il dispiacere della fine di un libro molto amato?  In Italia si legge poco anche se si stampano centinaia  di libri alla settimana. La maggior parte di questi libri serve a poco (a volte a nulla), una piccola percentuale si salva, i capolavori latitano, ma questo da sempre, mica tutti i giorni nascono Proust, Stendhal o Hesse (o Miguel de Cervantes, William Shakespeare e Inca Garcilaso de la Vega, tutti scomparsi il 23 aprile 1616 e in cui onore è stata istituita la Giornata mondiale del libro). Fra i contemporanei dominano nella narrativa autori anglosassoni o americani che hanno imparato la ricetta del libro standard fatto rimescolando ingredienti banali come avanzi di una cattiva cucina, e per cui il critico prezzolato di turno sfornerà l’espressione «indimenticabile capolavoro» (dovrebbero arrestare quelli che scrivono queste frasi).

Tra poco, il 15 maggio,  si aprirà a Torino il Salone internazionale del libro e sarà come galoppare in un Far West popolato da molte insidie ma anche dalla possibilità di scoprire filoni d’oro e preziosi  pozzi di petrolio ad alto reddito. Il piacere di uscire dal Salone con una carriolata di libri, magari sempre desiderati e mai trovati, ripromettendosi di leggerli tutte le sere non è poi pagabile da nulla. Poi magari resteranno lì a fare polvere ma non importa, sono a casa, possiamo vederli, sapere che se vogliamo li possiamo aprire e loro sono a nostra disposizione docili strumenti di felicità private.  

Quest’anno anche la nostra casa editrice, l’Allemandi, torna al Salone dopo molto tempo, con un grosso stand, con tante cose da proporre legate alla nuova situazione di editore dei volumi delle Gallerie d’Italia-Intesa Sanpaolo e di tutto il loro variopinto corteggio di libri d’arte e cataloghi di mostre. Sarà una sorpresa fra le molte sorprese del Salone e certamente non deluderà. Anche «Il Giornale dell’Arte» di maggio, tra poco in stampa, celebrerà con un ampio servizio speciale il libro d’arte e l’arte dei libri. 

Ma tornando alla Giornata mondiale Unesco del libro e del diritto d’autore ci sarebbero ancora molte cose da dire, compreso il fatto che molti scopiazzano allegramente libri e interi passi da altri testi impipandosene altamente delle conseguenze (che di solito non ci sono) e su questo punto si dovrebbe intervenire con mano più ferma. 

Pochi scrittori hanno saputo esprimere in modo così potente come Giovanni Papini la propria furiosa e devastante passione per la lettura e vale la pena, al termine di questo breve excursus, di ricordare una sua splendida pagina tratta dalla sua autobiografia Un uomo finito (Firenze, Libreria della Voce, 1913, pp. 13-16) e intitolata Un milione di libri. Ne traiamo alcuni passi. 

«Dopo qualche anno di letture furiose e disordinate mi accorsi che i pochi libri ch’erano in casa e quegli altri pochi che potevo avere o ricorrendo alle scarse librerie di parenti e conoscenti o comprandone qualcuno usato coi centesimi risparmiati sul companatico o coi soldi rubati alla mamma, non bastavano. Seppi da un ragazzo un po’ più grande di me che c’erano in città grandissime e ricchissime librerie aperte a tutti, dove in date ore si poteva andare, chiedere qualunque libro si volesse, e, quel che più conta, senza spender nulla. Decisi di andarci subito. C’era però una difficoltà: per entrare in que’ paradisi bisognava aver per lo meno sedici anni. Io ne avevo dodici o tredici ma per l’età mia ero anche troppo alto. Una mattina di luglio mi provai. Salii uno scalone, che a me parve largo e solenne, tremando. Dopo due o tre minuti di incertezza e di batticuore infilai nella saletta delle richieste, scrissi alla peggio la mia scheda e la presentai con l’aria impacciata e sospettosa di chi sa d’essere in fallo. L’impiegato (…) mi squadrò con aria di compatimento e colla sua esosa voce strascicata mi chiese: Scusi, quanti anni ha lei? Io feci il viso rosso più per la rabbia che per la vergogna e risposi, facendomi più vecchio di tre anni:– Quindici.– Non bastano. Mi dispiace. Legga il regolamento. Torni fra un anno. Uscii di là umiliato, indispettito, abbattuto e tutto gonfio di odio fanciullesco contro quell’orribile uomo che impediva a me, povero e affamato di sapere, il libero uso di un milione di libri e così mi rubava vigliaccamente, in nome d’un numero scritto, un anno intero di luce e di gioia. Avevo intravisto, entrando laggiù, una sala lunga e vasta, con venerabili seggioloni ad alta spalliera coperti di panno verde, e tutto intorno libri libri e libri, libri vecchi grossi e massicci, colle costole di pergamena e di pelle, scritte e fregiate d’oro: una meraviglia! E ognuno di que’ libri chiudeva quel che cercavo, offriva quel cibo ch’era fatto per me: storie d’imperatori e poemi di battaglia, vite di uomini semidivini, libri santi di popoli morti, e le scienze di tutte le cose e i versi di tutti i poeti e i sistemi di tutti i filosofi. E quelle migliaia di promesse in lettere d’oro eran per me: a un mio comando i volumi che aspettavano sotto la polvere, dietro la rete fitta degli scaffali, sarebbero scesi verso di me, e l’avrei squadernati e sfogliati e divorati a mio piacere! (…)  Dovetti arrivare ad una altra estate per vincere. (…) Per non dar nell’occhio e non passar da bambino in cerca di passatempo chiesi un libro serio, un libro di scienza – quello del Canestrini su Darwin.(…) Aspettai mezz’ora, rodendomi dentro dalla paura che il libro non ci fosse o che non volessero portarmelo. Quando venne me lo strinsi sotto il braccio ed entrai tutto vergognoso e in punta di piedi nella gran sala di lettura. Non avevo provato mai un tal senso di riverenza – neppure in chiesa da piccino. Come spaventato dal mio ardire e dal trovarmi là dentro, dopo tanto, in mezzo a quel gigantesco reliquiario della sapienza dei secoli, andai a sedermi sul primo seggiolone libero che mi si parò dinanzi. Era tale lo smarrimento e il piacere e lo stupore e il senso d’esser divenuto ad un tratto come più grande e più uomo che per quasi un’ora non riuscii a capir nulla nel libro che avevo dinanzi. (…) Dopo quel giorno ci tornai tutti i giorni, per tutto il tempo che la tediosissima scuola mi lasciava libero. A poco a poco feci l’abitudine a quel silenzio, a quella stanzona così alta sopra la mia testa arruffata di adolescente trascurato, a quella ricchezza sterminata di volumi antichi e nuovi, di giornali, di riviste, di opuscoli, di atlanti, di codici e di manoscritti. Diventai presto come di casa, imparai le facce dei distributori, scopersi i segreti delle segnature, penetrai nei cataloghi, conobbi i visi dei fedeli e degli appassionati che venivano come me, tutti i giorni, precisi e impazienti come a un ritrovo di voluttà.E mi gettai a capofitto in tutte le letture che mi suggerivano le mie pullulanti curiosità o i titoli de’ libri che trovavo in altri libri visti nelle vetrine e sui barroccini e intrapresi allora, senza esperienza, senza guida, e senza un qualsiasi disegno, ma con tutto il furore e l'impeto della passione, la vita dura e magnifica dell’onnisapiente».

 

 

 

Arabella Cifani, 23 aprile 2025 | © Riproduzione riservata

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