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Un render dell’interno del V&A East Storehouse, disegnato da Diller Scofidio + Renfro

© Diller Scofidio + Renfro, 2021

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Un render dell’interno del V&A East Storehouse, disegnato da Diller Scofidio + Renfro

© Diller Scofidio + Renfro, 2021

Un nuovo modo di vivere il museo (e suoi i depositi)

Dopo il Depot a Rotterdam e il Victoria & Albert East Storehouse a Londra, aspettiamo che anche in Italia nascano iniziative simili. I presupposti ci sono tutti

Alberto Salvadori

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La domanda che sentiamo ripetere da anni su che cosa fare delle opere conservate negli sterminati e preziosi depositi dei musei italiani, più che altrove, ha trovato un’importante risposta a Londra al Victoria & Albert East Storehouse. Prima di entrare nel dettaglio, sgomberiamo subito possibili equivoci sulla loro importanza e utilizzo, poiché sono una parte fondamentale della ricchezza di ciascuna istituzione per molti imprescindibili motivi che non sto qui a elencare per mancanza di spazio. 

Al V&A hanno pensato bene di creare un luogo spettacolare, a ingresso gratuito, dov’è possibile accedere a servizi di ogni tipo e nel quale l’importanza e la ricchezza della storia culturale, della ricerca scientifica e della collezione del museo sono messe facilmente a disposizione di tutti. L’intero edificio è pensato e realizzato per queste funzioni. Un dettaglio non da poco è la collocazione geografica, quell’East End londinese, luogo in un passato recente dei giochi olimpici, nel bene e nel male gentrificato, ma investito anche da un progetto culturale straordinario. Certe volte le idee più semplici sono anche le migliori e questo caso ne è la prova certa. 

Pensando appunto alla ricchezza delle collezioni museali italiane, pubbliche e private, c’è da chiedersi come sia possibile che non abbiamo fino ad oggi visto nascere iniziative simili. Finora l’unica proposta concreta presentata è quella per la Villa Medicea a Montelupo, dove troveranno alloggio parte delle opere dei depositi degli Uffizi, ma il tutto all’interno di un progetto di recupero più ampio e non esclusivo. La domanda sorge spontanea invece pensando altrove, ad esempio gli oramai famosi scali ferroviari milanesi, in via di gentrificazione ma in totale assenza di progetti culturali importanti; avendo la città un insieme di musei che potrebbero contribuire al meglio in questa direzione o le Ogr a Torino, luogo ideale per allestire un percorso sul magnifico patrimonio dei musei della città (qui da citare l’intelligente e ben riuscito recente allestimento alla Gam), si può continuare parlando di Roma o Venezia-Mestre e via dicendo. 

Quello che il V&A ha realizzato è anche un modo nuovo per il grande pubblico per approcciare il museo, di farne conoscere la sua vita interiore, la sua importanza, senza lasciarlo soltanto in mano a disquisizioni teoriche sulla sua funzione o su cosa sia il museo oggi. È vero che nessuna città in Italia ha le capacità immaginifiche e le dimensioni territoriali di Londra, ma anche in luoghi più piccoli come Rotterdam ha visto la luce il Depot, e per dovere di cronaca nasce prima di quello del V&A. 

La ricchezza museale sull’intero territorio nazionale permetterebbe iniziative importanti un po’ ovunque. Aspettiamo con ansia passaggi concreti sul tema. Come succede spesso siamo di fronte a volontà e strategie deboli o che latitano, in certi casi a visioni disattese o assenti. Importante, almeno per ora, è per i musei staccare biglietti, che siano il motore e la benzina anche del turismo senza limite, conoscenza e consapevolezza. A tal proposito, le città vivono ed esistono in presenza di residenti che esprimono e vivono una dinamica eterogeneità culturale e sociale, il resto sono solo chiacchiere. Il museo come servizio pubblico… Che strana idea!

Alberto Salvadori, 15 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

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