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Barbara Antonetto
Leggi i suoi articoliI Morgari, una dinastia di pittori attivi nell’Ottocento in Piemonte (il capostipite Giuseppe, le cui prime opere risalgono alla fine del secolo precedente, ebbe due figli: Paolo Emilio, a sua volta padre di Luigi, e Rodolfo, padre di Pietro), sono noti per aver lavorato in vari cantieri sabaudi e sono stati studiati in particolare da Piergiorgio Dragone, ma uno studio approfondito dell’attività dei vari componenti della famiglia potrebbe ancora rivelare sorprese. Mentre la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Torino sta lavorando in questo senso, un apporto non indifferente è arrivato dai risultati del cantiere di restauro degli affreschi della cupola della Basilica Mauriziana che Paolo Emilio Morgari (Torino, 1815-82) eseguì nel 1859.
Allievo del padre Giuseppe e poi di Giovanni Biscarra presso l’Accademia Albertina di Torino, Paolo Emilio «diede significative prove della sua arte in molte chiese piemontesi, come il Duomo di Santhià, le chiese di Bra, Carrù, Fossano, Mondovì e la Cappella XXII del Sacro Monte di Varallo Sesia. La sua attività è largamente attestata dalle Esposizioni della Società Promotrice delle Belle Arti di Torino, alle cui mostre partecipa fin dalla prima rassegna del 1842. Viaggia a lungo, studiando gli antichi maestri nei principali musei e gallerie italiane. Tra le opere di soggetto profano si distinguono la decorazione dello Scalone di Palazzo Reale e il ritratto di Vittorio Emanuele II conservato a Villa della Regina» (Dragone in Pittori dell’Ottocento in Piemonte. Arte e cultura figurativa, tre volumi che coprono un arco temporale dal 1800 al 1920, pubblicati da Crt-Unicredito Italiano tra il 2000 e il 2002).
Una veduta degli affreschi della cupola della Basilica Mauriziana post restauro. Photo: Silvano Pupella
Una veduta degli affreschi della cupola della Basilica Mauriziana post restauro. Photo: Silvano Pupella
La funzionaria Valeria Moratti ha sottolineato che i restauratori al lavoro sui ponteggi a 40 metri di altezza hanno constatato con mano la modernità della sua tecnica. L’affresco è stato infatti realizzato in modo tradizionale (il disegno dei cartoni è stato trasferito sull’intonaco bagnato incidendo i contorni con una sgorbia e poi la stesura del colore è avvenuta suddividendo il lavoro in giornate), ma Paolo Emilio dipinse le mani delle figure di getto (senza preventivamente disegnarle) e appose sull’affresco delle finiture a secco ed elementi polimaterici in rilievo di dimensioni non comuni, come le armature in legno in primo piano o le corde in canapa che escono fisicamente dalle mani degli angeli affrescati per andare ad azionare un grande telo in origine appeso al colmo della cupola per oscurare la luce proveniente dal lanternino, un espediente di cui non si conoscono altri esempi.
Con la sua équipe di 4-5 persone la restauratrice Alina Pastorini ha consolidato la pellicola pittorica con la nanocalce che assicura coesione e adesione all’intonaco, dopodiché ha proceduto alla pulitura realizzata con trattamenti a base acquosa. Prima di questo intervento sono stati condotti accurati studi nell’Archivio Storico Mauriziano, che tra il resto hanno permesso di chiarire i tempi del cantiere: 21 mesi alla firma del contratto e non 8 come si legge nelle cronache dell’epoca. Il soggetto degli affreschi è il Trionfo della Croce popolato di oltre trecento figure e suddiviso in quattro scene: la caduta, avvolta dalle tenebre, del tempio pagano degli idoli, l’ascensione della croce verso la Trinità in piena luce, Maurizio e Lazzaro sollevati da schiere di angeli e una figura velata che viene svelata a simboleggiare il mondo dei credenti, il tutto realizzato con tratteggi raffinati e una tavolozza di colori molto ricca.
La scelta del soggetto era legata alla Confraternita di Santa Croce, poi inglobata nell’Arciconfraternita dei Santi Maurizio e Lazzaro, una delle poche istituzioni storiche che ancora oggi gestiscono una chiesa (attualmente è presieduta da Giuseppe Reviglio della Venaria), affiancata nella manutenzione straordinaria dalla Fondazione Ordine Mauriziano e dal Ministero della Cultura. Nel 2014 sono stati restaurati l’arcone del presbiterio, l’altare maggiore sormontato da belle statue lignee dorate di Ignazio Perucca e il baldacchino appeso all’arcone.
Una veduta degli affreschi della cupola della Basilica Mauriziana post restauro. Photo: Silvano Pupella
Una veduta degli affreschi della cupola della Basilica Mauriziana post restauro. Photo: Silvano Pupella
L’originaria chiesa romanica del 1207 dedicata a San Paolo venne rimodernata nel 1678 su progetto dell’architetto luganese Antonio Bettino, già collaboratore di Guarini nel cantiere della Cappella della Sindone. Poiché si ergeva nella zona di comando, nel 1729 era stata requisita da Vittorio Amedeo II per diventare Basilica Magistrale dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. «Ancora oggi ha una forte valenza simbolica per la Fondazione Ordine Mauriziano», ha spiegato la sua presidente Licia Mattioli, perché accanto sorgeva l’Ospedale Mauriziano. La Fondazione ha in progetto di riaprire la chiesa per farne una sede per concerti e attività culturali.
La chiusura è avvenuta quattro anni fa a causa di infiltrazioni d’acqua che avevano causato distacchi di intonaco e sfaldamento delle finiture a secco degli affreschi. Il restauro degli affreschi della cupola e delle decorazioni (lesene a triglifi) del tamburo è stato preceduto da un intervento sulla struttura e ha richiesto un anno di lavori e 620mila euro, finanziati per il 40% dal MiC e per il restante 60% dal Fondazione Ordine Mauriziano con il concorso dell’Arciconfraternita. Ora, approfittando dei ponteggi, il cui montaggio è costato 140mila euro, si dovrebbe scendere verso il basso (il piccolo affresco settecentesco del cupolino con gli angeli che sorreggono la Croce era già stato restaurato durante la verifica delle coperture) e ripulire i quattro pennacchi, sui quali Francesco Gonin ha dipinto i santi Maurizio e Lazzaro e i beati sabaudi Amedeo IX e Umberto III, e i quattro arconi. Il lavoro potrebbe terminare entro la primavera del 2026 se si riuscissero a reperire i 50mila euro mancanti: dei 200mila euro necessari, 100mila li metterebbe a disposizione il MiC e 50mila la Fondazione.
La Basilica Mauriziana potrebbe così tornare a mostrare i suoi tanti tesori, tra cui la bella cripta, la sacrestia, che in una nicchia custodisce una grande macchina processionale in carta pesta raffigurante la Resurrezione di Cristo e negli armadi lignei l’archivio dell’Arciconfraternita con documenti anche del Trecento, e ancora l’affresco seicentesco di Isidoro Bianchi nel catino dell’abside. Restaurato nell’Ottocento da Rodolfo Morgari, fratello di Paolo Emilio, l’affresco dell’abside è in pessime condizioni e anche le pareti della chiesa andrebbero ripulite, ma tutto ciò si potrebbe fare con un trabatello dopo aver smontato il «castello» dei ponteggi e aver riaperto la chiesa.
Una veduta degli affreschi della cupola della Basilica Mauriziana post restauro. Photo: Silvano Pupella
I ponteggi per il restauro degli affreschi della cupola della Basilica Mauriziana. Photo: Silvano Pupella
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