Cecilia Paccagnella
Leggi i suoi articoliDa 5 anni la Basilica Mauriziana, situata nel centro di Torino a pochi passi dal Municipio, è chiusa al pubblico a causa dell’avanzato stato di degrado della cupola e del tamburo dai quali si erano anche staccati pezzi d’intonaco. Il progetto di restauro richiede un investimento di 619mila euro, per il 60% sostenuto dalla Fom-Fondazione Ordine Mauriziano (ente incaricato della conservazione e valorizzazione dei beni dell’Arciconfraternita Mauriziana) e per il 40% dal Ministero della Cultura. Luigi Valdemarin, responsabile dell’ufficio tecnico della fondazione, ha illustrato il progetto spiegando che l’analisi diagnostica in corso, affidata agli esperti della Scuola di Specializzazione Beni Architettonici e del Paesaggio (III livello) del Politecnico di Torino guidati da Chiara Devoti con la collaborazione della Fondazione Centro Conservazione e Restauro «La Venaria Reale», fornirà uno studio approfondito dei materiali e delle superfici che saranno oggetto dei lavori.
L’attuale Basilica a pianta greca fu edificata sulle rovine della precedente chiesa romanica di San Paolo, fondata nel 1207 e sin dal 1572 sede della Confraternita della Santa Croce, la più antica in città. Fu proprio per esigenze di quest’ultima che nel 1679 si decise di ampliare l’edificio sacro, il cui cantiere, conclusosi nel 1701, venne affidato all’architetto luganese Antonio Bettino, già collaboratore di Guarino Guarini (1624-83) nella Cappella della Sindone del Duomo di Torino. «Le molteplici e ravvicinate fasi costruttive non erano infatti dettate dalla qualità della costruzione originaria, bensì dalla necessità di ampliamenti e adattamento a nuove funzioni», ha specificato l’architetto Monica Fantone, funzionaria della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Torino.
«Figlio del pittore di corte Giuseppe, Paolo Emilio Morgari dipinse la cupola realizzando una grande macchina scenica del “Trionfo della Croce”», ha aggiunto la collega Valeria Moratti. Nel 1728 Vittorio Amedeo II stabilì che la Basilica doveva appartenere all’ordine dei santi Maurizio e Lazzaro che sarebbe stato fuso in un’unica Arciconfraternita con la Confraternita della Santa Croce. L’apparato pittorico è quindi dedicato ai due santi, a san Paolo e all’illustrazione della storia della Vera Croce a rappresentare la «vittoria della Chiesa e politica sulle tenebre, sulla morte e, in questo caso, sul paganesimo», continua Moratti.
L’affresco della cupola, realizzato a buon fresco nel 1859 da Morgari (1815-82) al di sopra dei pennacchi dipinti da Francesco Gonin (1808-89), è il protagonista dell’imminente restauro in quanto vittima da tempo di infiltrazioni d’acqua. «Il ricorso, oltre che ai cartoni preparatori, anche a vere e proprie incisioni che segnano i contorni delle figure ci aiuta a ricostruire le parti mancanti», precisa Moratti. Un ponteggio alto circa 40 metri, studiato in modo da scaricare il peso sui sottostanti pilastri della cripta, permette di analizzare da vicino le figure scoprendone la tecnica di realizzazione: non sono infatti, come di consueto, deformate per seguite l’andamento convesso della cupola offrendo una prospettiva corretta a chi le guarda, bensì sono dipinte su mattoni prospicienti impercettibili dal basso. Questa tecnica tridimensionale ritorna nel dettaglio di una corda originale dell’epoca posta in corrispondenza di una dipinta che sembra fuoriuscire dall’affresco.
Con «Passepartout» (questa la denominazione delle visite guidate ai beni della Fom, che da due anni già si tengono alla Palazzina di Caccia di Stupinigi) il cantiere della Basilica Mauriziana sarà aperto al pubblico il 22 settembre, giorno dedicato a san Maurizio, prima dell’avvio effettivo dei lavori previsto per il mese di novembre: i partecipanti avranno la possibilità di salire sul ponteggio e trovarsi a pochi centimetri dai personaggi che popolano la cupola. Per iscriversi alla lista d’attesa, previe maggiori istruzioni sulla modalità di prenotazione, inviare una mail a stupinigi@info.ordinemauriziano.it. È un’occasione per approfondire l’Ottocento torinese ancora molto meno conosciuto della stagione d’oro del Barocco.
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