«Hommage à Apollinaire» (1913) di Marc Chagall, Eindhoven, Van Abbemuseum

© 2024 Artists Rights Society (Ars), New York/Adagp, Parigi. Foto: Peter Cox, Collezione Van Abbemuseum, Eindhoven

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«Hommage à Apollinaire» (1913) di Marc Chagall, Eindhoven, Van Abbemuseum

© 2024 Artists Rights Society (Ars), New York/Adagp, Parigi. Foto: Peter Cox, Collezione Van Abbemuseum, Eindhoven

Uno sguardo newyorkese sull’Orfismo parigino

Oltre 80 opere raccontano gli sviluppi del movimento secondo cui la pittura deve, come la musica, colpire dritto al cuore e all’anima senza nessun riferimento figurativo o narrativo

Quando nel 1911 Guillaume Apollinaire era alla ricerca di un nome per il nuovo movimento d’avanguardia che voleva distinguersi dal Cubismo e abbracciare colori brillanti, forme, movimento e l’astrattismo, pensò a Orfeo, il poeta dei Misteri della mitologia greca, musicista, suonatore di lira e sciamano capace di incantare gli animali, e la decisione fu presto presa. L’idea che la pittura dovesse, come la musica, colpire dritto al cuore e all’anima senza nessun riferimento figurativo o narrativo era, nell’Orfismo, centrale. Fu adottata, nello stesso periodo, anche da Kandinskij, genio dell’arte astratta, e intrigò pochi decenni prima anche James Whistler. E con l’Orfismo conobbe un’altra tappa fondamentale, che durò pochi anni, fino al 1914, all’alba dello scoppio della Prima guerra mondiale ma lasciò un segno importante. 

Gli orfisti furono influenzati dai fauve di Henri Matisse, dagli scritti di Paul Signac e Charles Henry e dalle teorie sul colore del chimico Michel Eugène Chevreul (fin da quando Jean Metzinger parlò delle sue teorie a Robert Delaunay), che già aveva influenzato i neoimpressionisti e i pointillisti. Una volta Sonia Delaunay disse: «Il colore è la pelle del mondo». Proprio Delaunay sperimentò le teorie dell’Orfismo in vari settori, dai tessuti al design, all’illustrazione di libri, uno su tutti la versione a fisarmonica di due metri e mezzo di La prosa della Transiberiana e della piccola Giovanna di Francia del suo amico poeta Blaise Cendrars, che in Francia divenne un fenomeno. Fu la prima donna ad avere una retrospettiva al Louvre nel 1964 e nel 1975 fu insignita dell’onorificenza di Cavaliere delle Arti e delle Lettere nella Legion d’Onore francese. 

«Armonia e dissonanza: Orfismo a Parigi, 1910-1930», che il Guggenheim Museum presenta dall’8 novembre al 9 marzo 2025, è la prima grande mostra dedicata al movimento. In oltre 80 opere, tra dipinti, sculture e opere su carta, racconta gli sviluppi dell’Orfismo a Parigi, dove si ritrovarono artisti da tutta Europa. Organizzata da Tracey Bashkoff e Vivien Greene, occupa l’intera rotonda di Frank Lloyd Wright. Comprende sia opere di pittori che furono l’anima del movimento orfico come Sonia e Robert Delaunay, František Kupka e Francis Picabia, che di altri ad esso connessi, come Marcel Duchamp, Mainie Jellett, Marc Chagall, Amadeo de Souza-Cardoso, Paul Signac e i sincromisti Stanton Macdonald-Wright e Morgan Russell, e illustra le affascinanti commistioni tra danza, musica, poesia e arte all’interno del movimento orfico. 

«Circular Forms» (1930) di Robert Delaunay

Viviana Bucarelli, 06 novembre 2024 | © Riproduzione riservata

Uno sguardo newyorkese sull’Orfismo parigino | Viviana Bucarelli

Uno sguardo newyorkese sull’Orfismo parigino | Viviana Bucarelli