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Rischa Paterlini
Leggi i suoi articoliLa mostra «Body Sign», personale di due artiste, VALIE EXPORT (Linz, 1940) e Ketty La Rocca (1938-76), curata da Andrea Maurer e Alberto Salvadori, è ospitata alla Galleria Thaddaeus Ropac di Milano fino al 28 febbraio 2026. Nella sua apparente semplicità, è un progetto costruito con rigore e misura: una selezione di opere storiche, tutte vintage, in cui la qualità prevale deliberatamente sulla quantità. Una mostra di ampio respiro che privilegia la chiarezza del confronto e la precisione delle relazioni. Il percorso restituisce la densità storica e concettuale delle due ricerche senza enfasi, ma con una cura che invita a un’osservazione lenta e consapevole. A partire da queste premesse, «Body Sign» si apre a un ulteriore livello di lettura grazie al dialogo con i suoi curatori, Andrea Maurer e Alberto Salvadori. Insieme, riflettono sulla genesi del progetto espositivo, sulle risonanze tra le due pratiche e sulla loro attualità, restituendo il senso di un confronto che non è mai puramente storico, ma profondamente radicato nel presente.
Alberto Salvadori, qual è stata la scintilla, il primo punto di contatto da cui siete partiti per immaginare questa mostra che vede per la prima volta queste due artiste affiancate?
La scintilla è nata riflettendo su VALIE EXPORT come figura quasi unica nel contesto viennese: un’artista che ha fatto del linguaggio e del corpo una pratica artistica centrale, affrontando in modo radicale questioni importanti nell’alveo di una cultura e di un’identità che possiamo definire femministe. Temi che trovano una forte risonanza nel lavoro di Ketty La Rocca, anch’essa impegnata, in modo costante, su corpo e linguaggio. Sono artiste che non hanno mai avuto un solo medium espressivo: hanno utilizzato il linguaggio, il corpo, la fotografia, il video, la performance. Mi ha sempre affascinato il fatto che uno dei temi fondamentali dell’Arte concettuale è la smaterializzazione dell’oggetto. E, invece, entrambe lavorano sulla dimensione concettuale attraverso una forte componente tattile, come l’uso delle mani, e una dimensione scultorea e viva, come quella del corpo. È un approccio antitetico rispetto a una prerogativa storica dell’Arte concettuale, nata e sviluppatasi in un ambito prettamente maschile. C’è poi un altro aspetto fondamentale: entrambe hanno lavorato sia nello spazio privato sia in quello pubblico. VALIE EXPORT ha realizzato numerose performance nello spazio pubblico a Vienna; Ketty La Rocca lo stesso. Nel caso di La Rocca, questo nasce dall’uso politico del linguaggio come strumento concettuale, che poi si trasferisce in opere come engagement del 1967. Ci sono molti passaggi che ci hanno fatto pensare a come queste due artiste abbiano lavorato in parallelo, in modo molto simile, quasi speculare.
Andrea Maurer, come hanno potuto VALIE EXPORT e Ketty La Rocca, pur provenendo da contesti culturali differenti, trasformare il linguaggio del corpo in uno strumento critico capace di mettere in discussione le strutture di potere del loro tempo?
Sia VALIE EXPORT sia Ketty La Rocca hanno sviluppato pratiche fortemente analitiche, radicate in un rapporto diretto e concreto con i media con cui lavoravano. Hanno utilizzato il proprio corpo come agente attivo della rappresentazione, smontando i dispositivi con le proprie mani e ricomponendoli secondo nuove configurazioni. Questo rifiuto di accettare un ordine dato come immutabile è, di per sé, un gesto sovversivo, che si tratti di un ordine simbolico, linguistico o inscritto nel funzionamento dei media e degli apparati tecnici. Per VALIE EXPORT, questo approccio emerge dal suo coinvolgimento nell’Expanded Cinema, un movimento d’avanguardia che mirava a smantellare e riconfigurare l’apparato cinematografico. Il corpo è sempre centrale in questo processo, non come destinatario passivo ma come partecipante attivo. EXPORT ha spesso definito le sue opere come «anagrammi mediali», sottolineando proprio questa logica di scomposizione e ricomposizione. Ketty La Rocca, coinvolta nelle attività del gruppo d’avanguardia fiorentino Gruppo 70, giunge a una posizione analoga attraverso la Poesia visiva e sperimentale, in cui il linguaggio stesso diventa materia da smontare, ricombinare e mettere alla prova. Integrando il proprio corpo, in particolare attraverso i gesti delle mani, riconduce il linguaggio alle sue origini, là dove il significato si comunica oltre le parole. In modi diversi, entrambe le artiste dichiarano il corpo complice del concettuale, mettendo in luce l’instabilità di ogni ordine «prescritto» e rivelando come il potere operi attraverso il linguaggio.
Una veduta della mostra «Body Sign» da Thaddeus Ropac a Milano. Photo: Roberto Marossi
Alberto Salvadori, questo progetto nasce anche da un confronto diretto con VALIE EXPORT. Come avete lavorato con lei nella costruzione della mostra, e quanto la sua presenza attiva ha inciso sulle scelte espositive?
Il lavoro con VALIE EXPORT è stato centrale nella costruzione della mostra. Non si è trattato semplicemente di confrontarsi con un archivio o con uno storico del suo lavoro, ma di dialogare con un’artista pienamente presente e attiva. La sua fondazione segue costantemente questi progetti e lei stessa ha partecipato alla definizione del percorso, rendendo la mostra un organismo vivo, non una rilettura cristallizzata. Questo ha inciso anche sulle scelte espositive: le opere non sono pensate come documenti storici, ma come lavori che continuano a rispondere allo spazio e al tempo presente. In questo senso, la mostra non è un’antologica, ma un progetto costruito per nuclei essenziali, con opere capaci di restituire in modo chiaro le questioni centrali della sua ricerca e di quella di Ketty La Rocca. Pochi lavori, ma fondamentali, che permettono allo spettatore di prendersi tempo, di entrare davvero nelle opere, senza l’ansia della quantità.
Andrea Maurer, le due artiste lavorano spesso sulla tensione tra gesto, parola e immagine: quali continuità e quali fratture emergono dal dialogo tra le loro opere, e che cosa ci dicono oggi sul rapporto tra autorappresentazione e identità?
Entrambe hanno creato opere che conservano un forte senso di atemporalità. Il loro lavoro colpisce per immediatezza e chiarezza. C’è qualcosa di profondamente esistenziale e autentico, capace di porre domande essenziali sulla comunicazione: come possiamo davvero esprimerci attraverso parole e immagini? E come possiamo comprendere noi stessi, e gli altri, attraverso, o nonostante, il linguaggio di cui disponiamo? Le opere di VALIE EXPORT e Ketty La Rocca vanno ben oltre una critica femminista del linguaggio in senso stretto. Articolano una prospettiva profondamente umanistica. Entrambe sono state anche vere pioniere nell’uso dei media, in particolare della fotografia, riconfigurando radicalmente il rapporto tra soggetto e oggetto. Facendo del proprio corpo il soggetto della rappresentazione, hanno messo in luce e destabilizzato le strutture patriarcali incorporate nella cultura visiva. VALIE EXPORT ha affermato: «Lasciate parlare le donne, affinché possano trovare sé stesse», mentre Ketty La Rocca osservava in modo analogo: «Le donne non hanno tempo per le dichiarazioni: hanno troppe cose da fare e, inoltre, dovrebbero usare un linguaggio che non è il loro, un linguaggio a loro estraneo e ostile». Entrambe le artiste sono animate da una profonda diffidenza nei confronti del linguaggio convenzionale, sia esso incarnato nelle immagini dei mass media o nei codici abituali del comportamento. Per loro, l’autodeterminazione è intimamente legata alla possibilità di parlare in prima persona, e questo rimane vero non solo per le donne, ma per tutti gli individui e tutte le comunità.
Alberto Salvadori, il lavoro di VALIE EXPORT e Ketty La Rocca nasce da un femminismo maturato tra gli anni Sessanta e Settanta. Come dialoga oggi questa urgenza con il presente, anche dal tuo punto di vista di uomo, curatore, marito e padre?
È un’urgenza che, purtroppo, non si è mai esaurita. Il lavoro di entrambe nasce dalla necessità di mettere in discussione un ordine patriarcale che ha strutturato non solo la società, ma anche i linguaggi, i comportamenti, le immagini. VALIE EXPORT lo ha dichiarato apertamente; Ketty La Rocca, pur non definendosi femminista, ha operato nello stesso solco, lavorando sull’autodeterminazione del sé e del proprio corpo e del pensiero. Da uomo, e da padre di due figlie, vivo questa urgenza con grande inquietudine. Fatico ancora a comprendere come l’uguaglianza tra le persone non sia un dato acquisito: uomini e donne sono esseri umani con gli stessi diritti, le stesse necessità esistenziali, e dovrebbero vivere nell’esercizio del rispetto e della non violenza. Eppure, questa evidenza continua a essere messa in discussione, anche nei gesti più quotidiani, nelle dinamiche più apparentemente innocue.