Guglielmo Gigliotti
Leggi i suoi articoliHanno preso avvio a metà febbraio i restauri del Baldacchino berniniano che troneggia, con i suoi 30 metri di altezza, sulla Tomba dell’apostolo Pietro nella Basilica Vaticana. A dirigerli è l’ingegner Alberto Capitanucci, che ha predisposto un complesso piano di intervento da svolgersi nei prossimi dieci mesi, in concomitanza con le consuete celebrazioni liturgiche. Sottrarre alla vista della più grande basilica della Cristianità il gigantesco ciborio a forma di baldacchino avrebbe corrisposto a oscurare ciò che Gianlorenzo Bernini era riuscito a far divenire il fulcro spaziale ed estetico dell’immenso vano. Il progetto, commissionato da papa Urbano VIII esattamente quattro secoli fa, nel 1624, vide l’unica collaborazione tra l’allora ventiseienne Bernini e il venticinquenne Francesco Borromini.
Pare che i primi screzi tra i due geni rivali del secolo siano sorti proprio in questo contesto. Il genio del primo si espresse nell’idea di ampliare a livello macromonumentale le fattezze di un baldacchino tessile, dalle fattezze comuni, se non fosse per le quattro colonne tortili che con il loro volteggio sembrano irradiare energia d’intorno, mentre l’artefatto sommovimento dei drappelloni suggerisce l’illusione di un lieve vento, un vento di bronzo. Come dire, una fantasmagorica macchina barocca nel cuore della Cristianità, un miracolo dell’arte, dal peso complessivo di 60 tonnellate, capace tuttavia di suggerire un senso di ariosa levità. Le maestose colonne sono in bronzo, le decorazioni che le rivestono in bronzo dorato, la parte sommitale in legno, ma i grandi plinti sono in marmo.
Spiega Capitanucci: «L’esame dello stato di conservazione del Baldacchino rileva la presenza di pesanti patine scure dovute a sostanze grasse e particolato atmosferico ormai inglobato nelle patine. Analoga condizione si riscontra sugli elementi lapidei, con particolato aderente alle superfici, tarsie marmoree in fase di distacco e patine grigie dovute all’ossidazione dei protettivi applicati. La copertura lignea, analizzata grazie alla campagna di rilevamento fotografico mediante droni di recente conclusasi, mostra una estesa sconnessione del sistema delle assi che rivestono la cornice e, laddove gli elementi risultano già divelti, sono evidenti gli accumuli di particellato e residui semicoerenti.
Gli interventi di restauro prevedono la rimozione delle stratificazioni di impurità e sporcizia con solventi e impacchi senza agire sulle patine originali né sulle dorature, ma limitandosi a liberare il bronzo, parte brunito e parte dorato, dagli strati sovrammessi che ne offuscano lo splendore. L’operazione sarà completamente manuale. Al termine della pulitura, dei trattamenti conservativi e di quelli protettivi, laddove necessario si procederà all’equilibratura cromatica e a eventuali reintegrazioni. Nelle parti lapidee saranno rimossi i depositi di polvere incoerente mediante aspiratori e pennelli morbidi, per poi procedere alla rimozione dei depositi parzialmente aderenti mediante impacchi di acqua deionizzata, di quelli aderenti mediante resine scambiatrici di ioni ovvero mezzi meccanici manuali e apparecchi a ultrasuoni».
E per il futuro? «Grazie alla collaborazioni in essere con Microsoft e con il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco italiani relative alla integrale digitalizzazione del complesso della Basilica, è stato già possibile estrapolare un solido rilievo geometrico del Baldacchino. Esso costituirà la base Bim-H (Building Information Modeling-Heritage) per l’archiviazione e gestione dei dati sia nell’ottica, primaria, della gestione conservativa del bene, sia in quella degli studi e approfondimenti scientifici che, in una prospettiva di naturale coinvolgimento del mondo della ricerca, faranno da cornice e seguito all’intervento».
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