«Ogni foto è il primo fotogramma di un film» così pensa Wim Wenders, pluripremiato regista tedesco, che dagli anni Settanta ha diretto grandi capolavori come «L’amico americano» (1977), «Lo stato delle cose» (1982), «Paris, Texas» (1984), «Il cielo sopra Berlino» (1987) o più recentemente il documentario dedicato ad Anselm Kiefer, «Anselm» (2023) e il film «Perfect Days» (2023). Per il regista, la fotografia è il mezzo con il quale, prima che con la macchina da presa, riflettere e prendere confidenza con la luce e il paesaggio che poi confluiranno nel film. La sua conoscenza con il mondo e lo spazio filmico è prima di tutto fotografica.
Da questo approccio nasce la mostra alla Howard Greenberg Gallery di New York, «Written Once» aperta fino al 15 marzo. L’esposizione è il risultato dell’accostamento di due lavori fotografici di Wim Wenders: «Written in the West», trasposizione fotografica dell’immaginario visivo di «Paris, Texas», e «Once», un viaggio aneddotico su come l’autore tedesco ha costruito man mano la sua visione, prendendo appunti visivi dalla vita che gli scorreva attorno.
In «Written in the West» c’è tutta la potenza del paesaggio americano di frontiera, quell’immensità di deserti e città nate nel nulla che hanno animato il cinema, la fotografia, e la letteratura con cui gli Stati Uniti hanno edificato il sogno americano. Nel 1983 Wenders inizia il suo viaggio «on the road», attraversando il Texas, l’Arizona, il New Mexico e la California, in cerca delle ambientazioni del visionario «Paris, Texas» (premiato, nel 1984, con la Palma d’Oro a Cannes) e in quell’occasione inizia a scattare le immagini di quello che sarà a tutti gli effetti un vero progetto fotografico, non solo un sopralluogo preparatorio al film. Wenders accoglie nelle sue fotografie il colore, la luce, l’atmosfera aperta e assolata dell’immaginario del West, talmente introiettato nella cultura americana e globale da rendere il paesaggio un susseguirsi di immagini da cartolina, un susseguirsi di continue autocitazioni. Nelle fotografie di «Written in the West», il regista traspone la tradizione visiva americana in una geografia interiore ed esistenziale che poi si animerà con le immagini in movimento di «Paris, Texas».
In «Once», invece, Wenders sembra rivelarci il processo di formazione del suo pensiero visivo, riunificando tutto il suo vissuto in esperienze dello sguardo, sia che fosse perso in qualche dove australiano, sia che si trovasse nel North Carolina a girare «Alice nella città», o che il soggetto fosse Martin Scorsese che si apprestava a cambiare una ruota della macchina, o un’anonima ragazza a New York che, seduta all’angolo di una strada, si godeva la luce del sole riflessa su un pannello argentato. È uno sguardo democratico quello del regista tedesco, o forse, più che democratico, umano. Le sue, sono annotazioni istantanee, appunti fugaci di ciò che coglie la sua attenzione, con una soggettività che arriva da un mondo interiore. A suggellare questa dimensione dell’attimo e dell’intimità del guardare, oltre alle fotografie, anche riflessioni scritte, trasposizioni testuali delle immagini, che si manifestano con una rigorosa struttura poetica, di lunghezza variabile, ma il più delle volte brevi, con un incipit costante, «Una volta…», e poi lo sguardo di Wenders si perde in un sentimento che sembra quello con cui Robert Frank attraversò l’America.