L’artista, fotograf* e attivista visiv* sudafrican* Zanele Muholi (Umlazi, 1972) torna ad affascinare alla Tate Modern dopo la chiusura forzata, causa pandemia, della sua prima grande rassegna in terra britannica datata 2020. La versione riveduta e ampliata, arricchita di nuove opere, di quella prima mostra, dopo un tour europeo cha ha fatto registrare ovunque un successo da record, è visitabile fino al 26 gennaio 2025.
Zanele Muholi è salit* alla ribalta nei primi anni 2000 con fotografie che raccontano le storie di lesbiche, gay, bi-trans-intersessuali e queer neri in Sudafrica: quelle immagini, affiancate da serie più recenti e altri lavori attualmente in corso, presentano l’ampiezza di una carriera consolidata e in continuo divenire. Le opere in mostra sono oltre 300: si tratta di immagini che sfidano le ideologie dominanti e presentano i protagonisti, tra cui l’artista stessa in una serie di autoritratti di grandi effetto e carica emotiva, come individui invero dotati di forte magnetismo, superbi di fronte ai pregiudizi che li circondano, potenti per quanto vittime di continui episodi di violenza e intolleranza omofoba.
Sappiamo infatti che, benché dotatasi nel post Apartheid di una costituzione che per prima al mondo vietava le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale, la Repubblica Sudafricana rimane una Nazione con un elevato numero di episodi di violenza e segregazione delle persone Lgbtqia+. La mostra racconta l’evolversi, seguendo questo fil rouge, delle comunità queer sudafricane negli ultimi 20-30 anni accompagnandolo con le numerose serie di Muholi, molte delle quali già divenute iconiche. Dalla prima «Only Half the Picture», in cui l’artista rappresenta le complessità del genere e della sessualità, passando per la più celebre «Faces and Phases» su lesbiche e transgender, dalla grandiosa «Brave Beauties», che celebra le persone non binarie e le donne trans e la fondamentale «Being», ricca di tenere immagini di coppie che sfidano gli stereotipi e i tabù della supremazia bianca ed eteronormativa, Muholi racconta storie collettive e individuali che sfidano le nozioni preconcette di devianza e vittimismo, incoraggiano gli spettatori ad affrontare le proprie errate idee dettate dal pregiudizio e creano un senso condiviso di comprensione e solidarietà.
Come detto, vengono presentate nuovissime opere tratte dall’acclamata serie di autoritratti drammatici dell’artista zulù, intitolata «Hail the Dark Lioness»: qui Muholi si autoritrae addobbat* con spugne, guanti in lattice, pneumatici in gomma e altri oggetti della quotidianità caricati di nuovi significati, impersonando di volta in volta figure differenti di donne di cui calca superbamente il nero della pelle, nell’esaltazione del contrasto fotografico bianco/nero e della propria orgogliosa bellezza blackness.