Arabella Cifani
Leggi i suoi articoliA oltre cento anni dalla nascita Federico Zeri (1921-98) continua a interessare e a essere oggetto di studi. Non è poco, anche se qualche domanda circa il culto dei grandi storici dell’arte del Novecento forse bisognerebbe porsela. L’occasione per farlo è la pubblicazione, da parte della Fondazione che porta il suo nome e che è un punto di riferimento internazionale per la sua meravigliosa fototeca online, di un denso volume dedicato ai rapporti che Federico Zeri intrecciò in oltre quarant’anni con il Metropolitan Museum di New York (il libro è stato pubblicato con il contributo del Ministero della Cultura e dell’Associazione Antiquari d’Italia).
C’è stato un tempo, fra gli anni Cinquanta e gli anni Novanta del secolo scorso, in cui gli Stati Uniti furono, nel bene e nel male, un mito anche per gli storici dell’arte. Là erano giunte collezioni favolose di arte europea comprate tra Otto e Novecento quasi all’ingrosso dai miliardari del petrolio delle industrie, delle infrastrutture o delle banche. Gente spesso rude e non sempre colta, arrivata negli Stati Uniti in cerca di fortuna e che dopo averla trovata sviluppò passioni voraci per l’arte che favorirono il formarsi di collezioni-monstre e lo sviluppo di musei come il Metropolitan di New York nato nel 1872.
Le opere di questi musei statunitensi, Met in testa, costituirono una vera e propria area di caccia per storici dell’arte dove si poteva pescare di tutto: dal falso clamoroso al capolavoro negletto. Zeri fu pioniere in queste ricerche. Nel 1961 firmò il contratto per la stesura dei quattro volumi dedicati agli Italian Paintings del Metropolitan Museum, anche se il carteggio tra lo studioso e i curatori si era avviato in realtà molti anni prima, nel 1948. L’incarico a Zeri per redigere il catalogo dei pittori italiani del Museo costituisce un caso quasi unico, se si pensa che fu affidato a uno studioso non solo esterno al museo, ma residente in un altro continente.
La circostanza ha prodotto un epistolario di ben 576 lettere passate da una parte all’altra dell’Atlantico e che permettono di seguire passo passo la nascita e la realizzazione di un catalogo tra i più significativi del suo tempo nel campo della pittura italiana. La Fondazione Zeri possiede copia del carteggio originale conservato a New York e ha corroborato questi documenti con la consultazione di quasi 200 lettere conservate nell’archivio personale di Federico Zeri, nella fototeca di Everett Fahy e nell’archivio di Elizabeth Gardner, che collaborò attivamente alla stesura dei cataloghi.
Le lettere costituiscono un’inedita testimonianza della cultura storico artistica e del collezionismo nella seconda metà del Novecento e fra i corrispondenti troviamo curatori del museo americano come John Pope-Hennessy, Everett Fahy, Keith Christiansen, massimi studiosi del Rinascimento italiano, e storici direttori del Met come James J. Rorimer, Thomas Hoving, Philippe de Montebello. Il libro comprende anche un regesto (a cura di Luca Mattedi) di tutte le lettere di Zeri, con bibliografia e indici dei nomi molto accurati (un importante e non banale requisito).
Era un’altra storia dell’arte, che viaggiava sui transatlantici fra lusso e mondanità. Un modo dove circolavano molti soldi e molte leggende. Difficilmente oggi la storia dell’arte offre abbastanza da vivere. Tra i primati che l’Italia ha perso, vi è quello di una schiera di studiosi del livello di Zeri, riconosciuto e stimato a livello internazionale e di cui si poteva affermare con certezza che era «the most outstanding connoisseur of early Italian painting».
Italian Paintings: Federico Zeri e il Metropolitan Museum (1948-1988),
di Andrea Bacchi e Luca Mattedi, 356 pp., ill., Fondazione Federico Zeri, Bologna 2023, € 28
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