Il Musée des Beaux-Arts di Lione riunisce per la prima vota le tre tele di Francisco de Zurbarán (1598-1664) che rappresentano san Francesco, o più precisamente la sua salma, così come l’avrebbe ritrovata papa Niccolò V nel 1449 nella cripta della Basilica di Assisi. I tre dipinti sono esposti, dal 5 dicembre al 2 marzo 2025, nella mostra «Zurbarán. Reinventare un capolavoro»: due arrivano dal Museu Nacional d’Art de Catalunya di Barcellona e dal Museum of Fine Arts di Boston, mentre il terzo appartiene alle collezioni del museo francese.
Conservato prima della Rivoluzione nel convento di Les Colinnettes, sulla collina della Croix-Rousse, il dipinto di Lione, restaurato nel 2023 in vista della mostra, è stata la prima opera di Zurbarán a entrare nelle collezioni nazionali francesi, nel 1807. Nelle tre tele, realizzate tra il 1636 e il 1640, san Francesco è rappresentato in piedi, con la veste che cade dritta fino a terra, le mani giunte nascoste nelle maniche del saio e gli occhi aperti, come se fosse vivo, con lo sguardo rivolto verso l’alto, in segno di resa spirituale. Al centro del percorso, i tre dipinti, dalla composizione severa e monumentale, allestiti l’uno accanto all’altro, sono un esempio del realismo sobrio e intenso di Zurbarán, uno dei principali esponenti della pittura barocca spagnola, spesso associato a Caravaggio per l’utilizzo del chiaroscuro.
Nato a Fuente de Cantos, nella regione dell’Estremadura, Zurbarán si formò a Siviglia nella bottega di Pedro Diaz de Villanueva, pittore di scene sacre rimasto sconosciuto. Dedicatosi alla raffigurazione di santi e martiri, si specializzò anche nei bodegones, le nature morte spagnole, apprezzate da Cézanne e Morandi. La mostra riunisce un centinaio di opere che ruotano intorno all’iconografia di san Francesco. Di Zurbarán spicca anche il «San Francesco in meditazione» (1635-40), prestato dalla National Gallery di Londra, in cui il santo, vestito sempre col caratteristico saio marrone, è rappresentato in ginocchio, il capo chino e le mani giunte in preghiera. Ma la mostra, ha spiegato il museo, «non intendere celebrare solo la bellezza dell’opera di Zurbarán», che nell’800 e nel ’900 ha ispirato artisti come Fleury Richard, Hippolyte Flandrin, Jean Carriès e Louis Debras, «ma anche di dimostrare l’atemporalità dei capolavori della pittura antica, fonte per la riflessione e la creazione in ogni epoca».
È dunque allestita una vasta tipologia di opere, non solo dipinti, ma anche sculture, disegni, incisioni, fotografie, tra cui quelle della toccante serie «Torture» di Andres Serrano, lavori recenti di Karel Funk, Xavier Veilhan, Michaël Borremans e Djamel Tatah, in cui l’influenza di Zurbarán è palpabile, e abiti d’alta moda, di stilisti come Cristóbal Balenciaga, Azzedine Alaïa e Madame Grès. In particolare di Madame Grès, più nota per gli abiti «a peplo», sono i cappotti «da monaco», con ampi cappucci da pellegrino, con cui si era fatta conoscere alla fine della Seconda guerra mondiale.