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Giorgio Bonsanti
Leggi i suoi articoliIl racconto di Colalucci si legge tutto d’un fiato
Cosa resterà degli anni Ottanta? Sicuramente, il restauro della volta della Cappella Sistina, seguito a ruota da quello del Giudizio Universale sulla parete di fondo.
Quattordici anni, dal 20 giugno 1980 all’8 aprile 1994; sono l’oggetto del racconto autobiografico di Gianluigi Colalucci, il restauratore di quell’impresa (Io e Michelangelo. Fatti, persone, sorprese e scoperte del cantiere di restauro della Sistina, Edizioni Musei Vaticani, ottobre 2015). Dell’argomento, Colalucci ha scritto e parlato ampiamente in sedi tecnico-scientifiche; ma in un giorno del giugno 2011, dopo un colloquio col ministro della Cultura della Repubblica di Georgia, «ho capito che questa storia lunga quattordici anni si poteva raccontare anche in un altro modo».
È significativo che questo godibilissimo libro di memorie arrivi pochi mesi dopo che Pinin Brambilla ha raccontato La mia vita con Leonardo; evidentemente viene un momento nell’esistenza di chi ha avuto il privilegio di un rapporto esclusivo con grandi geni, in cui urge la necessità di aprirsi e raccontare tale esperienza nella sua quotidianità. Probabilmente, se si domandasse loro se sia valsa la pena di vivere la loro vita non fosse altro che per aver restaurato Leonardo e Michelangelo, risponderebbero di sì. Il libro di Colalucci è stato presentato in Vaticano con il bel volume di Atti del Convegno (curato da Vittoria Cimino) che aveva riunito pubblico e studiosi ad apprezzare i nuovi impianti di climatizzazione e illuminazione della Sistina.
Colalucci racconta con uno stile spontaneo e spigliato la sua attività di restauratore, l’approdo nei Laboratori di restauro del Vaticano, le esperienze vissute e le persone di ogni genere che ha incontrato. La pulitura della volta della Sistina, o meglio la sua liberazione dalle sostanze deturpanti accumulate nei secoli che ne compromettevano gravemente non solo l’aspetto ma anche la mera conservazione, costituisce il nucleo di questo racconto che si leggerà tutto d’un fiato (ovviamente con maggiore divertimento da parte di chi abbia conosciuto le persone e gli ambienti di cui ci parla Colalucci).
Per quanto riguarda i tanti episodi particolari riferiti, qui ci è possibile soltanto qualche accenno. Ecco il restauratore Lido Lippi, attivo negli Stati Uniti, che viene ad offrirgli trentamila dollari più royalties future se gli lascerà pulire la figura di Dio che tocca il dito di Adamo con un’imprecisata mistura di sua invenzione; ed ecco le «visite» di alcuni fra i più acerbi detrattori, che evitavano accuratamente qualsiasi contatto con lui, ma avevano già pronto un libro scritto senza essere mai saliti sui ponteggi.
Per rispondere alla virulenza delle polemiche, comunque, ho sempre ritenuto incomprensibile che non si fosse coinvolto in alcun modo a sostegno Ezio Buzzegoli, responsabile del restauro (condotto fra 1984 e 1985) del Tondo Doni, l’unico dipinto su tavola completato da Michelangelo. Ho preso nota anche, e leggerne ha addolorato oggi me come a suo tempo Colalucci, dell’ostinata contrarietà al restauro da parte di Maurizio Pollini; e perché mai? Ho condiviso l’accorato ricordo di Fabrizio Mancinelli, lo storico d’arte direttore del restauro mancato prematuramente, leggendo le sue parole riportate da Colalucci: «Ho paura di avere la malattia di cui è morta mia madre».
Per terminare con note più liete, porteremo mentalmente con noi le pagine sulla pulitura del viso di Adamo, quando il malcapitato Colalucci dovette lavorare a un compito così delicato con un microfono sotto al mento e circondato dai componenti della troupe giapponese; o quelle dedicate all’intervento sull’unico occhio visibile del Cristo del Giudizio, momento straordinariamente critico e pieno di suspense, vissuto nelle stesse condizioni alle 11,50 del primo luglio 1993.
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