Guglielmo Gigliotti
Leggi i suoi articoliÈ il trionfo della quantità sulla qualità, del turismo insostenibile su quello sostenibile, dell’intrattenimento sull’acculturamento. È l’overtourism, l’iperturismo di massa, un problema che conoscono molto bene, e soffrono sempre più, i cittadini di Roma, Firenze, Venezia, ma anche di Assisi o della Costiera Amalfitana, delle Cinque Terre o dei paesi che circondano il Lago di Garda. Fiumane di esseri umani affollano antichi vicoli e scenografiche piazze, inondano musei e fanno impazzire il traffico: mai come quest’anno, con il boom turistico dopo la crisi pandemica, il problema sta mettendo a repentaglio l’equilibrio sociale, culturale e ambientale dei luoghi più belli e fragili d’Italia.
Che fare? Le parole d’ordine risuonano da prima del Covid-19, e ora sono diventate priorità assolute dell’agenda politica (anche se non sempre delle relative azioni) di governatori locali e nazionali: destagionalizzazione (spalmare i flussi turistici in periodi non consueti), delocalizzazione (indirizzare il turismo verso mete «altre»), numero chiuso, ticket, educazione al turismo lento e contemplativo.
Firenze e Venezia stanno per esempio pensando a un ticket per i forestieri, da non confondere con la tassa di soggiorno (che già sussiste). Entrambe le amministrazioni l’hanno chiamato «contributo», o «obolo». E Venezia sta progettando il numero chiuso, anche se in forma ridotta rispetto a quanto in un primo tempo annunciato. La marea antropica non fa meno paura di quella acquea. A Firenze non si vede più Firenze, ma brulicanti moltitudini di corpi in cammino.
Nel 2022 le Gallerie degli Uffizi sono state attraversate da oltre quattro milioni di visitatori. Il 2023 sta segnando già ulteriori incrementi statistici, e c’è chi prevede il raggiungimento di 5 milioni di visitatori alla fine dell’anno, in una città che conta 360mila abitanti. Anche a Roma i visitatori del Colosseo sono quasi 7 milioni annui, ma la città ha 3 milioni di residenti. È così che Eike Schmidt, direttore degli Uffizi, ha lanciato il progetto «Uffizi Diffusi», che prevede il trasferimento in venti località toscane di opere della collezione: una delocalizzazione dell’arte, vista la difficoltà nel farla con gli uomini. Per Cristina Acidini, già direttrice del Polo museale fiorentino, il problema è però culturale: «Non c’è più il concetto del viaggiare educativo. Il turismo oggi consta soprattutto di un passaggio inconsapevole tra tesori che si devono vedere per forza, ma che forse neanche si comprendono».
E chi vive nelle città d’arte conosce bene lo sguardo distratto di nugoli di turisti che solcano gli oceani per trovarsi davanti a monumenti di grande fama e pregio culturale, magari solo per farsi un selfie e passare oltre. Sono spesso i turisti mordi e fuggi. In parte vengono scaricati sulla terraferma dalle navi di crociera, veri palazzi galleggianti, a Venezia, a Napoli, ma anche a Roma, ben collegata con il porto di Civitavecchia: giungono la mattina, ripartono la sera, vedono ben poco ma ingorgano tutto. Come ha detto Grazia Galli dell’Associazione Progetto Firenze, «l’enorme crescita dell’industria turistica ha riversato sul territorio guadagni per pochi e un’importante mole di problemi di difficile soluzione per tutti».
Sul numero chiuso c’è dibattito, politico e ideologico. Chi lo richiede deve scontrarsi con le esigenze dell’indotto, ma anche con il principio costituzionale del diritto alla libera circolazione delle persone, che non può prevedere limitazioni, se non emergenziali. E in molti ritengono che sia proprio questo il caso. Non tra questi, però, il ministro del Turismo Daniela Santanchè, promotrice della discussa campagna «Open to Meraviglia», che invita proprio a venire nelle sovraffollate città d’arte: «Personalmente non trovo che il numero chiuso possa essere una soluzione per salvaguardare le città d’arte», ha dichiarato.
Di opinione avversa sono i francesi, che stanno iniziando ad applicare la legge del numero chiuso alle località più frequentate, come il Mont Saint-Michel, oltre che il Louvre a Parigi, il museo più visitato al mondo. Provano invidia per i vicini francesi quasi tutti gli amministratori dei paesi delle Cinque Terre (Monterosso, Vernazza, Manarola, Corniglia e Riomaggiore): i cinque gioielli liguri contano tremila abitanti tutti assieme e 300mila turisti all’anno. «È una Disneyland, ha detto lo scrittore ligure Maurizio Maggiani. Siamo assediati, non è più sostenibile la prospettiva che ha portato all’arricchimento smodato accumulato da pochi in questi ultimi anni, c’è invece da lavorare al rispetto degli antichi equilibri antropici e naturali, che hanno reso le Cinque Terre quello che sono».
L’allarme è giunto anche da Sirmione, sul Lago di Garda (dove in aprile è diventato virale il video di uno dei periodici maxi ingorghi sulla strada lungo lago), ma non da ambientalisti o intellettuali, bensì dal presidente del Consorzio albergatori e ristoratori: «L’eccesso di presenze rischia di avere un effetto boomerang e fa vivere un’esperienza negativa anche al turista».
La Provincia autonoma di Bolzano ha così fatto da sé, fissando con specifica delibera il tetto annuo in 34 milioni di pernottamenti. Spiega Arnold Schuler, assessore al Turismo della Provincia: «Ci siamo accorti che il nostro territorio, la nostra comunità, le nostre risorse, acqua, energia, erano arrivate a un livello di sfruttamento che non poteva essere superato». Come dire: esiste anche il burnout socio-ambientale, e l’Italia è sotto stress.
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